Figure della politica italiana

DE GASPERI

    Come tanti altri popolari De Gasperi viene dal movimento della Gioventù Cattolica Italiana e dall'azione cristiano-sociale. A differenza però di tanti altri popolari non reca nel suo abito mentale le impronte più superficiali della milizia giovanile. Le quali - nella generalità dei casi - si riassumono nella faciloneria oratoria e in una certa aria esibizionistica che la gioventù spiega e forse giustifica, ma che divengono irritanti e vacue allo sfiorire di questa. La sua partecipazione alla vita della Gioventù Cattolica Italiana - specie universitaria - egli dovette intenderla veramente come l'adempimento del suo dovere di cattolico prima, di trentino, amante della sua patria italiana, poi. Ma alle frequenti sagre oratorie giovanili egli preferì la silenziosa e solitaria maturazione degli studi; ed agli entusiasmi improvvisi e passeggeri del propagandista l'indagine della realtà sociale e politica del suo paese.

    De Gasperi infatti è politico ma non tribuno; è giornalista - dirige fin dalla sua fondazione il "Nuovo Trentino" - ma non è oratore: è italiano di famiglia, di nascita, di coltura, di sentimento, ma antiretorico e, politicamente, antisentimentale. I freni dell'educazione o del costume austriaco non sono stati senza influenza sulla sua austerità. Non è il politico acchiappanuvole; tipo così diffuso nell'Italio regno; è il politico realistico che vuol vederci chiaro, capire, distinguere, analizzare coscienziosamente prima di pensare alle sintesi comprensive e risolutive. A sentirlo parlare si indovina lo sforzo e il segreto ansioso desiderio di ridurre quasi la realtà sociale e politica della quale si occupa, ad una equazione di numeri o di inquadrarla in una formula geometrica per fissarla in termini precisi e compiuti e sottrarla alle fluttuazioni sentimentali e irrazionali.





    E questo non è in lui aridità di sensibilità o limitazione di percezione: è gusto e sforzo di precisione, è penetrazione realistica. Odia i sistemi tolemaici della politica avveniristica. Il recente discorso da lui pronunciato come segretario politico del P. P. è stato una bazza per le ignobili speculazioni avversarie tantoché è parso ingenuo anche a qualche amico. Ciò perché era in esso espresso con nitidezza e vigore - senza la solita mucillaggine dei politici invertebrati - il suo logico pensiero su un problema che affatica da tanto tempo la vita interna del partito, con ripercussioni tutt'altro che liete per la vita del paese: la collaborazione coi socialisti.

    Ma sarebbe fuori strada chi considerasse tale sua attitudine mentale senza connessione con il suo abito morale. Egli è un cattolico apostolico romano; fin dalla nascita e per tradizione di famiglia; e gli studi severi hanno ribadito e più profondamente radicato in lui il principio e la dottrina cattolica.

    Ora, a differenza di tanti altri cattolici clericaletti, gli deve venir di lì la passione della verità, cioè la volontà di scoprirla, amarla e confessarla - costi quello che costi - così nel campo religioso come in quello umano, sociale e politico. E gli deve venir di lì, come dalle vissute esperienze sociali e politiche del suo Trentino, la fede inesausta nella democrazia cristiana e l'amore eroico alla libertà "dono di Dio". E debbono cotali elementi spirituali costituire l'unità infrangibile della sua coscienza di cattolico, di cittadino e di italiano.





    De Gasperi - già deputato nel parlamento austriaco, dove difese strenuamente i diritti nazionali della sua regione - fu eletto deputato popolare nel 1921. Se non avesse già da lungo tempo avviato il commercio con le cose politiche italiane (fa parte della direzione del P. P. I. fin dalla sua fondazione) entrando nella Camera Italiana nel 1921, avrebbe certamente avuta la impressione di ritrovarsi in una casa di pazzi. Fu nominato presidente del gruppo popolare, il reparto meno agitato, se non pure alquanto ipocondriaco. E come tale si trovò impiliato in tutte le esplosioni - più o meno periodiche - del furore politico dei suoi cinquecento e più colleghi. Tali esplosioni, con termine molto eufemistico, si chiamavano crisi parlamentari. Si dice che la loro frequenza aumentasse a dismisura, allora, la constatata demenza. Ma la loro coatta sparizione pare dia dei risultati, oggi, addirittura mortali.

    Crisi Giolitti, crisi Bonomi, crisi Facta, seconda ed ultima crisi Facta... Dopo di che comincia veramente la felice era dei pazzi più veri e maggiori.

    Ebbene come ci si rigirò, in questo labirinto manicomiale, De Gasperi? Né bene, né male, conviene dirlo. O fosse l'ambiente italiano nuovo per lui e così... burrascoso, o fosse l'impressionante gonfiare della crisi nel paese, e la forza dell'autorità e del volere di Sturzo che premeva da una parte, e la lentezza e la contraddittorietà dei movimenti del gruppo che pesava dall'altra, certo si è che egli non riuscì ad imprimere un nuovo indirizzo al gruppo alla battaglia parlamentare. Ebbe un momento di forza: quando sostenne il veto al ritorno di Giolitti; ma fu scontato da un atto di debolezza: l'accettazione di Facta, aggravato dalla riaccettazione, a luglio, dello stesso Facta. Ebbe un altro momento di debolezza: l'atteggiamento del gruppo popolare per la riforma elettorale mussoliniana; ma aveva voluto il Congresso di Torino, e dal Congresso di Torino era uscito con Sturzo, vincitore. Si riprende tuttavia quasi subito: il basso gioco del discorso accomodante del Duce per strappare l'approvazione alla riforma elettorale lo aveva stomacato per sempre. Del resto l'anormalità della situazione in tutte queste contingenze fu tale da costituire una discriminante, più che una attenuante. Da allora non vide altro logico, fatale, sacrosanto sbocco alla situazione del Partito che nell'opposizione recisa, aperta, intransigente al fascismo e al suo governo: ne fece una questione morale. Il suo posto resta perciò un semplice posto di responsabilità: e se manca del fascino che ebbe Sturzo esige la più ordinaria virtù dell'austerità.

A. P.