LA VITA INTERNAZIONALE

Lettera americana

    È lecito ritenere superato negli Stati Uniti lo stadio acuto della reazione. Ché nell'ultimo ventennio, se si esclude la parentesi Wilson, non si poteva non considerare con molta tristezza le sorti di quella democrazia nella quale Tocqueville aveva riconosciuto e descritto un ideale di modernità. Gli istituti democratici americani si erano venuti asservendo alle forze plutocratiche; la lotta dei partiti si riduceva a un alternarsi di gruppi di uomini, quasi indifferenti ad ogni elaborazione ideale; lo stesso incremento di benessere economico non si accompagnava con un allargamento degli orizzonti politici e sociali. Si poté anzi notare un bisogno allarmante di isolamento quacquero e di misoneismo egoista. Nel protestantismo che non aveva mai asservito la politica, ma sembrava aver realizzato l'ideale della pratica di tolleranza, vennero prevalendo tendenze dogmatiche: Bryan, tre volte candidato democratico alla presidenza, uomo di primo piano nella politica nazionale, giunse a condurre una campagna perché si proibisse di parlare nelle scuole della teoria dell'evoluzione come pericolosa per la fede. Nei primi cinque anni del dopoguerra questa reazione politica, sociale, religiosa si sviluppò nei modi più estremi: le delusioni e le crisi provocate dalla guerra non vi furono estranee. Si ebbe la politica più crudelmente antisocialista e antioperaia. Le persecuzioni contro l'I. W. W. (Lavoratori dell'industria di tutto il mondo) non ebbero esempio in nessun'altra situazione reazionaria. Si riempirono le prigioni sebbene poi succedesse che magistrati indipendenti assolvessero gli imputati delle colpe immaginarie. Il proletariato si trovò indifeso di fronte a questa bufera, perché esso è più immaturo che nei paesi europei. Un Partito socialista non esiste. Gomperz è una caricatura di organizzatore: gli industriali lo trattano da buon amico, lodano il suo buon senso, lo trovano squisitamente immune di deplorevoli illusioni e di indegne utopie. L' I. W. W. raccoglie l'esasperazione delle classi più umili, un'esasperazione violenta anche se non è giunta mai alle intemperanze di cui l'accusano gli avversari. Ma questo partito manca di capi autorevoli e di ogni tradizione di lotta di classe e sorge piuttosto da un'esigenza umanitaria ed elementare di miglioramento economico e civile.





    Il fascismo ha avuto nella reazione americana un precorsone: il Ku-Klux-Klan. Questa società segreta, di cui come della massoneria non si conosce la forza e si può sempre esagerare l'influenza, sorse in America nel secolo scorso, dopo la guerra civile per fronteggiare il pericolo negro. Un pericolo per metà immaginario, e appena delineato in pochi Stati del Sud. Ku-Klux-Klan non significa nulla in lingua inglese: è una riunione di suoni che vorrebbero incutere timore: una specie di a noi, o di eia, eia ad uso dei barbari. Gli affiliati alla società portavano maschere bianche da capo a piedi, manganelli, pistole. Tuttavia non si giungeva sino al delitto di Stato e il movimento tra gli uomini principali della politica americana non ebbe mai troppo credito. Negli ultimi anni ha esagerato il suo nazionalismo: è diventato oltre che antinegro, antiebraico e anticattolico e il suo sogno è di creare degli americani al cento per cento. I partiti non riuscirono a sottrarsi alle influenze della setta segreta. Nel congresso dei repubblicani non si trovò chi osasse affrontare la questione. Nel partito democratico invece la lotta fu lunga e violenta tra il genero del presidente Wilson, che con buoni sistemi massonici faceva gli interessi della setta affermando che non era il caso di occuparsene data la sua scarsa importanza, e Smith, governatore dello Stato di New York, cattolico, uomo di primo ordine, che sarebbe forse oggi alla presidenza se in America fosse concepibile l'idea di un presidente cattolico. Benché la lotta tra amici e nemici del Ku-Klux-Klan non sia stata decisa si può ritenere che il movimento vada perdendo sempre più credito nella vita pubblica, dove rimane soltanto a incutere un po' di paura per il prestigio del segreto.





    Dei partiti politici tradizionali non si saprebbe che dire. Indeboliti di uomini, si sono anche venuti vuotando di senso. E' ormai difficile indicare che cosa distingua i democratici dai repubblicani. Le idee politiche sono state sacrificate ad un generico buon senso; i due partiti indulgono a una tendenza dell'opinione pubblica all'isolamento, all'orgoglio americano. C'è un desiderio di cristallizzarsi nelle posizioni costituite, di attenuare la lotta: il paese classico della tolleranza attraversa una crisi di dogmatismo, proprio mentre nelle sue classi dirigenti si constata una notevole decadenza.

    Se si volesse spiegare la situazione con dati esclusivamente psicologici si potrebbe pensare all'indecisione che sopravviene in un ingenuo ottimismo sorpreso da una realtà cruda. L'origine di tutto il turbamento è una vera e propria catastrofe economica. Una malattia imperversa da cinque anni sulla produzione del cotone nel Sud e l'ha ridotta di 15 sedicesimi; nel Nord i coltivatori di grano sono per metà rovinati; la classe dei proprietari terrieri che costituiva la base operosa della vita nazionale si trova in una condizione di viva inquietudine e incertezza. Ma dell'entità del disastro non si ha un'idea sufficiente se non si tien conto dell'assoluta impreparazione ad affrontarlo dello spirito americano, giovanilmente sicuro ed audace non mai sorpreso da un dubbio o da una difficoltà insuperabile.





    Di questa improvvisa proletarizzazione delle classi agrarie, cui tenne dietro un forte movimento emigratorio verso le regioni industriali dell'Est e del Nord, bisogna tener conto se si vogliono prospettare sin d'ora gli elementi della futura politica americana. Il vecchio equilibrio conservatore è infranto. Agrari e operai si troveranno presto alleati nella lotta contro la prevalenza delle classi industriali e bancarie. Di questa lotta le classi medie si mostrano ignare: anche negli Stati Uniti esse sono complici della plutocrazia, e vanno ad ingrossare i quadri dei partiti repubblicani e democratici che pur si sono rivelati inadatti a superare la crisi presente. è difficile che le nuove elezioni presidenziali lascino affiorare tutto il malcontento che fermenta: perché nomi e formule sono ancora troppo vecchi. Il partito repubblicano ripresenta Coolidge e propone alla vice-presidenza Dawes. Coolidge non è un uomo eccezionale. La sua fama è dovuta per metà al suo riserbo nelle assemblee: ma i maligni dicono che egli usi tacere per aver tempo di orientarsi tra le opinioni altrui. Cominciò ad avere fortuna per un caso: perché seppe conciliare uno sciopero della polizia a Boston; per un caso fu presidente alla morte di Harding. Dawes celebre per il rapporto degli esperti nella questione delle riparazioni è un banchiere arido e spregiudicato, che ha rasentato parecchie volte il codice, ed ha sacrificato sino la politica agli affari.





    Davis, candidato democratico alla presidenza, è certo meglio dotato di qualità politiche, sebbene sia anch'egli l'uomo della banca e della grande industria almeno quanto Coolidge che ha parlato in un suo discorso dell'industria come del più importante fattore di grandezza per l'America. Davis porta poi la sua esperienza di ambasciatore a Londra, è meno estraneo alle grandi correnti popolari, sarebbe forse capace di dare un nuovo indirizzo alla politica europea. Gli è compagno per la carica di vice-presidente Bryan, in rappresentanza dell'agricoltura dell'Ovest, fratello del tre volte battuto candidato alla presidenza. È un uomo secondario, di istinti conservatori.

    Non è più giovane, ma si può considerare come un uomo nuovo, dopo tante battaglie, La Follette, il terzo candidato alla presidenza. E' un radicale, che rappresenta appunto la situazione prima accennata e che avrà i voti di operai e di agrari. Si può parlare di questo bel tipo di combattente ostinato come di uno degli uomini migliori della politica americana. Anche se egli sarà battuto è probabile che dalla campagna nasca un terzo grande partito di tendenze liberali e radicali. Verso questa nuova formazione guardano negli Stati Uniti gli spiriti più preoccupati del domani.

E. SMITH




La Bulgaria dopo Stamboliisky

Vienna, Agosto.

    Per molti buoni e pacifici cittadini bulgari, non affetti da spirito di parte, il colpo di Stato del giugno 1923 doveva significare la pacificazione generale, la collaborazione tra i partiti e le classi e la fine delle lotte politiche.

    Tanto più forte e penosa dunque fu la delusione di tutti gli elementi moderati e sani del paese allorquando il nuovo regime continuò, inasprendole ed esacerbandole le vecchie passioni partigiane, portando nella vita politica bulgara un disorientamento generale - causa di disagio e di malessere molto più insopportabili e molto più funesti della prima.

    I pochi militari, che, unitamente a qualche rappresentante della grande industria, dell'università di Sofia e del partito popolare-progressista, riuscirono, in un batter d'occhio, a rovesciare il regime di Stamboliisky, si dimostrarono sprovvisti di tatto e di senso politico, inesperti ed incapaci come uomini di governo ed ignari della realtà della vita bulgara.

    Ingenuamente ma sinceramente essi, gli artefici del colpo di Stato, si illusero di poter tener unito tutto quel blocco di forze politiche e sociali che volevano, vivo Stamboliisky, la sua caduta, anzi la sua testa.

    Epperò rovesciato il governo di Stamboliisky ciascuno credette di poterne approfittare a scopo di partito, di clan, di classe.

    Invece di assistere al consolidamento della "Concordia Democratica" (così si chiamava il blocco delle opposizioni al Gabinetto Stamboliisky) si ebbe un'unione eterogenea e inattuale che il popolo chiamò ironicamente "la Discordia Democratica".





    Infatti bastarono pochi mesi perché gli alleati di Zankoff, disgustati di non vedere assicurati a proprio vantaggio tutti i frutti dell'avvenuto cambiamento di regime, passassero uno ad uno all'opposizione, divenuta più aspra più impaziente e più accanita che mai. E Zankoff coi suoi collaboratori si vide isolato, incalzato, attaccato da tutte le parti e da tutti gli alleati di ieri.

    I congiurati del 9 giugno, nel breve volgere di tempo, sono giunti adunque a risultati diametralmente opposti a quelli voluti e si sono trovati in mezzo ad un isolamento completo.

    I nemici di Stamboliisky erano una società costituita al solo fine della successione; mancato il nemico è mancato ogni legame, ogni interesse ed ogni ragione d'essere della società medesima.

    Il più grave errore di Zankoff è stato indubbiamente quello di non aver fidato nelle proprie forze e di non aver tentata la costituzione di un nuovo partito sulle rovine dei vecchi partiti già demoliti e debellati dallo Stamboliisky. I quali, risolti inopinatamente, non mancarono di rivelare il loro egoismo e il loro appetito di potere.

    L'oligarchia militare, sentendo il vuoto sotto i piedi, non volle arrendersi né far compromessi con chichessia. Volle il potere, tutto il potere, contro tutti e contro tutto. Così dapprima venne sciolto il partito comunista, poi quello del lavoro. Indi cominciò un periodo di persecuzione contro gli uomini più in vista dei vari partiti ma sopratutto del partito di Stamboliisky, minacciato anche esso di scioglimento.

    Di guisa che per virtù di queste misure eccezionali e odiose, avvenne ciò che si doveva e poteva evitare: una specie di alleanza a rovescio, alleanza tra tutti i partiti perseguitati dal prof. Zankoff. Di qui l'invasione in massa dei comunisti nel partito di Stamboliisky, il sorgere di nuove combinazioni e coalizioni politiche, il formarsi di società segrete, il pullulare di fogli e bollettini clandestini, il ripetersi di assassini politici, il rifiorire di bande armate.





    Gli effetti degli errori di Zankoff non mancarono di manifestarsi. Nelle elezioni amministrative di maggio scorso abbiamo assistito in Bulgaria alle più ibride e alle più inverosimili coalizioni, fusioni e confusioni. Hanno votato liste concordate difatti secondo le condizioni locali e le circostanze comunisti e contadini, comunisti e democratici, contadini e democratici, democratici e contadini e via di seguito.

    In tutta questa baraonda una sola cosa è da rilevare: le masse popolari, sconcertate e smarrite, hanno cercato di orientarsi verso il cosidetto fronte unico del lavoro in opposizione al Governo.

    I risultati delle elezioni, il disagio generale, e l'eccitazione estrema degli spiriti farebbero credere alla necessità assoluta di un largo rimpasto ministeriale sulla base collaborazionista con un orientamento verso i democratici, i radicali ed i socialisti oppure verso il ben agguerrito e forte partito liberale.

    I frequenti consigli dei ministri, i colloqui tra i leader dell'opposizione ed il recente consiglio della Corona ne sono indizi sicuri.

    Si parla con insistenza di un Gabinetto Liapceff, capo dei dissidenti democratici, uomo navigato ed esperto della vita politica cui non sarà difficile attirare taluni elementi, raccolti tra i diversi partiti del centro e della sinistra moderata.

    Solo a questa condizioni e attraverso a questa prima tappa, la Bulgaria potrà uscire finalmente dall'attuale penosa e difficile situazione interna, creata dopo il fatale colpo di Stato che ha scombussolato tutta la vita politica economica e sociale del paese. Altrimenti si lavora per la rivoluzione.

D. LOMATICH