Proposta di un partito liberalePer quanto un partito liberale organicamente inquadrato sia sorto in Italia da pochi anni e non abbia dato le migliori prove di originalità e di autonomia, tuttavia, ed il fatto è notevole, a questo organismo di scarse tradizioni, privo di rigorose opere, ed assai più ricco di frettolose abdicazioni si rivolgono oggi l'attenzione e la speranza di forti correnti di italiani, anche di coloro che militano in altri partiti e li guidano. Nella attuale campagna antifascista le dichiarazioni del "Giornale d'Italia", dapprima molto circospette, furono valorizzate e costrette ad intensificare il proprio tono, dall'interesse col quale furono seguite e commentate. Motivi primi di questi segni di fiducia sono, da un lato, la mentalità paurosa dei benpensanti, i quali mentre vedono vagamente oscillare il comodo sostegno materiale e morale di una dittatura patriottica, ritornano volentieri ad apprezzare quelli, che sono sempre stati per definizione gli uomini dell'ordine; dall'altro, il calcolo dei leaders dei partiti diversi, i quali tentano di attrarre, a mezzo del partito dell'ordine, masse imponenti e amorfe nell'orbita della opposizione. Ma oltre a ciò, non si può negare una certa importanza al fatto che, specialmente nelle città più industriose, il contatto con la vita moderna, le necessità dei traffici, l'esempio di popoli politicamente più progrediti sono andati lentamente creando una mentalità desiderosa oltreché di quiete anche di un minimo di dignità e di giustizia nella vita sociale; esigenze vive, se pure con esse coesistano estreme grettezze e residui fortissimi di indifferenza politica. È su questa prima e molto elementare coscienza politica che gli attuali dirigenti del partito liberale contano, allorquando, dopo una dedizione al fascismo che non poteva essere più totale, lentamente cercano staccarsene, incerti ancora, e più che altro desiderosi di non rompere troppo presto i ponti. Il partito sa, che nella eventualità di un cambiamento legalitario di governo i suoi uomini ritorneranno, almeno in un primo tempo, al potere; e su dei minimi presupposti di legalità e di ordine prepara i titoli per la successione molto semplicisticamente sperata. La sua stessa prudenza indica, con quanta paura esso maneggi i concetti più ovvi del liberalismo, quasi armi pericolose da usare in quanto strettamente indispensabili nelle più gravi contingenze. Non bisogna quindi illudersi: nella ipotesi che un mutamento si avverasse, si avrebbe un governo di uomini che altrettanto vagamente si sono dichiarati o si dichiareranno liberali, ma nessuna garanzia di un metodo liberale di governo; del resto la resa a discrezione del partito di fronte alla marcia su Roma, e l'adesione alla lotta elettorale senza condizioni, hanno dimostrato, se ancora era necessario, che non esiste in Italia una forza organizzata, la quale abbia autorità bastevole per mantenere il governo e dia garanzie per uno sviluppo libero e legalitario della lotta politica. Una riprova di questa realtà sta nel fatto, che gli sforzi più vivaci e più autorevoli di vivificare la coscienza politica italiana su presupposti liberali, provengono da forze giornalistiche appoggiate ad autorità personali: il Corriere, la Stampa, il Mondo, cui non ha mai corrisposto alcuna organizzazione politica stabile e continuativa. Il largo seguito di questi giornali e delle loro idee dimostra una caratteristica "forma mentis" delle classi medie italiane, non aliene dalla discussione teorica privata e dall'interessamento dilettantesco in materia politica, lontane però dalla capacità di attaccamento preciso e responsabile ad un indirizzo pratico. Non si vuole con ciò negare il valore indiretto ed educativo della campagna giornalistica, né bandire la necessità assoluta della stretta dipendenza dei giornali dai partiti; certo però le constatazioni di fatto non permettono alcuna valutazione di efficacia permanente di un indirizzo giornalistico, anche lungo e serio, sulle masse. Non si potrà dimenticane mai, che la diuturna e tenace professione di liberalismo del senatore Albertini a mezzo di un giornale che ha costituito per tanti anni l'unico testo politico di larghe masse di italiani, non ha menomamente impedito la accettazione e la esaltazione gaudiosa di principii contrarii al tempo del fascismo; per opera, si intende, delle stesse masse. Ciò perché la sola discussione individuale fra giornale e lettore non è produttiva di effetti pratici se non nell'ambito delle èlites o per fenomeni passeggeri. Si comprende facilmente quale più efficace azione il partito liberale potrebbe esercitare, anche nei limiti della pura educazione politica, grazie alla efficenza immediata della sua azione sull'ambiente, malgrado la evidente inferiorità delle sue premesse teoriche attuali di fronte alla maturità e nobiltà delle forze giornalistiche personali. Ogni atto del partito mette in moto una leva la cui azione è senza confronto più ampia della quotidiana risonanza delle voci giornalistiche, giacché ogni sua manifestazione è moto di una forza ben definita: la forza dell'alta borghesia italiana che si trascina docile al seguito la media e, in parte, la piccola borghesia. Nella sua precisa costituzione di classe, sta il suo merito. Il suo grave torto, sotto il punto di vista liberale, sta nella composizione e negli interessi della borghesia che lo domina: grande industria in gran parte protetta, classe agraria essa pure tutelata da dazio, e per mentalità reazionaria. È noto ormai attraverso a troppe dimostrazioni (l'ultima polemica Einaudi-Silvestri ne è una riprova) che simili gruppi sono necessariamente indifferenti od ostili ad ogni politica liberale. Era perciò ineluttabile che essi annuissero indulgentemente alla sprezzante arroganza di grossolani parvenus, nello stesso modo che vi ha annuito il tradizionale buon gusto dell'alta nobiltà, dando ai bei giovani nuovi le sue donne in matrimonio. Fra i signori, i parvenus ed i disoccupati, la borghesia italiana comprende molte altre forze di interessi e di sentimenti diversi e in parte discordanti; esse sono però in gran parte le forze politicamente meno vive, le classi benpensanti contente del pane quotidiano e soddisfatte della risoluzione dei piccoli problemi personali, compiaciute di una loro piccola spiritualità di assai comoda soddisfazione. Su di esse l'alta borghesia domina politicamente lasciando la illusione della libertà, come la rete degli interessi protetti domina lasciando la illusione della autonomia. In una situazione tanto sfavorevole, la costituzione ufficiale del partito come organismo nazionale unico potrebbe sembrare una semplice formalità senza utili conseguenze; viceversa essa è un fatto nuovo importante, poiché nella lotta politica nulla ha tanta importanza quanto la creazione di nuovi mezzi per nuovi cosidetti vani tornei di parole. Il partito liberale è uno strumento nato con evidenti intendimenti di conservatorismo e di reazione; allorquando, delineatasi la disfatta del socialismo, si voleva radunare in partito tutte le forze conservatrici ed antidemocratiche, sperando nella loro sufficienza a dominare anche il movimento fascista. In questo senso, esso è nato proprio per opera di coloro, che la funzione del partito nella odierna realtà politica rinnegavano, accontentandosi di semplici postulati di lealismo monarchico e di vago legalismo, che il prof. Giovannini aveva l'abilità di diluire in interminabili discorsi. Ma, come spesso accade, gli effetti dell'atto possono superare le intenzioni degli attori. Altro è usufruire comodamente di sparse Associazioni ciascuna delle quali si accentra attorno ad un uomo, si aduna per sentirlo parlare di tutto o di nulla in assemblee semideserte; altro è il dover seguire la vita di un partito organizzato i cui nuclei locali agiscono in vista di una direttiva centrale dominante, e reagiscono su di essa. Il primo sistema, semplice rete di mani di mobilitazione, serve per le elezioni soltanto, e più serve, quanto meno nei periodi di quiete si sono usate le riserve. Il secondo è costretto bene o male ad una attività continua, alla assunzione di posizioni e di responsabilità di fronte ai problemi che la vita pubblica man mano suscita; in esso gli uomini non possono scindere le posizioni personali ma debbono continuamente sostenere o respingere un indirizzo, che per quanto si tenti di mantenere vago, incerto e adatto alle prudenti ritirate, diventa necessariamente un forte legame. Le forze nuove, ambizioni, interessi, idee, illuministiche speranze, che possono farne parte, debbono essere seguite; i tranquilli associati del tempo passato si accorgono che le istituzioni mutano, che gli organismi creati col presupposto di dominarli acquistano impensatamente forza ed indirizzi proprii superiori alla volontà dei creatori. Questo fatto di per sé importante, la esistenza di un partito liberale ufficiale, rappresentante del liberalismo puro senza aggettivi, è nato, per di più, proprio quando si preparava a tutti i pretesi liberali che lo costituivano, la prova più dura sul valore del loro liberalismo; in cui chiaramente si è saggiato, se vi fossero in Italia uomini capaci di capire il loro interesse al mantenimento di una linea politica dignitosa e costante, come prevalente alla esigenza di una brutale momentanea dominazione, ed al mantenimento ad ogni costo delle posizioni di governo. La prima prova ha avuto esito negativo, e pur tuttavia oggi essa accenna a ripresentarsi, segno di labile memoria e di eterna illusione, ma specialmente della gravità e della profonda risonanza degli avvenimenti, con gli stessi uomini che hanno mancato alla prima. Non vi è apatia di masse indifferenti che in condizioni come queste resista ad una azione energicamente condotta da minoranze consapevoli; ne è un esempio la campagna Matteotti, sulla quale il buon borghese desideroso di ferie metterebbe volentieri il finis, senza lo sprone di una coraggiosa campagna senza requie. Gli interessi appaiono compatti e uniformi fino a quando esiste uno stato di equilibrio che permette loro di contemperarsi ed una situazione economica che non consenta assolutamente lotta politica; ma non vi è nulla di più atto a dividerli, che il dibattito su questioni puramente politiche fortemente discusse, quando le condizioni economiche non siano assolutamente contrarie. Il mito socialista continua ad impedire la totale unione fra industria ed operai sul terreno del protezionismo, i principii liberali rimessi in discussione possono agire come discriminanti fra le varie forze più o meno aderenti al sistema economico e finanziario oggi dominante. E' in momenti come questi, quando i principii essenziali del vivere politico sono in dibattito, che la dispersa educazione giornalistica può dare i suoi frutti, che si può sperimentare se veramente si sia venuta formando attraverso a cinquanta anni di vita unitaria quella minima crosta di humus politico, di senso di dignità senza la quale ogni tentativo di azione liberale deve giudicarsi senz'altro disperato. E se una classe borghese capace di governare c'è ancora in Italia, essa non deve mancare di approfittare di questi sentimenti diffusi, e del valore che tornano ad assumere principii squisitamente borghesi, per tanti anni derisi dai socialisti; il riassumerli energicamente sarebbe per essa, oltreché una sicurezza per il presente, una difesa e un titolo di dignità per il futuro. Gli attuali segni di risveglio, fervore di opposizioni giovanili, piccole secessioni, vibrazione più intensa di discussioni e di attese, non devono essere sopravalutati, perché sotto molti di essi non si nascondono che i soliti fenomeni di modeste ambizioni personali, in uomini i quali tentano di approfittare, muniti di una impreparazione ardente, degli avvenimenti eccezionali. Il disprezzarli sarebbe però gretta pretensione, e significherebbe soltanto incapacità di approfittare delle forze reali, per ricercare le solite inesistenti forze pure e rispettabili. Tutto consiste nel saper dirigere e forzare a maturazione le incerte tendenze affioranti, con la tattica sistematica di costringere a mezzo di esse la borghesia, la quale ha voluto affrontare il rischio e la responsabilità di dirigere un partito, a rivelarsi in esso, ed a resistervi continuamente alla discussione ed alla critica. Tale lotta risoluta in seno al partito può essere oggi utile e necessaria, sia nei riguardi della politica generale, sia nei riguardi del solo partito liberale. Sotto il primo punto di vista essa è utile, qualunque idea si abbia sul risultato della lotta che le opposizioni combattono più o meno chiaramente contro il fascismo; giacché nella ipotesi che il fascismo duri e si rafforzi, sarà agevolata la formazione di un partito liberale solido, cementato da una lotta aspra; nella ipotesi che il potere torni entro un tempo più breve agli "uomini d'ordine" della destra, sarà più che necessario mantenere in vita una corrente di opposizione che non permetta l'esaurirsi del movimento nell'opera sterile del trapasso di potere dal mussolinismo al salandrismo. Nei riguardi interni, la durezza quasi inesorabile delle forze contrastanti dovrà essere tenuta presente; bisogna prospettare la ipotesi assai probabile che la posizione di una tendenza liberale nel partito liberale diventi insostenibile, come è accaduto di passati movimenti; e recentemente, a Milano. In tal caso l'opera di chiarificazione avrà servito per lo meno a definire rigorosamente il partito, a precisarne la posizione in modo tanto più definitivo, quanto più seria e ricca di risonanze sarà stata l'azione dei dissidenti. Dalla lotta e dalla differenziazione potrebbero nascere organismi diversi, o più semplicemente si potrebbe effettuare uno spostamento di forze, un concentrarsi delle classi borghesi, a seconda degli interessi in esse divergenti, attorno a nuclei diversi, più nettamente liberali e conservatori o democratici; una parte delle classi medie potrebbe trovare un punto di contatto col proletariato, senza finalità parassitarie. Individuare e definire oggi le possibilità precise di una azione eventuale sarebbe, oltreché impossibile, infantile. Ma per intanto, quale punto di partenza, che essendo cosa di oggi si vuole chiaro e senza equivoci, essenziale elemento di una valorizzazione dell'organismo liberale nel senso negativo o positivo suddetto, deve essere la cura dei liberali autentici, di precisare la loro azione non semplicemente intorno ad una comoda e vaga linea di premesse genericamente legalitarie, ma su proposizioni involgenti responsabilità precise. Un rigido antifascismo deve essere inteso come volontà di tendere verso la instaurazione in Italia di una vita politica e di una situazione economica rispondenti alle necessità della vita moderna; presupposti quindi di libera lotta economica, e di libera lotta politica intorno al gioco di ben definiti partiti. Liberismo, libertà di organizzazione e riconoscimento delle necessità della lotta delle classi, ritorno al sistema elettorale proporzionale, lotta antiburocratica e repulsione dei nazionalismi dovrebbero essere i capisaldi di differenziazione, ove un improvviso (e impreveduto) crollo del fascismo eliminasse questo fondamentale mezzo di riconoscimento. Tutto questo, io ripeto, senza illusioni; troppo grave è la situazione italiana, ricca più che mai di disoccupazione e di una borghesia proletaria la quale nella propria onorata miseria esaurisce le aspirazioni politiche con la risoluzione giornaliera del problema della esistenza, per fondarvi rosei sogni. Serie mutazioni politiche possono essere negate alla borghesia, e riservate ad altre classi, sempreché si creda, come è necessario credere, in una funzione politica moderna dell'Italia. Nel frenetico mutare degli avvenimenti, che distingue la terra dei suoni e dei canti, questo momento è certo utile per chiarire le posizioni; questo scopo minimo è sufficiente a giustificare, alle élites, l'azione. MANLIO BROSIO
La pubblicazione sulla Rivoluzione Liberale dei resoconto stenografico di mie improvvisate dichiarazioni ad una assemblea di partito, mi ha indotto a chiarirle ed a svilupparle nell'articolo che precede; in dette dichiarazioni v'era l'accenno a un collegamento fra la "Stampa" e l'industria protetta, che, come si comprenda anche da quanto ora scrivo, non sussiste. M. B.
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