UNA DIFESA DI MUSSOLINI

    Mi recai a trovare il Conte Clemente Solaro della Margarita in una mattinata della scorsa settimana, e malgrado l'ora quasi antelucana lo trovai già sollecito nel suo gabinetto da lavoro.

    Non si meravigli, mi disse vedendomi, quasi rispondendo ad una mia tacita interrogazione, dell'ora così insolita da me fissatale per una conversazione, ma le mie occupazioni nella giornata sono tante che, malgrado la mia non più giovane età ho dovuto riprendere le antiche abitudini dando udienza nelle prime ore del mattino. Del resto posso oggi mostrarmi ben lieto - soggiunse mentre con un affilato coltellino temperava una penna d'oca - nel vedere che anche l'alto spirito del Signor Mussolini nelle prime ore del mattino esamina e decide i più gravi e poderosi problemi politici. Ella ricorderà - ed io sono rimasto lietissimo nell'apprenderlo - che la riforma della legge elettorale (riforma che finalmente in qualche modo, forse nel miglior modo possibile, incamminò lo Stato - che voi altri giovani talvolta illudendovi chiamate Nazione - alla soppressione di quell'infausto istituto che è il Parlamento) venne dal Signor Mussolini esaminata e decisa alle due del mattino. Si ritorna con ciò alle buone tradizioni e questo potrà, io spero, significare il riscatto della Patria dalla servitù nella quale oggi le insane teorie quarantottesche l'hanno spinta.

    Il potere è stato strappato da un vento di insania a chi solo legittimamente e per divina volontà la deteneva. Ma, dirò con l'alta mente del Conte di Montalembert: "Il y a certaines spoliations pour les quelles il n'y a point de pardon". Queste parole che il mio grande amico ha pronunziato alla Camera dei Pari il l6 aprile 1844 mi ritornano alla mente mentre il deplorevole errore commesso allorquando si credette di "largire" una cosidetta carta costituzionale o Statuto (errore scontato amaramente in questi ultimi settantasei anni) sta per essere riparato.





    Il Re Carlo Alberto, del quale fui primo ministro negli ultimi tredici anni del suo regno, precedenti le infauste riforme, debbo riconoscere che s'opponeva frequentemente a provvedimenti non proposti per altro fine che per gloria al suo nome e per vantaggio dello Stato. "Suadere Principi quod oporteat, multi laboris"; la verità di queste parole di Galba a Pisone l'ho provata coll'esperienza e ne serbo memoria ma non rancore.

    La storia "magistra vitae" rimetterà certo lo Stato sulla giusta via. Il governo fascista ha già iniziato il suo proficuo lavoro e non dubito, data l'energia spiegata, che raggiungerà lo scopo. Qualche sconsigliato, a proposito dell'incidente Matteotti, ha potuto insinuare che, continuando in tal modo, dei fascisti normalizzatori potrebbe dirsi "solitudinem faciunt pacem appellant". Errore, errore enorme. Difficile sempre fu reggere la politica di uno Stato, indirizzarla al suo lustro vantaggio e decoro; ma difficilissimo quando il principe ha due volontà ed è forza ad una opporsi, l'altra seguire coll'intento che prevalga. Non esiti quindi il Duce - lo chiamate così voi altri giovani? - prosegua nella sua via e lo Stato ritornerà in breve a quel lustro che aveva prima dell'infausto 1848 e non più i nostri figli lamenteranno il funesto errore per cui furono spente le speranze di gloria e di felicità ond'era quell'epoca promettitrice.

    Io ho seguito con occhio vigile le grandi iniziative del governo fascista, e spesso la commozione mi invase nel vedere si bene rispecchiati i grandi concetti che sempre mi ispirarono come devoto servitore del mio sovrano e posso con sereno spirito di equità - ora che la mia età piuttosto avanzata non consentendomi di aspirare ad un ritorno al potere, toglie ogni carattere meno che obbiettivo al mio giudizio - congratularmi col Signor Mussolini e coi suoi compagni di un governo che può davvero dirsi restauratore.





    Non è il caso di discutere se dal 1848 in qua il Piemonte, governato da una vera turba di scavezzacolli, dal Conte Camillo di Cavour a quel piccolo siciliano calvo dalle tre mogli, abbia fatto veri ed apprezzabili progressi; ne' m'importa negare che l'aver riunito sotto un solo sovrano le varie città d'Italia sia stato un vantaggio. Del resto Re Carlo Alberto aveva un desiderio che non celava, e che io in fondo approvavo, di essere indipendente da ogni straniera influenza. Egli che era sin nel profondo dell'animo avverso all'Austria. Ma Egli era pieno di illusioni sulla possibilità di liberare l'Italia dalla dipendenza austriaca. Non pronunziò la parola di scacciare i barbari, ma ogni discorso palesava il suo segreto. Ebbene, giovinotto mio, avete visto? Può l'Italia d'oggi pretendere d'aver raggiunto la propria indipendenza quando qualunque incidente Matteotti può dar occasione alla stampa estera, e, peggio, ai Primi Ministri esteri di ficcare il naso nelle cose nostre interne pretendendo, non soltanto che venga mantenuto l'ordine, ma che venga mantenuto a quel modo che i delittuosi, delittuosi per davvero, principii della rivoluzione di Francia hanno imposto? Ed allora, dove va a finire l'indipendenza?

    D'altra parte se l'Italia sotto il peso di tali principii non è andata in rovina ciò è dipeso dal fatto che anche gli altri Stati si sono lasciati governare sotto l'influenza degli stessi pazzi principii. Quei principii cioè che han permesso per tanti anni che non più ai "sudditi" si rivolgesse il Re nei suoi proclami, ma ai "cittadini". Vocabolo questo, come osservò il Conte di Maistre che non può essere tradotto in alcuna lingua; proprio sol dalla Francia assai prima che la rivoluzione lo facesse suo per disonorarlo. Ora, mercé il fine intuito del Signor Mussolini alla parola barbara è sostituita quella di "fascisti" parola schiettamente italiana che richiama quei legami e quei vincoli che i popoli saggiamente liberi non debbono dimenticare.





    Il Signor Mussolini ha ristabilito anche un po' della dignità perduta nelle nostre assemblee politiche ordinando ai deputati fascisti di intervenire in frak alla seduta inaugurale della legislatura. Questa disposizione, giustissima, checché ne abbia pensato, a quanto intesi dire, il deputato Lanfranconi, mi ricorda i provvedimenti che dovetti prendere allorché la signora d'Obresoff, moglie del Ministro di Russia si presentò a Corte con i merletti pendenti dall'acconciatura del capo in color bianco, mentre l'etichetta più naturale ed evidente prescriveva il color nero riservando il bianco alla Regina e alle reali Principesse.

    Non potete poi ben comprendere, mio giovane amico, con quale gioia io abbia seguito l'opera dei Ministro Gentile, il cui allontanamento dal potere m'ha arrecato grande dolore che trova solo conforto nella speranza che il Ministro Casati sappia riparare agli errori commessi quasi involontariamente dal suo buon nonno dopo che traviò dalla buona educazione milanese di austriacante persecutore della perfidia di C. Cattaneo. È evidente infatti che l'intimo concetto del Gentile - ed egli ha fatto bene a non manifestarlo troppo apertamente, perché ciò avrebbe allarmato gli avversari nostri - è stato quello di disorganizzare l'istruzione per poi grado a grado sopprimerla. In proposito io ho chiaramente espresso il mio pensiero nel mio Memorandum Storico-Politico. Quando io scrissi riepilogando il mio punto di vista, d'aver procurato d'influire presso il Re perché non fosse così facile a permettere Asili d'infanzia e scuole elementari nelle quali si educassero i figli del popolo non a diventare buoni cristiani e buoni sudditi, ma a diventare indifferenti in religione e intolleranti di ogni autorità, preparati a dar mano a qualunque ribellione nel gran dí che fossero maturi i piani di chi quelle istituzioni promoveva, fui chiamato il nemico dell'istruzione del popolo. Leggete, leggete, giovinotto, ciò che allora scrivevo esprimendo un vero senso di compassione nel vedere i fanciulli esposti ad una vera corruzione nelle scuole. In uno di quei libri di lettura stampato a Genova si insegnava alle giovinette ed ai ragazzi che "dagli occhi escono le lagrime", che "con essi si distinguono i colori", che "chi non vede è cieco". Ciechi voi che insegnate ciò che avete per scienza infusa conosciuto fra le braccia della nutrice! Oh forse è necessario tanto dispendio di maestri per imparare che "l'orecchio è l'organo dell'udito", che "le rose e le viole mandano odore" ecc.? Io ho sempre avvertito il Re del pericolo di ciò. Temo, gli dicevo, temo quei protettori di scuole, di asili, di alberghi d'onde si vorrebbe escludere la religione, e proponevo di fondare nuovi Conventi e nuovi Istituti religiosi. Non mi si diede retta! E Oporto fu la conseguenza.





    E qui non posso trascurare il ricordo di quanto male arrecò al popolo la così detta "Libertà di stampa". Io sono entusiasta del nuovo decreto dal Signor Mussolini emanato. Lo avrei anzi desiderato più esplicito, ma bisogna pur fare qualche concessione alla iniquità dei tempi, e procedere per gradi.

    La libertà di stampa, come ho scritto altra volta e dopo tre quarti di secolo posso ripetere con sicura esperienza, è assai temibile in ogni ordinato Governo. Non si proverà mai che bastino le leggi repressive degli abusi per ovviare ai danni; né le multe, né le carceri sanano le ferite degli avvelenati strali della cattiva stampa aperti in cuore alla società.

    D'altra parte non dà la storia la miglior prova dei danni della libertà di stampa? Chi non ricorda la perniciosa diffusione che volle darsi all'ingiusto giudizio sul governo Borbonico, dato da quello sciagurato uomo di Stato inglese che tanto danno arrecò all'Europa con la sua demagogica intemperanza larvata di legalità? Ed una volta compiuto il male della divulgazione di un tale giudizio non riuscì possibile alcun rimedio, per quanto i valenti difensori del Governo Borbonico abbiano chiaramente e senza riguardi messo a posto lo sconsigliato calunniatore. La caduta del Regno di Napoli è in gran parte dovuta ad una tale calunnia che consentì il crearsi di una opinione pubblica europea contraria ad un Governo rispettoso di Dio e della Sovranità.

    Perciò ho anche approvato la limitazione che al commercio delle stampe ed alla loro diffusione si è data con l'accrescimento delle tariffe postali. Ai miei tempi la posta era tollerata soltanto per le lettere, e ricordo la lotta sacrosanta che sostenni per impedire che si distribuisse la posta nei giorni festivi. Una deputazione di Genova si presentò invano anche al Re per ottenere la revoca di un tale ordine. E' vero che allorquando tempi tristi sopravvennero si distribuirono nelle Domeniche non solo le lettere ma anche le stampe! Ora da qualche anno la sana, morale, cattolica usanza è ristabilita, sebbene dolga che siasi larvato ciò come un provvedimento d'indole sociale anziché quale è, morale e religioso.





    Amico mio, io sono ormai vecchio e non aspiro a riprendere, dopo una piuttosto lunga parentesi, il governo della pubblica cosa. Sebbene ormai l'esperienza abbia eloquentemente dimostrato l'errore dei regimi liberali, e si stia, in Italia almeno, restaurando il grande regime che solo può dare gloria e grandezza allo Stato, un mio ritorno al potere non lo desidero poiché non in tutto ancora è la vita italiana normalizzata. Normalizzata cioè ricondotta a quei sani principii che facevano felici i popoli prima che serpeggiasse fra di essi quello che in mia gioventù chiamavo il "tifo costituzionale". Quando ciò che inesorabilmente dovrà avvenire sarà avvenuto, vedremo. Ora è interesse supremo dello Stato proseguire nella via iniziata senza preoccuparsi di quanto i nemici dello Stato possono dire.

    L'opinione pubblica, l'ho detto altra volta, è una chimera, è uno di quei spauracchi di cui si servono per indurre i pochi fedeli d'Israele a sacrificare alle Divinità Infernali. L'opinione pubblica é come un torrente senza sponde che si getta a destra od a sinistra, allaga e copre di limo, di selci non meno il campo ubertoso che le lande incolte; acconciate l'alveo ed il torrente non minaccerà le campagne; così se l'opinione si abbandona alla sfrenatezza delle passioni diverrà efferata; se si dirige diverrà sostegno a generose imprese; ma né in un caso né nell'altro non è regina; la forza le è superiore, la cambia o le impone silenzio. Come vedete, la mia opinione collima perfettamente con quella del Signor Mussolini senza che occorra troppo dilungarmi. Potrei dire, se non temessi che le mie parole suonassero allusione al deputato Lupi che il Fascismo ha plagiato il mio programma. Chi potrebbe dopo ciò disapprovare il telegramma a Spalla, grande campione del valore e della forza che è la più grande e bella prerogativa dei governanti?





    Non occorre che mi dilunghi troppo per dimostrare la necessità di sostituire ad una stampa inquinatrice dell'opinione pubblica quella che può per antonomasia dirsi "la buona stampa". Ripeto, chi lavora non occorre legga giornali e si distragga con aspirazioni estranee al suo compito sociale. Pochi giornali, pochissimi libri e con idee chiare, semplici, rispettose del Sovrano e della Chiesa soprattutto. Frattanto, poiché non potrà un tale risultato raggiungersi d'un tratto, è bene aiutare la buona stampa. Approvo perciò l'aumento dei cosidetti fondi segreti, ed in attesa di sopprimere questi quando saranno soppressi i giornali sovvertitori della pubblica morale consiglierei di aggiungere un articolo brevissimo al decreto sulla stampa. Basterebbe limitare il formato ed il numero delle copie dei giornali. Perché per esempio un giornale di opposizione deve avere un formato ed una tiratura superiore a quella di un giornale amico del governo? Evidentemente perché i malvagi sono in maggior numero dei buoni. E' quindi giusto determinare che ogni anno, od anche ogni semestre la tiratura ed il formato dei giornali sovversivi si riducano alla metà. Così in breve si raggiungerebbe senza troppe difficoltà lo scopo. Capisco che il mio sistema è meno rapido e semplice di quello proposto dal deputato Farinacci (quale uomo! e quale mente! fosse vissuto ai tempi di quel rammollito di Beccaria!), giacchè mentre io scorcio i giornali, egli preferirebbe scorciare i giornalisti, ma in fondo il risultato non cambia.

    Giovinotto, il sole è già alto ed io devo recarmi agli Uffici Divini. Devo lasciarvi non senza però manifestare la mia approvazione per la nomina di nuovi nobili. Si riconosca dunque la nobiltà, sia presso al Trono, ne riceva i primi splendori, e siano redivivi i maggioraschi. Ciò non piacerà a molti, ma devono rassegnarsi, non vi pare? In una sola cosa io dissento dal Signor Mussolini. Io non approvo la sua insistenza nel voler mantenere la Milizia. Alle caserme io preferivo i conventi. Ma ove ciò non sia possibile, francamente non mi riesce simpatica la camicia nera. Mi a pensare che non sia facile accorgersi quando é sudicia, e questo ha i suoi inconvenienti. D'altra parte Costantino il Grande ha dato un imitabile esempio togliendo al De Bono dei suoi Pretoriani l'autorità militare, istituendo la nuova guardia imperiale dei Domestici. Ciò gioverebbe anche per utilizzare una parte dei deputati della maggioranza, delle comparse voglio dire.





    Vi lascio; se avete occasione di vedere il Signor Mussolini, salutatelo per mia parte, e, se è permesso un consiglio a chi col baciare le Sacre Reliquie di Santa Rosalia in Sicilia ha dimostrato la sincerità e il fervore del vero credente, ristabilisca nel bilancio dello Stato il fondo già stanziato per le spese di beatificazione della Venerabile Regina Clotilde, fondo inconsideratamente soppresso quando si aveva la superbia di ritenersi indipendenti dal Cielo e dai Santi. Ciò gioverebbe ad ottenere dal Divino Creatore quella grazia che oggi si ha la noia di provocare con amnistie e condoni per fini nazionali.

    Con giovanile sveltezza il Conte Solaro della Margarita si levò dalla sua poltrona accompagnandomi fin sull'uscio e, porgendomi la fine aristocratica mano ripeté: "Salutatemi dunque il Signor Mussolini, e se l'opinione di un vecchio che meritò la fiducia del Principe di Metternich vale qualche cosa, rilegga Tacito e l'Antimachia vellus del Grande Federico. Non si sa mai: vi possono essere dei giudici anche fuori di Berlino".

UNA GUARDIA NAZIONALE