UN VILE LIBELLISTAPaul Louis Courier, parigino di nascita, proprietario dell'ex feudo di Meré in Turenna, era l'anno della caduta di Napoleone, stanco di correre il mondo. Aveva bivaccato sul Danubio accanto ai cassoni dei suoi pezzi di artiglieria, aveva decifrato pergamene greche in una biblioteca di Firenze, aveva dato la caccia ai briganti in Calabria, aveva tradotto Erodoto e Longo Sofista, aveva insolentito il maresciallo Berthier. Ora basta. Dalla sua casa di Véretz, egli voleva badare ai suoi pingui vigneti. "Non ditemi che sono un ellenista. Se capisco bene il significato della parola, ellenista è colui che mette in mostra il greco, e ne trae il suo sostentamento: qualche cosa come draghista, farmacista, erborista, dentista". Egli voleva trarre il suo sostentamento da altro: dalle sue vigne, situate così bene a mezzogiorno, sulla Loira: e sapeva come si fa per lavorare bene un arpento di vigna, e quanti carichi di zolle di brughiera bisogna portare a spalla al filare, e quanto tempo bisogna lasciarle là a maturare e virarle di tanto in tanto: e quanti carichi di letame vi andavano aggiunti: e tutto il resto. Anche nel letame è la Grecia vivente, più che nei manoscritti aridi custoditi da bibliotecari invidiosi. Anche nelle molli linee di paesaggio, nei profili della "plantureuze Touraine" è l'Attica. Paul Luis Courier, che aveva cavalcato per tutta Europa senza sella e senza speroni, nonostante innumerevoli arresti, si compiaceva di riposare sulla sua terra; possidente. Per timore di essere considerato nobile, aveva lasciato cadere dal cognome borghese il suffisso di De Meré, che gli venia dal suo fondo: per disprezzo delle cimici accademiche si chiamava "vigneron de la Chavonnière", e basta; per disdegno di passare per un ufficiale napoleonico a mezzo soldo, si era tolto dalla bottoniera il nastrino roseo della legion d'onore. Si presentava così, in un suo scritto: "Io sono della Touraine, io abito Luynes. La mia principale sede è la casa di mio padre, a Luynes: là è il campo che io coltivo, e di cui vivo colla mia famiglia: là il mio tetto paterno, la cenere dei miei padri, l'eredità che mi hanno trasmessa e che io non ho abbandonato mai, altro che quando occorse difenderla alla frontiera". ***
Orbene, un provinciale di gusti così sani, riposati e raffinati diventò, proprio dopo il 1814, proprio sotto il governo di un re saggio e filosofo come Luigi XVIII di Borbone, uno dei più temuti ed efficaci scrittori dell'opposizione. Ecco come andò. Paul Louis non amava i preti. È una cosa che succede, in Francia, pare da molto tempo: Paul Louis, cento anni fa, faceva nel Comune di Véretz la stessa guerra al curato, M. le Curé, che adesso, nello stesso identico Comune di Véretz senza dubbio gli fanno gli elettori del blocco delle sinistre. In provincia - e nella provincia francese! - i tipi sociali mutano ben lentamente. Paul Louis, quando vedeva una cerimonia religiosa, la croce delle missioni piantata ad Amboise, per esempio, scriveva nel suo taccuino: "Saremo cappuccini? Non saremo cappuccini? Ecco la domanda di oggi. Ieri, la domanda era un'altra: Saremo i padroni del mondo?". Ma pure, anche con questi rompicapo anticappuccineschi, io dubito che Paul Louis avrebbe mai combattuta sul serio la Restaurazione, senza il dolce invito della censura sulla stampa e dei processi per diffusione di libelli sovversivi. Le discussioni aperte, libere, sbracate sulla Rivoluzione e sulla repubblica, non potevano tentare un traduttore di Longo Sofista, vigneron de la Chavonnière. La Rivoluzione e la repubblica sono infinitamente meno interessanti degli amori di Dafne e Cloe: ecco l'insegnamento greco. E poi, tutte queste teorie, tutti questi astrattismi, guastano la prosa. Ma eludere il censore e il procuratore del re coi racconti più dozzinali, con la prosa più lucida, con gli scherni più inafferrabili e più sfumati: attaccarsi all'episodio, alla historiette, come i greci: che tentazione, per Paul Louis! Una tentazione come quella di pizzicottar una donna polputa e chiappata, ma pizzicottarla alla cattiva, con l'unghia e la strizzatina finale. E Paul Louis vi cedette: egli fu il bonhomme di Turenna, parlò delle cose che tutti vedevano, nel Comune, nel Cantone, nel Dipartimento: degli avvenimenti così futili, che, a Parigi, la grande stampa di opposizione di allora non se ne sarebbe occupata mai. L'arresto abusivo del povero Pierre Clavier, detto Blondeau, terrazzano di Véretz, colpevole non d'altro che d'aver detto in privato al signor Sindaco allez-vous proncuer o, tutt'al più, ma è dubbio, allez-vous faire fouttre. Oppure: l'arrivo a Saumur del deputato di sinistra Benjamin Constant, e l'immediata invasione della locanda da parte di dodici ufficiali della guarnigione che volevano ad ogni costo schiaffeggiarlo. Oppure: le ragioni finanziarie e morali per cui il Comune di Véretz, dipartimento di Indre et Loire, Comune povero, non può contribuire alla sottoscrizione nazionale destinata all'acquisto del castello di Chambord, come dono a Sua Altezza Reale il duca di Bordeaux. Oppure: le ragioni per cui i terrazzani di Azai hanno diritti di continuare a ballare sulla piazza grande del loro Comune, nonostante che il curato nuovo, zelatore come tutti i preti giovani o riscaldati, intrighi per far vietare questo innocente trattenimento campestre. E queste piccole peripezie della vita di provincia raccontare in piccoli scritti, dagli umili titoli: "Lettera particolare", "Semplice discorso di Paul Louis", "Gazzettino del villaggio", "Petizione per dei villici cui si vuole impedire di ballare": e con tutto il rispetto dovuto alle autorità civili, religiose e militari, e alla buona lingua; e stamparli, quei piccoli scritti, in piccoli fogli, che costino pochi quattrini... E poi aspettare. Credete che la gente non se ne accorga? In regime di censura la gente se ne accorge, e come! Scruta e soppesa ogni giro di frase. Basta che Paul Louis ripeta: "L'eredità che i miei padri mi hanno trasmessa, io non l'ho abbandonata mai altro che quando mi occorse difenderla alla frontiera": ebbene, la gente vedrà qui una insinuazione contro la famiglia regnante, transfuga dalla Francia. Basterà che Paul Louis faccia mostra di ripetere in un simple discours ai terrazzani di Véretz questa frase: "Sappiate che non v'è in Francia una sola famiglia nobile, ma dico nobile di razza e di antica origine, che non debba la sua fortuna alle donne: voi m'intendete"; ebbene, la gente vi vedrà un attacco alla famiglia borbonica e alle famiglie dei Pari di Francia, nate e prosperate colla prostituzione. Le strizzatine d'occhio dell'autore sono afferrate golosamente dal pubblico. La lotta fra il censore, il procuratore del re e l'autore diventa estenuante - per i primi due. Finalmente deve venire il processo: "Ah, ti ci ho preso, vil pamphletaire! Sputa l'osso, vile libellista! Tu hai insultato la monarchia!". Patta Louis si diverte: "Vi domando: perché mi volete condannare per delitto di stampa? Per quello che ho detto sul castello di Chambord? Perché ho detto: non c'è per i nobili che un mezzo di far fortuna, a Corte: la prostituzione? Ma siamo intesi! La Corte chiama galanteria la prostituzione: io ho usato la parola propria, dovevo pur fare un simple discour, un discorso semplice, a dei contadini di Véretz... Vi domando: Perché mi chiamate vil pamphletaire, vile libellista? Ma io non so cosa siano i pamphlet: di grazia, signore, sapreste dirmi cos'è un pamphlet? "E' uno scritto di poche pagine come il vostro, di un foglio o due soltanto". Di tre fogli, è ancora un pamphlet? "Forse, nel linguaggio volgare: ma, propriamente, il pamphlet ha due fogli". Ma allora... "Andiamo, andiamo, signor Paul Louis: è il veleno, vedete, che la giustizia perseguita in questa storia di scritti. Del resto, la stampa è libera, stampate, pubblicate quanto vi accomoda, ma non del veleno". Sta bene, signore, e grazie: ma perché la gente ama tanto il veleno? Ma basta con questo Chambord: si è andati in tribunale per Chambord: non c'è la spesa. Paul Louis attacca da un'altra parte. Paul Louis è possessore di una bella foresta, la foresta di Larcai. Ecco un fatto di natura ben personale e privata, non è vero? Ebbene, Paul Louis affitta due tagli di questa sua foresta a un certo Bourgean: Bourgean intacca, contro il contratto, il taglio seguente: Paul Louis lo cita. Ecco, ancora, tutti dei fatti di natura ben personale e privata, la Restaurazione non c'entra per niente, e nemmeno la casa regnante. Ma Paul Louis è malizioso: non ricorre a nessun avvocato, e lui stesso patrocina la sua causa dinanzi al tribunale civile di Tours. Stende una conclusionale e la pubblica su un foglietto volante: liscia come l'olio, non una divagazione politica. Ma non conta. La gente ha l'occhio addosso a Paul Louis, vil pampletaire: cerca la malizia dov'egli non ha voluto metterne, l'opposizione ai Borboni in un processo per taglio abusivo. Basta che Paul Louis si qualifichi come vigneron de la Chavonnière, perché tutti pensino ai nobili emigrati, che adesso rivogliono foreste e vigneti. "Si ricomporranno e grandi proprietà. La terra allora si riposerà. Ogni gentiluomo e canonico avrà per sua parte, mille arpenti, con l'obbligo di dormire: e se russa, il doppio". Basta che Paul Louis si qualifichi "ancien channonier a cheval", perché le armate imperiali siano evocate a tutto danno del cappuccinesco esercito della Restaurazione. Il pubblico, collabora con l'autore: l'eloquenza, l'arguzia, non sono tanto nel pamphletaire che parla, quanto nel pubblico che ascolta. Come per gli oratori e pei tragici dei bei tempi di Grecia, Paul Louis ritrova la Grecia, la migliore, quella di Senofonte, veramente in mezzo al letame, in mezzo alla umile vita di una provincia francese, nel comune di Véretz o in quello di Luynes, dipartimento di Indre et Loire, Francia. ***
Il miglior commento ai pamplets di Paul Louis si deve intitolare così: "Sui vantaggi letterari delle limitazioni della libertà di stampa". Solo la censura fa il pubblico arguto e sottile, gli dà finissimo udito, per distinguere l'amaro riso dello scrittore, e tatto per sentire la punta nascosta di un discorso apparentemente bonario. Paul Louis scrisse contro la reazione borbonica dei libelli così puri di linee, e dall'arguzia così contenuta che il pubblico di un grande giornale moderno non se ne accorgerebbe nemmeno. La libertà di stampa, questa rotativa del pensiero, l'ha disavvezzo dalla malizia, l'ha intontito. Si, signori, il nostro pubblico è tonto. Il suo palato é insensibile agli attici sali. E noi, noi che scriviamo, sperduti nelle alte considerazioni sulla immanenza della lotta di classe o sulla bellezza della collaborazione sociale, abbiamo perduto di vista la collaborazione del pubblico, la malizia del lettore. Vogliamo, ad ogni costo, impressionarlo con la chiarezza spregiudicata del nostro linguaggio, e gli togliamo la più lusinghiera delle soddisfazioni: quella di poter crederci, lui, unico interprete malizioso del nostro pensiero, o magari completatore o perfezionatore. Quando noi scriviamo la frase abituale: "senza commenti", oppure: "i commenti li farà il lettore", indulgiamo semplicemente alla nostra pigrizia; in realtà, il lettore non fa nessunnissimo commento mai: noi lo abbiamo disabituato dal commento, soffocandolo ogni giorno con tutti i commenti possibili, su tutti i fatti immaginabili: dall'eclissi di sole al vespasiano fetente. Bisogna che le limitazioni di stampa ci riconducano all'articolo limato, curato, bene avvitato: al pamphlet meglio se clandestino: al piccolo foglio, dove noi saremo obbligati a dire l'essenziale e dove il pubblico sarà portato ad aggiungere, veramente, il suo commento. Le limitazioni della stampa, legale o illegale: ma lasciate che qui, in sede accademica, io mi professi ora caldissimo fautore, per il bene che voglio all'arte del pamphletaire!... Le limitazioni di questa banalissima e volgare libertà di stampa, creeranno attorno a noi un uditorio buon ragionatore come il pubblico provinciale che si passava i "paphlets", di Paul Louis, ma i lettoti ci aiuteranno. Coloro che si spaventano per le possibili soppressioni di giornali, dello strozzamento della libera stampa, e dicono che in tal modo l'opposizione sarà soffocata, impossibile, sono vili meccanici, causidici della opposizione: la libera stampa fa l'uomo tonto, le persecuzioni di stampa fanno l'uomo arguto. Ai fini della opposizione che voi volete fare, carissimi fratres, vale più un piccolo pamphlet ricco di chiaroscuri e di sfondi, o che la gente se lo passi di mano in mano, che non tutti gli scampoli di cui Menotti Serrati, l'uomo più noioso del mondo, voleva mettere insieme una camesella alla rivoluzione massimalista. Nella lotta contro il giornale libero i governi vincono sempre: nella lotta contro il giornale censurato e imbavagliato, hanno sempre perduto. La limitazione della libertà di stampa è la ginnastica della intelligenza, da parte degli scrittori e da parte dei lettori. Paul Louis diceva: "I miei pamphlets? I miei pamphlets? Ma cosa volete mai che vi dica, come faccio a stamparli! Alla sera, prima di andare a letto, io, povero bonhomme, scrivo qualche foglio di quanto ho veduto nella giornata: poi getto i fogli dalla finestra e la mattina dopo, trovo tutti i bonhommes al mercato che hanno un pamphtet bello stampato nelle mani, e se lo nascondono un con l'altro, perché dev'essere clandestino!" E questo è vero, non nel significato volgare che la opposizione trovi sempre qualche tipografo coraggioso, ma nel significato più alto che la collaborazione fra scrittore e lettore si fa più intima, più serrata: invincibile. Vi dico: la Grecia. Una Grecia artificiale, dovuta alle cure dei governi "liberticidi", che sacrificano se stessi alla fortuna delle buone lettere. ***
Voi forse trovate, in tutto questo che ho detto, delle allusioni e delle malizie? Badate, restiamo intesi: io ho parlato del celebre pamphlétair francese Paul Louis Courier, nato nel 1772, morto nel 1825: tutti i commenti, tutte le deduzioni, sono roba vostra: io ho fatto semplicemente un pamphlet dei pamphlets; se ci trovate la malizia, segno è che i tempi sono maturi per il risorgimento della buona prosa politica. GIOVANNI ANSALDO.
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