Lezioni ai mussoliniani

Il deputato ministeriale

    Confessiamo che la presene lettera è inattuale: non tanto perché episodio di una lotta politica i cui costumi ci sembrano oggi patriarcali, quanto perché, in tempi di "listone" e di Comitati di maggioranza eletti dal Duce, ci riporta a concezioni evidentemente "superate". La riproduciamo quindi come documento di altri tempi, per pura curiosità storica.

    Il conte Alessio di Tocqueville, con la pubblicazione della prima parte della "Democrazia in America" si era acquistata una improvvisa celebrità: uomini di opposti partiti si volgevano ammirando verso questo aristocratico, che dalla sua origine nobiliare traeva soltanto il culto della libertà e che, con un'opera di studio veniva a spostare i termini consueti della lotta politica. In questo giovane la Monarchia di Luglio dovette sentire una forza che era utile acquistare. Né verso la Monarchia di Luglio o verso i suoi ministri del tempo il Tocqueville aveva prevenzioni che gli impedissero di accostarlesi. Era troppo dotato di senso storico per continuare il legittimismo paterno: e d'altra parte, se non si sentiva legato alla opposizione legittimista, troppe idee, troppe tradizioni e più ancora che le idee, lo stile lo separavano dal resto dell'opposizione. Perciò, quando il presidente del Consiglio del tempo, il Molé, volle dichiararlo candidato ministeriale, nulla pareva dover indurlo a respingere l'appoggio del governo. Il giovane scrittore non avrebbe potuto così "realizzare" le sue idee?

    Alessio di Tocqueville invece rifiutò con questa lettera l'appoggio offertogli dal Presidente del Consiglio, suo parente già amico e preferì presentarsi come candidato indipendente. Non fu eletto (i moderni "realizzatori" sospireranno qui di compiacenza); soltanto due anni dopo poté entrare alla Camera.

    L'autore della "Democrazia in America" non fu così deputato ministeriale e rinunciò forse a qualche passibile portafoglio: ma questa lettera fissò tutta la sua carriera politica e gli permise di svolgere sui banchi della Camera quell'attività politica che la sua mentalità di storico gli consentiva e che illustreremo altra volta.

    La morale ? Che nella lotta politica, perché questa non si riduca ad una lotta di servi contro i padroni, una dote è necessaria prima di ogni altra, non la furberia, ma l'indipendenza, la coscienza della propria personalità. Morale, evidentemente "superata".

(m. f.).




    Ed ecco la lettera.

    Al sig. Conte Molé, presidente del Consiglio, Tocqueville, 12-12-1837.

    (Il T. parla della sua candidatura proposta in due collegi).

    Quanto a me, che desidero giungere alla Camera naturalmente, non ho ancora fatto passi né da una parte né dall'altra né mostrato con nessun atto di aver fatto una scelta tra le due candidature offertemi.

    Ero in questo stato, quando ho appreso che nell'ultima riunione del Consiglio Generale il Prefetto mi aveva raccomandato agli elettori del Collegio di Valognes. Su quest'ultimo fatto, desidero richiamare un momento la vostra attenzione...

    Ma dirò sopratutto che non mi è possibile l'accettare una candidatura ufficiale. In ogni altra occasione una simile dichiarazione fatta al rappresentante del potere potrebbe sembrare straordinaria. Ma so a chi parlo: e se il Presidente del Consiglio me ne muovesse rimprovero, mi appellerei al signor Molé, alla cui stima, mi permetta di dirglielo, io tengo più che al suo appoggio e presso cui sono sicuro di aver causa vinta.

    Voi sapete, signore, che io non sono nemico del governo in generale e in particolare degli uomini che oggi governano.

    Ma voglio essere in una condizione che mi permetta di prestare un concorso intelligente e libero: e ciò non potrei fare se mi facessi eleggere dal governo. So che vi è chi dimentica, entrando alla Camera, i mezzi con cui vi é entrato: ma io non sono di quelli. Voglio entrarvi con la posizione, che voglio serbarvi e quella posizione è indipendente...

ALESSIO DI TOCQUEVILLE