LA SITUAZIONELa crisi di tutto il mese di giugno diventa in luglio una situazione: se ne possono pesare gli elementi stabili. Mussolini ha avuto una scossa: è stato toccato dallo scandalo, obbligato al rimpasto. Le opposizioni hanno resistito: la politica giolittiana che Mussolini voleva applicare per sgretolarla non è servita. Esse sono in qualche modo le vincitrici morali. Senza gli oppositori Mussolini non può far funzionare il Parlamento. La lotta politica si beffa di tutti i tentativi di patriarcalismo e di unanimità. Ma c'è il rovescio della medaglia Per dare questo esempio le opposizioni hanno dovuto compiere un grande sforzo: sono rimaste incapaci di prendere iniziative concrete di azione. Si è creato il mito della cautela: nessun'opera positiva è stata intrapresa per il sospetto di creare dei diversivi. L'idea del diversivo è stata interpretata come una dolce tattica di inerzia. In realtà per precisare e affermare delle posizioni non bisogna temere nessun diversivo: anzi assumerne virilmente la responsabilità come di una conseguenza indispensabile della nostra azione. Nessuna politica matura si può proporre scrupoli così candidi!. Sul concetto del diversivo come fu inteso in questi giorni si potrà scrivere un capitolo divertente sulla morale e la politica degli italiani, popolo machiavellico. La tattica che noi suggerimmo comprendeva la battaglia, l'attacco convergente. Il paese chiedeva dei candidati al potere: le opposizioni non dovevano rifiutarsi. Un ministero Albertini, Amendola, Sforza, Turati, Mauri avrebbe - incredibile a dirsi! - ispirato una certa tranquillità ai pacifici borghesi! Se l'opposizione voleva veramente esperimentare la propria astuzia non doveva negare, non doveva aver paura di chiedere le dimissioni del Governo e le nuove elezioni con la proporzionale. Non poteva tacere di fronte all'invito esplicito che le rivolgemmo da Torino di pensare essa - eletta legittimamente dal paese - al governo provvisorio. Quando mai s'è data una opposizione che nega di avere in programma le dimissioni del governo dominante? Fosse pure una battaglia perduta; sarebbe stato un precedente, l'opinione pubblica si sarebbe trovata di fronte una volta ad un programma concreto, con la possibilità di richiamarvisi. Uno scandalo non liquida un governo. Forse neanche se fosse risultata la responsabilità personale del Presidente, neanche se si fosse rintracciato il suo ordine scritto del mandante. Mussolini aveva tutte le vie aperte. Nessuno gli impediva di assumere personalmente la responsabilità del delitto, che eliminava un "antinazionale" facendo stupiti i timidi della sua audacia. Poteva proclamare lo stato d'assedio. Sopprimere la stampa. Più astutamente, imbavagliarla creando il terrore o con una semplice serie di telefonate dei prefetti ai direttori dei giornali. Oppure se veramente Filippelli, Finzi, Cesarino Rossi, gli incutessero qualche paura per ciò che potessero rivelare era sempre in suo potere di sopprimerli garbatamente simulando una serie di suicidi che il buon popolo avrebbe applaudito come segni del favore divino e della giustizia sommaria della storia. Il Presidente normalizzatore poteva ancora più eroicamente chiamare Tittoni agli Esteri, Orlando alla Giustizia e Soleri ai Lavori pubblici, in nome del mito della patria in pericolo e governare col presidio dell'olocausto vivo di tali sacrificati, comoda decorazione di un ministero manganellatore e pugnalatore. Mussolini diede l'impressione di aver subita una sconfitta perché non seppe ricorrere a nessuna di queste soluzioni decisive, degne di uno statista quale egli si proclamava. La vittoria delle opposizioni nacque di qui: fu un fatto negativo. Forse tra il giovedì della settimana del delitto e il martedì successivo sarebbe stato possibile sorprendere il duce, approfittare della sua paura. I Collari dell'Annunziata, i capi della opposizione costituzionale, dovevano andare dal Re, i partiti proletari agire con le masse, i gruppi locali, obbedendo a fermenti naturali, chiedere le dimissioni del governo: abbiamo visto che il Presidente usa sopravalutare manifestazioni di questo genere, turbarsene come degli articoli dei giornali: la sua forza, la sua volontà, la sua energia sono un mito; egli è il buon romagnolo spavaldo coi timidi, bellicoso in tempo di pace, ma nelle bufere pacifista e sempre preoccupato del suo destino, e della sua sicurezza. L'avventuriero perde la testa durante il pericolo: la sua ossessione è di essere retrocesso; non si è abituato a considerare il suo dominio come una cosa stabile, non ne riceve calma e fredda attitudine alla decisione. Abbiamo fatto l'esperimento: si può profetare che Mussolini si sarà perduto dalla sua innocenza non dall'audacia. Il segreto del regime è nella teatralità, nella sua giusta rispondenza alle abitudini di viltà e di sottomissione degli italiani. Sotto questo aspetto la più grande qualità di Mussolini uomo di governo è la sua conoscenza e il suo disprezzo per il popolo italiano, benché non si possa dire sino a qual punto egli giochi sulle qualità di Pulcinella e da qual punto incominci a essere parte e vittima del giuoco. Dopo tutto anche Mussolini domatore è italiano di Romagna e a vivere con le fiere addomesticate... Secondo noi è sempre prudente che ci siano dei buoni medici a sorvegliare i finti pazzi. Ora tutta questa psicologia non basta. La faccia feroce e l'indulgenza teatrale avevano un sostegno: il secondo segreto del regime: il principio maschio e attivo era il cinismo di "Cesarino". Senza Cesarino il giolittismo di Mussolini sarebbe stato nient'altro che la vanità e la civetteria di un temperamento femminile. E' ora di dividere le parti, di riconoscere i meriti del comm. Cesare Rossi. Non per lui mancò che si desse all'Italia un bel regime cinquecentesco, fondato sullo storico presidio della forza spavalda e oscura del sicario e sul seducente mistero della congiura. Egli non tradì il nome: non ebbe le paure del parvenu ambizioso, né gli isterismi della femminuccia che è nascosta in ogni attore, anche quando egli recita dal Campidoglio. A Cesarino Rossi non si può negare - per così dire - l'onore delle armi - come non si nega a un brigante che ha sempre esercitato a viso aperto la sua professione. Non è uomo da ergastolo: la sua arte degli intrighi ha il diritto di essere soppressa in piazza da un nemico comunista. Intanto è certo che al Presidente riesce difficile sostituirlo: e la sua politica sembra scolorita per questo. Dal '19 in poi Cesarino è stato l'anima dell'azione fascista, lo spirito esecutivo, il confidente spregiudicato, il vero segretario di un potere che poteva ridursi senza di lui a una mera consolazione decorativa. Tutti i ras possono nascondersi di fronte al cinismo e all'energia fredda di quest'uomo, capace persino di fingere il sacrificio di costituirsi, dopo aver stabilito le difese. Nel momento attuale, mentre le opposizioni non vogliono creare diversivi e lasciano l'iniziativa al nemico, Mussolini accenna a riprendersi. Tanto meglio: se avessimo potuto liquidarlo con lo scandalo, sorprendere la sua debolezza; avremmo dovuto vergognarci inesorabilmente di noi, poiché evidentemente nessun specchio più infallibile alla nostra coscienza, che le qualità degli avversari. Vincere Mussolini deve significare vincere il fascismo; lo squadrismo, le camice nere. Oggi in Italia il fascismo e le forze armate sono indiscutibilmente col presidente, non scosse, non indebolite: rappresentano l'organizzazione più salda, che domina il paese. Le opinioni devono lavorare nel paese, organizzare la resistenza in tutti i campi, senza ottimismo e senza incertezze. Non bisogna aver fiducia nei mezzi facili e rapidi. Ridicolo confidare nello sfacelo interno delle forze governative: la maggioranza non si ribellerà al fascismo e ribellandosi ne sarebbe dominata. Ci fu chi pretese puntare sull'incognita Federzoni. Federzoni è un perfetto mussoliniano, né la sua astuzia arriva a superare il senso di sottomissione del gregario. I suoi numeri politici sono limitati: la sua ambizione è troppo cauta e mediocre per consentirgli gli spiriti del pretendente. Basterebbe un veto di Farinacci per stroncare la fondamentale pigrizia del bolognese. Contare sul Re e sull'esercito non è nei nostri gusti: non siamo dei Ciro Menotti in ritardo. Non è vero che il rimpasto abbia diminuito la forza del Governo. I quattro ministri nuovi gli hanno dato un tono più apolitico, più mediocre, più incolore: ciò è sempre utile per accrescere i numeri del nuovo mussolinismo e per mantenere intatte le forze fasciste. Coi sottosegretari il fascismo riconquista le posizioni più delicate; la provincia marcia un'altra volta su Roma, i ras passano al centro. L'estate maturerà il consolidamento, complici l'ozio e le dimenticanze. Al prossimo ottobre nessuno riuscirà ad illudersi che Mussolini non sia padrone della situazione. Gli sarà facile darne la prova con altre violenze, indispensabile arte del nuovo governo. L'Italia avrà subito intanto la più grande disfatta di politica estera: Mussolini non osa andare a Londra: e anche questo rientra nel suo temperamento. Recandovisi sarebbe un isolato. Sforza e Nitti sono stati i soli uomini capaci di fare per l'Italia una politica estera seriamente nazionalista. Il fascismo riprende le tradizioni del primo giolittismo che non faceva politica estera: tradisce gli interessi nazionali, pago delle consolazioni della politica interna. Mussolini è l'esponente del più gretto pacifismo, delle rinunce più radicali a qualunque funzione europea dell'Italia. Il nazionalismo confessa in lui i suoi istinti provinciali, la sua impotenza retorica e infantile. C'è lo spettro pauroso di Sédan nella turbata fantasia del romagnolo avventuroso; dai suoi stessi sogni napoleonici egli è consigliato alla prudenza e all'ignoranza della moderna politica delle democrazie europee. Ma neanche le umiliazioni della politica estera serviranno a liquidare il fascismo in Italia. La politica internazionale dispiega le sue influenze sulle singole politiche interne a lunga scadenza: il solo effetto attuale nei nostri riguardi consiste nelle nostre dimissioni da grande potenza. Mussolini e Federzoni ci hanno ridotti al ruolo della Spagna. Le opposizioni dunque devono far da sé. Devono creare una classe dirigente superiore e preparare con pertinacia la situazione nella quale ci sarà consentito di liberarci da una politica parassitaria di piccoli interessi provinciali. p. g.
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