IL PROBLEMA SARDOIII.Le riforme e l'opera legislativaL'opera del Governo non può risolvere il problema sardo se questo nei suoi termini economici si riassume nella necessità di creare l'azienda agricola e di poter impiegare il capitale mobile in essa. Senza capitale mobile non c'è agricoltura moderna e l'opera dello Stato non può essere in nessun modo opera di capitalista. Tuttavia l'opera dello Stato potrebbe preparare per certi lati la soluzione del problema secondo tre principali direzioni: 1. Garantendo la sicurezza pubblica; 2. Creando le strade, e le altre opere pubbliche indispensabili; 3. Aiutando l'opera di bonifica e la lotta contro la malaria. La delinquenza è rimasta una delle piaghe più gravi e economicamente dannose. Essa dipende in gran parte dalle speciali condizioni psicologiche affermatesi durante secoli: il sentimento dell'indipendenza alimentato dalla pastorizia, la difficoltà di stabilire un ordine nelle zone montuose, la lotta tra pastorizia e agricoltura resa ancora più violenta dallo spirito di vendetta. Si capisce come contro tale stato di disordine i governi passati abbiano escogitato sistemi difensivi e preventivi che a noi sembrano anacronistici come gli incarica e il baracellato. Per il periodo 1879-1888 la Sardegna figura come capolista negli omicidi qualificati con 8,24 per 100.000 abitanti; nelle grassazioni con 1,84; i furti sono 439,99 per ogni 100.000 abitanti. Nel quadriennio 1890-1893 la Sardegna ha il primato negli incendi e inondazioni prodotti delittuosamente con 93,10 su 100.000 abitanti e nelle usurpazioni e dannegiamenti con 432,28. Queste cifre sono venute notevolmente diminuendo negli ultimi anni mentre restano spaventosamente diffusi i furti di bestiame e l'abigeato. Basti ricordare che nel 1917 si ebbero in tutta l'isola 1236 abigeati per un valore di lire 797.592, nel 1918 se ne ebbero 1834 per un valore di lire 1.517.704 oltre un numero considerevole di danneggiamenti. Il male è più impressionante nella provincia di Sassari che in quella di Cagliari per influenza della zona montuosa dello Ozierese e del Nuorese e per mancanza di strade. Si può ritenere che le cifre esposte siano anzi aumentate negli ultimi anni probabilmente per effetto dell'aumento del valore del bestiame. Il crescere di questa forma di delinquenza è tanto più impressionante in quanto ne viene minacciato uno dei principali patrimoni della economia isolana. Lo Stato italiano continuò la sua trascuranza secolare e l'assenteismo dei governi che lo precedettero rispetto a questo problema. La Sardegna ha nominalmente appena 1700 carabinieri laddove la Corsica, di due terzi più piccola, ne ha più di cento. Calcolando che 1400 militi possano dedicarsi alla polizia campestre ne risulta che ad ogni coppia di carabinieri toccherebbe la sorveglianza di 34 chilometri quadrati! Dopo ciò non dovremo più stupirci di sentire le lagnanze dei sardi sul cattivo funzionamento della polizia locale. Lo Stato liberale per adempiere al suo dovere precipuo di garantire la sicurezza pubblica dovrà in Sardegna portare la forza dei carabinieri a 3000 uomini almeno a cavallo e costruire caserme nei luoghi di passaggio obbligato per il bestiame. E' necessario inoltre che si dia rapido corso mediante indagine telegrafica alle denuncie di furto e che contro i danneggiamenti si comminino pene più severe. Un secondo indice delle cattive condizioni culturali e spirituali del popolo sardo si può ritrovare nella grande diffusione dell'analfabetismo. Nel 1901 sapevano leggere su 100 abitanti aventi oltre sei anni 31,7; nel 1911, 42 dei quali il 48% maschi e il 35% femmine. La lotta contro l'analfabetismo è stata ora intrapresa coraggiosamente dall'Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno. Per l'attività dell'ispettore Zanini si sono fondate in pochi mesi 116 scuole serali, 23 festive e l0 diurne con un totale di 6.300 iscritti. Ancor più grave appare la deficienza di scuole agrarie e minerarie, che diano al lavoro e alla produzione direttive a mano a mano adeguate ed organiche: ma qui tutto si attende dalla iniziativa privata che sola si può commisurare alle esigenze variamente individuate e precisamente connesse con le intraprese economiche e con la fisionomia generale dell'attività sociale. Invece l'iniziativa del Governo è indispensabile nel campo dei lavori pubblici. Sin qui le leggi speciali a nulla sono valse e si sono risolte in promesse non mantenute. L'esame della legislazione speciale per la Sardegna si ridurrebbe a notare senza variazioni questo tema. Per esempio la legislazione piemontese si occupò pochissimo di opere stradali; e la seguente legislazione italiana trascurò il problema tanto nel '69 come nel '75. Non si conoscevano le condizioni dell'isola rispetto alle strade, poiché l'opera del Lamarmora fu conosciuta e sfruttata soltanto all'estero; si aveva in disistima profonda la regione, disistima che risale al Trattato di Utrecht e si credeva infine che la legislazione piemontese già avesse abolito le più gravi condizioni di inferiorità. Così la Sardegna venne esclusa dalla legislazione speciale che ha il Mezzogiorno. L'isola è la decima parte del Regno in quanto a superficie (Sardegna, kmq. 24.090; Italia, prima della guerra, 286,684). Ora si guardi, tenendo presenti le dette proporzioni, alle spese che si sono fatte per la Sardegna dal 1862 al 1920 e si confrontino con le cifre totali del Regno: SARDEGNA
ITALIA
La Sardegna ha così avuto un totale di opere pubbliche di 190.895.200 lire di fronte a 13.533.491.100 dell'Italia. Ossia meno di 1,4 %, mentre avrebbe dovuto avere quasi un 10 %. La sperequazione sussiste anche se si fanno i calcoli in base alla popolazione invece che alla superficie. L'ingiustizia legislativa è specialmente grave in rapporto al problema delle comunicazioni da cui dipende in certo senso tutto il problema sardo dalla sicurezza pubblica al miglioramento dei commerci e allo sfruttamento minerario. Nel 1910 la Sardegna aveva infatti soli 4572 chilometri di strade rotabili. Nel 19l4 aveva 189 metri di strade per chilometro quadrato mentre l'Emilia ne aveva 875, la Sicilia 302, la Calabria 304, e la stessa Basilicata 232. Il problema delle strade in Sardegna è poi peggiorato dalla permanenza di guadi di torrenti che non si possono affrontare in certe epoche senza pericolo. La costruzione delle linee ferroviarie fu affrontata in Sardegna assai tardi. Nel 1871 la rete sarda comprendeva soltanto 151 chilometri, nell' '86 431. Ma nel 1912 la rete sarda raggiungeva chilometri 1033, pari a un 17° della rete nazionale. La Sardegna aveva dunque per 100 chilometri quadrati di superficie 4,288 chilometri di ferrovie di fronte a 6,061 del regno mentre su 10.000 abitanti ne aveva 11.697 chilometri di fronte a 4,931 nel Regno. Si può notare di passaggio, contro le esagerazioni degli isolani che hanno discusso il problema, come la maggior parte delle sperequazioni legislative a danno dell'isola si riducono a un problema centrale di demografia. Uno dei problemi che non si può risolvere senza l'intervento dello Stato è il problema idraulico che, secondo l'Omodeo, sarebbe la base di ogni azione di riforme in Sardegna. I grandi serbatoi del Tirso, del Flumendosa, di Ballas, del Tomo potrebbero contenere circa 900 milioni di metri cubi d'acqua che basterebbero a produrre circa 500 milioni di Kwt e irrigare 120.000 ettari di terreno. Secondo l'Omodeo sarebbe così possibile la cultura intensiva e industrializzata; si potrebbe moltiplicare il raccolto delle erbe foraggere e sviluppare così enormemente l'industria zootecnica. Il piano dell'Omodeo è ardito e grandioso; ma noi siamo alquanto scettici sul suo rendimento economico sembrandoci che il solo modo per dimostrarlo utile sia quello di lasciarlo all'iniziativa privata chiedendo allo Stato non capitali ma appena qualche agevolazione tributaria. Invece l'opera dello Stato oltreché per le scuole, le strade (e opere connesse) e la sicurezza pubblica, come si è detto, appare necessaria per aiutare la bonifica agraria secondo disposizioni analoghe a quelle della legge sull'Agro romano; a promuovere opere igieniche come acquedotti e fognature; a dare incremento alle opere sanitarie senza le quali sarà impossibile resistere alla malaria. La Sardegna non ha bisogno di uno Stato paterno e socialista che metta in opera progetti e illusioni di dubbia utilità per il reale progresso psicologico ed economico dell'isola anche se apparentemente seducenti. Essa chiede allo Stato liberale soltanto di garantirle le condizioni politiche e sociali obbiettive che permettano l'iniziativa individuale. Le riforme durature sono quelle che si realizzano attraverso secoli di lavoro, per lo spirito di iniziativa di tutto il popolo e per la costanza delle direttive seguite secondo le leggi autonome dell'economia. BIBLIOGRAFIAALBERTO LAMARMORA: Voyage en Sardaigne ou Description statistique, physique et politique de cette ile. Paris, 1826. E considerevolmente aumentato, Torino, Bocca, 1857. - Itinerario. Bocca, 1860. BAUDI DI VESME: Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna. - Torino, 1848. SALARIS: nell'Inchiesta agraria del Jacini. CATTANEO: Della Sardegna antica e moderna, in Opere raccolte dal Bertani, vol. III. C. BALDRACCO: Cenni sulla costituzione metallifera della Sardegna. Torino, 1854. QUINTINO SELLA: Relazione (sull'industria mineraria in Sardegna). Roma, 1871. ANGELO COSSU: L'isola di Sardegna. Roma, anno 1900. GEMELLI: Rifiorimento della Sardegna. Torino, 1776. CAMILLO CAVOUR: in Scritti, pubblicati da D. Zanichelli, Bologna, vol. I. F. CHESSA: Gli ademprivii e la loro figura economica in Sardegna. Roma, 1906. PAIS: Relazione dell'inchiesta sulle condizioni economiche in Sardegna. Roma, 1896. LEI-SPANO: La questione sarda, con dati originali e prefazione di L. Einaudi, Torino, 1922. NICEFORO: La delinquenza in Sardegna. Palermo, 1897. CARBONAZZI: Le operazioni stradali in Sardegna. Torino 1832. MURGIA: Strade. Sassari, 1919. OMODEO: Il problema sardo in Problemi Italiani. Febbraio 1923. |