L'opposizione popolare

    In questo articolo ci sembra di poter notare uno dei segni più chiari del rinnovamento che si è venuto svolgendo nelle file del Partito Popolare e una delle prime voci perfettamente coscienti delle nuove funzioni che devono assumere i moderni partiti democratici. Non sarà mai detto abbastanza che Rivoluzione Liberale vuole appunto contribuire a creare questa serietà nuova in tutti i partiti moderni italiani, pur mantenendo ferme critiche e riserve di carattere programmatico.

    Dalle elezioni del 6 aprile - che rivelarono, ad onta di tutto, una profonda e tenace vitalità del P. P. I. - al primo voto di fiducia della cosidetta XXVII legislatura, è stato agitato nell'interno del P. P. I. il problema della sua opposizione. Ciò è avvenuto con appassionato interessamento delle parti in contrasto, e con una certa contenuta drammaticità; anche se scarsa e scolorita ne sia stata la sensazione all'esterno.

    Non si è discusso - né evidentemente lo si poteva - sul fatto dell'opposizione popolare. Esso, virtualmente, era incontrovertibile fino all'indomani del Congresso di Torino; e le cautelate impostazioni degli organi dirigenti del Partito e la troppo remissiva attitudine del vecchio gruppo parlamentare ad altro non servirono che a svuotare di gran parte del suo contenuto ideale e politico il fatto dell'opposizione, con qualche non lieve danno per il Partito. Ma dopo la burrasca elettorale, anche per il più cieco ottimista la dichiarata opposizione popolare non poteva non essere irrevocabile e fatale. Quindi il dibattito e il dissenso dovevano polarizzarsi intorno al metodo ad alla finalità di essa opposizione.

    A chi non conosca davvicino il Partito Popolare e non abbia compreso la delicatezza della sua struttura organica - composta essenzialmente di cattolici - e non ne abbia penetrata la sostanza ideale che si riassume nella sua vivente ispirazione religiosa, può sembrare oziosa e quasi sofistica una simile sottilizzazione; mentre rivela il travaglio di un movimento politico che nel campo della pubblica attività è spinto a trasferire il senso della responsabilità e della eticità quale promana dalla coscienza morale e religiosa dei suoi componenti.





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    Potrebbe assai giustamente osservarsi che metodo e finalità sono, in un certo modo, correlativi; che, anzi, il primo è in subordine alla seconda. Quale la finalità che i popolari pongono alla loro attività di opposizione?

    Sarebbe semplicistico e leggermente puerile credere che la benefica crisi interna attraversata recentemente dal P. P., per effetto della spietata pressione fascista, abbia veramente svuotato il Partito di tutto il vecchio elemento clerico-moderato-conservatore. Una certa parte - sia pur piccolissima - vi è rimasta acquattata tra le file; qualche esponente è ancora in vista con cauti atteggiamenti di non compromissione. Ebbene costoro costituiscono, in un certo modo, la accorta retroguardia rimasta nel Partito per frenarne gli impulsi e gli atteggiamenti rinnovatori e - all'occasione - per costituire il ponte di... ritorno, o l'anello di congiunzione con i fuorusciti.

    Si spiega come castoro tollerino per necessità di cose, subiscano mal volentieri l'opposizione popolare e ne auspichino con ogni fervore la fine, nel ritorno ad una collaborazione purchessia.

    Minoranza esiguissima, che si vede e non si vede, non può destare serie preoccupazioni, staccata com'è dalla vita fresca e attiva del Partito. E' destinata a perire definitivamente col disfarsi ormai irreparabile delle sue flaccide illusioni.

    Invece il largo ceto - dirò così - dirigente del Partito, è preso nella stretta di questo quasi tragico dilemma: auspica sinceramente - per dovere di coscienza - la normalizzazione e la pacificazione della vita politica del paese; ma non ci crede!

    L'impulso generoso della coscienza popolare si orienta e si protende spontaneamente verso la normalizzazione e la pacificazione: (e non è - si badi - generato tanto da prospettive di collaborazione, quanto da un onesto proposito di convivenza) ma la fredda e realistica valutazione della situazione politica induce a disperare del riassestamento di essa, o quanto meno lo lascia intravvedere assai lontano ed incerto, attraverso turbamenti e sconvolgimenti ancora profondi.





    Da tale incerta impostazione finalistica deriva il metodo dell'opposizione popolare, oggi in vigore, e che potrebbe dirsi autonomistico. Non si crede cioè né alla possibilità, diciamo etico-politica, né all'opportunità e convenienza d'una saldatura delle varie opposizioni in parlamento e nel paese. Anche se si riuscisse a superare quel certo naturale senso di repulsione, più che di diffidenza, verso strette combinazioni con altre formazioni politiche avverse e spiritualmente lontane, praticamente l'alleanza opposizionista - così ragionano i popolari autonomisti - o porterebbe ad un rovesciamento rapido e completo della situazione, da operarsi, si capisce, con mezzi violenti - e quindi con la peggio per i popolari che da tali mezzi rifuggono - o ad una sterile parata protestataria che avvantaggerebbe il socialismo, il quale cova sempre profonda l'avversione per la libertà dei popolari e dei cattolici.

    Di qui la libertà, l'indipendenza, l'autonomia della opposizione popolare, intesa a difendere strenuamente il suo programma ed a prepararne l'integrale attuazione quando - in un tempo non lontano - i popolari costituiranno necessariamente la classe politica dirigente.

    Tale impostazione - che potrebbe dirsi integralista - risente di qualche pregiudizio non ancora del tutto vinto nell'animo dei popolari, membri - come cattolici - di non lontane oppressioni anticlericali; ma è sopratutto astratta e schematica, moralistica ed un po' troppo avvenirista: non politica e non realistica.

    Ora il popolarismo - come esclusivo movimento politico aconfessionale - ha in sé o può avere gli elementi sostanziali per tradursi in un mito che neghi e superi la immediata realtà, ed operi nel profondo delle coscienze in vista di un nuovo, trasformato, rovesciato avvenire? Non è invece - più e meglio - una forza politica che si interferisce ed opera nel quadro delle altre forze politiche immediatamente, con finalità di lenta, assidua, progressiva permeazione e trasformazione attraverso la quotidiana pratica politica, nel processo delle parziali riforme e delle graduali conquiste, secondo le esigenze delle sue inderogabili premesse democratiche?





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    V'ha un'altra minoranza - assai più cospicua della prima - la quale pone e risolve il problema della opposizione popolare in modo assai netto e preciso, almeno teoricamente.

    Se non si può - né, in certo modo, si deve - credere alla normalizzazione, la quale, nella più rosea ipotesi, altro non sarebbe che normalizzazione fascista - cioè pax si, ma pax fascista - e si deve invece tendere - con minori o maggiori, prossime o remote probabilità di successo, non importa - al rovesciamento della situazione, all'abbattimento della dittatura reazionaria, plutocratica e violenta, per sostituirle un regime di integrale e moderna democrazia, credete voi che il miglior modo per raggiungere l'intento sia quello di marciare divisi, sia pure per colpire, qualche volta, uniti, o non avvertite invece la necessità di preliminare, di coordinare, armonizzare, intonare le forze e gli sforzi comuni? Che un blocco parlamentare - fatto con tutte le regole - delle varie opposizioni sia per essere sterile, ciò è più che probabile, data l'attuale anormalissima situazione parlamentare. Ma il conquistare da soli un posto di vice presidente della Camera con 45 voti, su 535, e vedersi per giunta truffati spiritosamente per gli altri intangibili diritti delle minoranze, non è meno e peggio di qualsiasi più dura sterilità bloccarda?

    Tuttavia non è di blocchi che si parla, ma di intese tali che valgano ad impedire il comodissimo giuoco avversario di trovarsi di fronte più e svariate opposizioni, anziché una organizzata e intransigente opposizione, almeno sulle questioni più vitali e fondamentali, quale ad esempio la negata legittimità della Camera attuale.





    E poi, fuori della Camera - certo la meno atta a risolvere la nostra tragica crisi - nel paese, come straniarsi in tanti atteggiamenti negativi, e non cooperare per tracciare alla coscienza pubblica - già tanto disorientata e stordita - una linea di riscossa e di rinascita, per sospingerla verso la riconquista di sé medesima, per evocare in essa la sua fede profonda ed inespressa in quei pochi e semplici principii etici e politici che sono come i cardini di ogni ordinamento democratico?

    Oggi non è il tempo della specificazioni sottili, delle scissioni e delle moltiplicazioni di formazioni politiche, chiuse in sé stesse ed avverse, separate da fragili diaframmi ideologici, sospese al filo sottilissimo di apriorismi e di astrattismi vuoti di contenuto politico. Oggi per vincere il disorientamento e l'aberrazione degli spiriti, per superare e svellere la dittatura e la reazione, v'è d'uopo di vasti concentramenti di consensi, di propositi, di attività. Il termine di polarizzazione è la democrazia che vuol dire libertà e giustizia. Se essa sarà - come può e come deve - permeata dallo spirito del cristianesimo ciò vorrà dire una più alta conquista dei tempi e il frutto di una così lunga espiazione. La libertà e la giustizia si sublimeranno allora veramente nella carità cristiana.

    Ma non straniamoci da questo erompente empito di democrazia che scuote il cuore del popolo, e che domani si tradurrà in forme ed in opere di vita civile. Non macchiamoci della colpa di veder rinascere - la democrazia moderna - laica ed anticlericale.

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    L'opposizione popolare è fatalmente destinata a svolgersi secondo questa corrente ideale e pratica. Nel paese si può dire è già così; la comunanza dell'oppressione e della persecuzione che scopre e rivela nitidamente la profondità e la sincerità della fede reciproca, opera come elemento di affratellamento non solo nella sventura ma pure nella speranza e nell'attività della rinascita. Molte diffidenze, molti pregiudizi piccoli e settari cadono: la vita politica si riduce a ciò che di essenziale, di perenne, di vitale v'ha in essa. Nel parlamento, il maturare ed il precipitare degli eventi avranno ragione delle ultime titubanze e degli ultimi timori.





    Il movimento politico popolare non è un'effimera ed artificiosa costruzione del dopo guerra, come alcuni mostrano ancora di ritenere: è il prodotto di una immanente esigenza dello spirito moderno, di conciliare, di armonizzare la coscienza religiosa del cattolico, con la coscienza democratica del cittadino: il popolarismo - o la democrazia cristiana - è la sintesi, forse non perfetta, ma certo perfettibile di questi due termini, di questi due dati della coscienza moderna.

    Nella rinascita della democrazia - che non può essere se non antifascista - esso non può essere tagliato fuori: ne è, ne deve costituire un elemento sostanziale propulsivo e polarizzatore di primissimo ordine.

    Se questo compiutamente non sentono tutti i capi del partito, questo avvertono lucidamente e ormai irrefrenabilmente le masse popolari, nel loro semplice e sano istinto politico. Del resto gli avvenimenti - di tanto più forti delle intenzioni degli uomini - s'incaricheranno di chiarire a tutti la necessità e la provvidenzialità di tale sbocco alla opposizione popolare.

ATTILIO PICCIONI.