MATTEOTTI

    Ho conosciuto Matteotti al discorso Turati a Torino. Ci si intese subito nell'antifascismo. Anche lui lo sentiva di istinto. Nella fronte corrugata a serietà, negli occhi fermi e pensosi, nelle labbra atteggiate a tagliente ironia avvertii un vero stile di oppositore.

    Il suo assassinio deve dunque far parte di un piano raffinato che non può non esser stato dettato dall'alto. Il gregario furioso, il fascista esaltato potrebbe colpire Turati, Maffi, Lazzari. Ci vuol un'intelligenza fredda e calcolatrice per scoprire l'avversario vero in Matteotti, l'oppositore più intelligente e più irriducibile tra i socialisti unitari, il più giovane d'anni e d'animo di un partito che si ricorda troppo di Pelloux.

    Giacomo Matteotti era uno spirito troppo aristocratico per avere la notorietà degli altri capi del socialismo. Alle facili questioni di metodo e di tendenza aveva preferito la dura preparazione nei problemi economici e finanziari. Anche col fascismo voleva fare questione di dati e di documenti. Non avrebbe mai potuto commuovere un pubblico popolano; la sua voce precisa e nervosa, un poco velata, pareva fatta per l'assemblea parlamentare, per le denunce specifiche, per le accuse inesorabili. Era uno dei due o tre spiriti superiori del Parlamento. Contro uomini come Matteotti, Amendola, Treves, il fascismo sente che non riuscirà più a venire a patti, che deve usare la violenza. Si vuol uniformare uomini e costumi, eliminare chi non si arrende alla semplice intimidazione.





    Nel caso Matteotti si riusciva anche a colpire l'uomo a cui fa capo l'organizzazione di un partito. Pochi nel gran pubblico conoscono la sua opera di organizzatore. Nel '19 e nel '20 egli aveva meditato solitario i problemi dell'organizzazione rivoluzionaria; oggi era il più instancabile nello studiare le posizioni di difesa. Lo ricordo persecutore dei collaborazionisti e dei dubbiosi del suo partito, col suo sguardo penetrante di dignità superiore incuteva timore e soggezione. Matteotti e i confederazionalisti: chi può dire, quanta influenza egli abbia avuto nel fermare l'esperimento della collaborazione di cui si parlò nel 1922-23 per Baldesi, D'Aragona e compagni? Nelle questioni di disciplina Matteotti la faceva da deus ex machina e io mi ricorderò sempre il suo viso bonario e arguto di scrutatore implacabile alle prese col buon Colombino che cercava di farsi perdonare le sue scappatelle di borghese conciliante e alla mano, con le freddure gastronomiche e con il machiavellismo piemontese. Il partito socialista ebbe una gran fortuna di trovare per guida un giovane come lui in un momento in cui tutti i quadri erano dei vecchi sopravvissuti di altre battaglie, o i cosidetti tecnici sindacali, o uomini deboli e sentimentali. Matteotti non era dotato delle qualità decorative che quasi sempre si trovano in un capo, ma ne possedeva l'energia, l'inflessibilità, il fascino personale. Tutti i segretari di sezione hanno sentito di avere in lui un controllo e un collegamento.





    Nulla di fortuito dunque nel suo assassinio. Col cinismo della guerra civile si è voluto eliminare il capo d'uno Stato Maggiore.

    Non saremo così ingenui da chiedere che si faccia giustizia dell'assassinio del nostro amico. In certi casi la giustizia diventa il problema di due civiltà, di due principii in lotta. Se la opposizione ha un compito deve smascherare il gioco del mussolinismo che tende, liquidando qualche alto personaggio del fascismo, a creare un altro piedistallo al duce paterno, normalizzatore e addomesticatore. Invece si tratta di mettere sotto processo tutto un regime.

p. g.