LETTERE DALL'ESTERO

Le vicende francesi

PARIGI, giugno.

I.

    È interessante seguire i commenti del provincialismo nazionalfascista sulla situazione francese.

    "È un penoso spettacolo che la Francia offre al mondo". "La sconfitta d'un Gabinetto si trasforma in crisi di Governo e questa corre il rischio di precipitare verso la crisi di regime".

    "Vediamo allora quanto sia preziosa l'esistenza d'un capo dello Stato veramente superiore ai partiti com'è quello delle monarchie costituzionali".

    Il nazionalfascismo non può capire il problema di governo se non come problema di un capo. In Francia, patria storica e internazionale di tutte le libertà e di tutte le democrazie il problema del governo è problema di autogoverno. E' evidente che nessun francese si è domandato in questi giorni se il regime era in pericolo. La Francia non è nata ieri. Un'esperienza secolare garantisce la sua stabilità. Lo spirito giuridico francese può dedurre, anche da una Costituzione antiquata delle norme precise di azione moderna.

    La Costituzione è stata violata da Millerand o da Herriot? Ecco un problema assai meno importante per un cervello francese di quel che non sia per gli scrupoli costituzionalisti di un sovversivo italiano. La Costituzione vive nello spirito del popolo, prima che sulla carta. In tempo di contesa di poteri, durante la battaglia giuridica tra Herriot e Millerand è la democrazia francese, lo stile e la tradizione popolare, che governa la Francia. Niente pericolo per la unità, che soltanto le tirannidi e le dittature riescono a compromettere!

    Non si può comprendere la rapidità con cui la crisi francese si è svolta, la serenità con cui i cittadini l'hanno seguita, e la moderazione di uomini e partiti in causa se non si comprende questo principio fondamentale della politica francese: alla base dello Stato non è la costituzione, ma la coutume e l'iniziativa della Camera popolare.





    Se le Sinistre hanno, in un certo senso, violato il principio dell'indipendenza del Presidente dalle elezioni dei deputati, Millerand ha violato una tradizione assai pii importante e delicata: l'apoliticità del presidente ridotta nel corso degli anni a una funzione puramente rappresentativa, benché su questo punto le cinque leggi del 1875 non parlassero chiaro. Rispondendo energicamente a Millerand il popolo francese ha dimostrato di avere il senso preciso di ciò che è essenziale per la sua libertà e per la sua stabilità.

    Chi in Francia può prendere sul serio, alla lettera, la Costituzione del 1875? Essa presenta press'a poco la stessa attualità del nostro Statuto Albertino. L'Assemblea Nazionale che succedette a Sedan era una assemblea monarchica e conservatrice. Eletta l'8 febbraio 1871 essa impiegò 4 anni e 11 mesi a mettere insieme 26 articoli di costituzione. La repubblica ne venne fuori per il rotto della cuffia. Il programma dell'Assemblea era di ristabilire la monarchia. Per 4 anni e 11 mesi non si discusse la Costituzione ma si studiarono le vie possibili per mettere d'accordo le varie tendenze monarchiche. Messa fuori questione la famiglia napoleonica, per il ricordo troppo recente, il dissidio venne a ridursi tra il conte di Chambord, rappresentante del ramo borbonico, ossia di Carlo X, e il conte di Parigi, della famiglia di Orleans, erede di Luigi Filippo e della monarchia di luglio. Il dissidio era pressoché risolto a favore del conte di Chambord che non aveva eredi e avrebbe lasciato come successore legittimo l'Orléans. Ma la monarchia secolare di Francia volle dimostrare la sua definitiva decadenza in questo suo ultimo rappresentante. Il conte di Chambord era una testa cocciuta e inesorabile; un bel tipo di legittimista che preferì non regnare piuttosto di rinunciare al suo chiodo fisso di sostituire la bandiera bianca al tricolore diventato ormai simbolo della Francia moderna.

    Così i due partiti monarchici restarono divisi e l'articolo che senza affermare dogmaticamente l'ordine repubblicano diceva: "Le President de la République est élu..." fu approvato con un voto di maggioranza. In tutta la Costituzione si sente che la repubblica è stato un espediente, una transazione. Non si osa parlarne. Si lasciano aperti tutti gli equivoci, tutte le ipotesi di interpretazione. "Une constitution pedestre, une Cendrillon se glissant sans bruit entre les partis qui la dedaignent".





    Ma i buoni repubblicani che erano stati eletti l'8 febbraio 1871 tennero fermo alla loro tattica: di far accettare a qualunque costo la parola repubblica "le mot sacré", riservandosi di organizzare poi la sostanza, lo Stato repubblicano. In cinquant'anni la tattica ha dato i suoi frutti.

    I repubblicani francesi non si sono lasciati imprigionare dalle formule, non si sono preoccupati di restar fedeli a formule ambigue e improvvisate; hanno preferito consolidare lo Stato con le naturali revisioni della pratica che abolire del tutto le leggi del 1875.

    Oggi il colpo delle Sinistre si può dire un vero e proprio colpo rivoluzionario. Millerand ha ragione di preoccuparsi delle conseguenze. Ma è una rivoluzione maturata nelle coscienze, un'esigenza viva. La repubblica parlamentare francese fa un passo vigoroso verso i regimi di democrazia moderna. Se il popolo ha potuto l'11 maggio eleggere una Camera che si è rifiutata di riconoscere Presidente Millerand e lo ha liquidato evidentemente siamo in pieno regime di democrazia diretta. Nelle condizioni in cui le Sinistre hanno impostato la lotta elettorale si può parlare di un vero e proprio "referendum" e di un'applicazione del mandato imperativo. Così sotto l'apparenza di una modesta vittoria elettorale si viene prospettando in Francia una grande vittoria delle democrazie dirette. Non per nulla i nostri nazionalfascisti hanno incominciato a parlare della decadenza della sorella latina!

II.

    Gli uomini della Sinistra si troveranno a posto nella situazione che stanno per determinare? Si può contare su una nuova classe dirigente capace di superare i problemi più urgenti dell'ora? Gli uomini nuovi si vedranno alle opere. Pregiudizialmente la garanzia della situazione può fondarsi su tre persone: Caillaux, Herriot, Painlevé.

    S'incomincia a parlare apertamente della riabilitazione di Caillaux. Egli ha le sue colpe; ma le Sinistre non possono contare tanta ricchezza di uomini da rinunciare a un politico ed a un finanziere della sua qualità. C'è qualcosa d'avventuroso nel suo temperamento, ma i piccoli borghesi francesi si sentono il cuore in pace quando pensano di potergli affidare la direzione delle finanze nazionali.





    Tutta la politica interna ed estera della Francia nei prossimi anni dipenderà dall'opera dei finanzieri. Il problema della pace è essenzialmente oggi il problema dell'accordo tra l'industra del ferro francese e l'industria del carbone tedesca. Loucheur e Stinnes sono stati i simboli di questa politica in condizioni difficili e precarie; ma Caillaux l'ha preveduta prima che si profilasse, da quindici anni almeno. Dalla Francia e dalla Germania dipende l'ultima possibilità di una politica continentale dell'Europa che abbia un peso internazionale. Caillaux può portare a questa politica l'autorità di un'adesione morale delle democrazie operaie che vanno trasformando la Francia piccolo-borghese.

    Herriot viene anch'egli, come quasi tutti gli uomini politici francesi, dalla campagna. La pratica oscura della vita provinciale è l'ultima riserva di serietà per la civiltà francese e certo il fenomeno più caratteristico dal punto di vista demografico di questo popolo è per l'appunto questo accentrarsi e selezionarsi della periferia verso la capitale, questa partecipazione di uomini sempre nuovi (di cui il sistema democratico facilita l'ascesa) che la campagna risparmia per così dire con opera secolare, e che poi Parigi consumerà a beneficio dello Stato. Herriot porterà nella sua opera di statista la lunga pratica del sindaco di Lione. C'è un vigore semplice in quest'uomo dai capelli corti e ruvidi, dalle spalle quadrate, dal profilo rude, dal corpo grande e pesante. La sua energia può sembrare un poco nascosta sotto gli atteggiamenti pedagogici e professorali che gli sono consueti. Ma non è che la riserva dottrinaria dell'uomo che viene dai campi. Più profonda della sua oratoria, più sostanziale è la sua tenacia. Lo sforzo attraverso cui egli perseguì il potere con lungo e rettilineo noviziato ha trasformato questa sua tenacia in un'abitudine inesorabile alla democrazia, in una fede tradizionale nei costumi parlamentari. Il suo successo non dipenderà dall'originalità delle sue idee o dalla novità del suo stile. Egli è invece l'uomo fatto apposta per parlare alle assemblee coscienziose e mediocri un linguaggio tranquillo, chiaro, pesante, per esporre programmi impostati su formule evidenti, lucide, popolari, sempliciste. Herriot conosce i segreti delle idee, che possono prevalere nelle democrazie moderne, idee audacemente rettilinee, che abbiano contatto immediato colla vita quotidiana, idealistiche, disinteressate, che operino su quel fondo di aspirazioni nobili e internazionali che formano la sostanza della vita degli umili, o almeno il loro bisogno nascosto. Il linguaggio di Wilson e di Mac Donald.





    Nel viso rotondo e timido di Painlevé, nelle labbra tumide di bonomia e negli occhi ingenui, quasi proiettati in fuori, parimenti io leggevo - mentre egli mi esponeva il suo programma di politica estera - una fondamentale repugnanza dagli intrighi e dalle sottigliezze dialettiche, una assoluta fiducia nelle idee semplici e accessibili a tutti di giustizia, di pace, di dignità dei popoli. Painlevé manca probabilmente dell'energia e dell'astuzia provinciale di Herriot, ma gli è superiore per la sua ingenuità ragionante e per la sua testarda costanza di matematico illuminista. In un consesso internazionale Painlevé avrà sempre su tutti i diplomatici la superiorità del suo candore e della sua convinzione di credere soltanto a idee ragionate, a soluzioni documentate e dimostrate matematicamente. In fondo la raffinata diplomazia francese si regge proprio su questo virtù di semplicismo logico e di fiducia invincibile nell'illuminismo della ragione. Painlevé all'Eliseo o al Ministero degli Esteri sarà uno dei più bei tipi di uomini rappresentativi, impenetrabile proprio mentre sarà aperto a tutti l'accesso a lui. Egli è un decorativo che sa non tradirsi.

    Si può commisurare il tono di questi uomini e quello del passati governi? Sono essi inferiori o superiori a Poincaré, l'avvocato testardo e minuzioso, a Clemenceau, intollerante e cinico, a Tardieu, altero e audace? Queste domande corrono tra le righe dei vecchi giornali poincaristi. Anche a Mac Donald si opponevano rigorose pregiudiziali di questa specie: e invece Herriot, Painlevé, ecc. non sono certo uomini nuovi nel senso di Mac Donald. Essi hanno il culto dello spirito tradizionale del politico francese, quello di cui Barthou parlava nel suo ultimo libro.

    Ma essi portano essenzialmente un elemento nuovo, lo spirito aperto e solennemente europeo, la fiducia nella pace internazionale, l'attenzione alle plebi oscure che nelle democrazie moderne hanno bisogno di un linguaggio ideale. Anch'essi negozieranno la pace, si consumeranno nei convegni internazionali, perché questo è indispensabile, anche nella politica moderna. Ma non sarà stato un piccolo vantaggio aver cambiato anche soltanto il tono. La democrazia incomincia a chiedere questo agli uomini nuovi.





Crisi rinviata

BERLINO, giugno.

    Mentre in Francia la crisi ministeriale si è svolta rapidissimamente, la crisi ministeriale in Germania è rimasta ferma per quasi tre settimane. La colpa non è tutta della mancanza di senso politico e di esperienza parlamentare dei tedeschi, poiché la crisi in Francia è stata combattuta sempre nei limiti della Costituzione dai quali nessun partito voleva uscire. Invece in Germania una buona parte delle difficoltà risultava dal fatto che si cercava invano un accordo con un partito anticostituzionale, cioè coi tedeschi nazionali.

    I partiti medii, particolarmente i tedeschi popolari cercavano di costruire un ponte in parte per chiarire le posizioni relative, in parte perché credevano veramente che i tedeschi nazionali potessero aderire ai bisogni dello Stato repubblicano. Ma i tedeschi nazionali non furono capaci di uscire dal loro equivoco: o andare al potere e quindi fare una politica opportunistica o conservare il successo elettorale riportato per la negazione pura e semplice. Si sa che nel segreto delle loro sedute interne furono combattute aspre battaglie. In certi momenti pareva più forte l'ala sinistra (Hergt) che desidera governare; ma in fine vinsero i destri (Westarp), i cugini dei deutsch-voelkischen. Il risultato fu che il partito mise delle condizioni inaccettabili che fecero cadere la coalizione. Di queste condizioni sarà bene ricordarsi perché molto probabilmente ricompariranno ben presto. Esse erano: 1) nomina di von Tirpitz a Cancelliere; 2) scioglimento di tutti i Laender in cui prevalgono coalizioni a cui prendono parte i socialisti (1); 3) accenni più forti alla innocenza dell'Impero nella questione della guerra. E infine, o piuttosto in prima linea, accettazione del rapporto dei periti non senza condizioni.





    I partiti medii rispondevano che Tirpitz è un personaggio ingratissimo in America e in Inghilterra; che la composizione dei Governi dei Laender non è sotto la competenza del Reichstang e che specialmente il Governo prussiano ormai stabile da quasi tre anni ha lavorato abbastanza bene; che il rapporto dei periti è una cosa unica in cui è espressamente dichiarato che bisogna accettarlo o rifiutarlo. E un rifiuto completo non vogliono nemmeno i tedeschi nazionali.

    Il Governo di Marx è dunque rimasto al completo. Si è finito per capire che di fronte a una Francia di Herriot non può sorgere una Germania di Titpitz. Però nonostante i sessantaquattro voti di maggioranza, riportati del resto per una mozione indiretta, il Governo è tutt'altro che forte.

    Fra la socialdemocrazia cresce il sentimento che Stresemann nostalgico della destra non è l'uomo più adatto a condurre la Germania sulla strada di una riconciliazione definitiva. Infatti il suo partito preoccupato di non apparire meno nazionale dei nazionalisti ha fatto proprio in questo momento la domanda per un ritorno agli antichi colori imperiali. Domanda del resto senza possibilità di realizzazione perché ha bisogno dei due terzi per cambiare la costituzione.

    Molto più importante di questi rumori è però la situazione dei socialisti di fronte alla politica interna. Il Cancelliere ha parlato nel suo discorso programmatico esclusivamente della politica estera. Egli è riuscito così a raccogliere i voti dei socialisti, che pur non prendono parte al Governo. Ma non è possibile naturalmente fare sempre la politica dello struzzo, fingendo che la politica interna sia come una moglie onesta di cui non si parla.

    Ben presto il Reichstag arriverà alla conversione dei decreti legge, questione per la quale i socialdemocratici hanno già costretto una volta Marx a sciogliere il vecchio Reichstag. La legislazione economica è nel momento attuale di una importanza veramente decisiva. Non si osserva forse all'estero abbastanza bene la gravissima crisi che la Germania ora attraversa. Crisi di guarigione dopo il fiorimento artificiale dell'inflazione? Si, ma non perciò meno difficile. In un solo mese sono fallite più di 300 Ditte fra le quali vecchie Banche e grandissime Case industriali. La mancanza di credito specialmente nell'agricoltura prende delle forme sempre più vaste e la convinzione che solo dei crediti esteri potranno salvare l'economia del paese è generale.





    Ecco perché tutto l'ambiente industriale, bancario e commerciale, compresi molti aderenti dei tedeschi nazionali, è d'accordo coi lavoratori sulla necessità di accettare ed eseguire il rapporto dei periti. I partiti capitalistici che hanno creato il decreto che quasi abolisce le otto ore desiderano naturalmente di far pesare tutto l'onere della crisi sulle spalle del proletariato. Perciò è ben possibile che la coalizione borghese con i tedeschi nazionali e contro i socialisti sia fatta fra più o meno tempo. Una nuova crisi può scoppiare a proposito della conversione dei decreti legge a cui non possono consentire i socialisti, ovvero anche per la creazione delle leggi che risultano dal rapporto dei periti e che hanno bisogno di una maggioranza di due terzi cioè dei tedeschi nazionali per modificare la Costituzione (2). E allora? Si parla di un plebiscito: cosa difficile per un problema così grande e costituzionalmente dubbioso perché si tratta anche di questioni finanziarie (per le quali la Costituzione non ammette il plebiscito). Oppure nuove elezioni. Può darsi che queste darebbero risultati più favorevoli, per influenza della sinistra vittoriosa in Francia.

    In realtà la crisi non è risoluta: è solamente rinviata.

PROCOPIO.

(1) La condizione è specialmente importante per la Prussia dove esiste una coalizione tra tedeschi popolari, cattolici, democratici e social-democratici della quale è ministro degli Interni il socialista Severing, uomo abbastanza energico di fronte ai nazionalisti. I tedeschi nazionali vogliono cacciar via i socialisti e installarsi al loro posto per affermarsi nuovamente nell'amministrazione dell'antico feudo.