DEL SINDACALISMO APARTITICO

    Nelle mie osservazioni ad Augusto Monti "Sindacalismo e Statali" (in "Rivoluzione Liberale", 1924, N. 18), avevo preveduto la possibilità che il problema venisse innalzato a questione generale sotto la specie del seguente interrogativo:

    "Il produttore per il suo cammino verso il novus ordo deve attenersi al sindacalismo apartitico o seguire un partito che faccia del sindacalismo?".

    Piero Gobetti nella sua postilla (ibid.) - direi quasi, naturalmente, e come avevo preveduto - lasciata da parte la questione strettamente pratica ha aggredito quella di massima che io avevo soltanto posta ma non trattata.

    E l'ha aggredita secondo lo spirito della sua "Rivoluzione Liberale".

    Non sarebbe il caso, in una risposta ad una risposta (né ad ogni modo io sarei da tanto) di tentare di dar fondo alla questione da me posta così come sopra e che il Gobetti individua e risolve sbrigativamente dicendo: "Il sindacalismo apartitico dell'amico Riva è il sindacalismo soreliano che i teorici italiani e francesi ci presentarono come rimedio alle degenerazioni paternalistiche del riformismo".

    Tutto questo?

    Come? quella che io avevo chiamata una "religione palingenetica e pandinamica" sarebbe così poca cosa?

    Ma, ripeto, mentre è troppo sbrigativa e semplicista la "uscita" del Gobetti, non è da me farmi evangelista presso lui del verbo! Vorrei solo dirgli: affronti per esempio il "Manifesto dei Sindacalisti" di A. O. Olivetti.

    E allora sì che l'incontro fra Sindacalismo e Rivoluzione (Liberale) Gobettiana sarà nobile ed utile.





    L'accontentarsi di giudicare dai risultati - contingenti, dell'attimo che fugge - senza discutere a fondo Sorel, può apparire una cosa seria, ma non è che pragmatismo e non dei migliori.

    La storia e la filosofia del divenire umano, son cose troppo più ampie delle monche risultanze del tempuscolo cronistico dell'oggi, specie se veduto attraverso gli occhiali delle nostre fobie.

    Ciò premesso, non fa più meraviglia la meraviglia del Gobetti circa il contenuto criticista del sindacalismo, per cui serpeggia in seno all'anarchismo, magari al comunismo, e magari (horribile dictu!!!) in seno al fascismo.

    Ma è ciò la magnifica vittoria dello spirito sindacalista: è la sua condizione di essere il sale dell'universo che fa sì che il sindacalismo, che non è il formale vincitore, è il sostanziale animatore di tanti movimenti di teoria e di prassi.

    "Graecia capta ferum victorem cepit".

    I bigotti se ne scandolezzano: gli uomini di buona fede e di buona volontà che amano più la vita fluttuante al meglio che il bigottismo delle antipatie e delle formule, ne gioiscono.

    Ma sì: tutti sono stati e sono - nel dopoguerra - un po' sindacalisti.

    Eppure, le cavalcate trionfali non le fece il sindacalismo; ma a volta a volta o il sindacalismo rifo-comunista bianco o rosso o il sindacalismo fascista.

    "Sic vos non vobis"...

    Ma il sostanziale per la storia del movimento sindacale è il sindacalismo e non il caduco del figurino di moda.

    Combattentismo, Dalmine, Fiume, Occupazione delle fabbriche, Controllo giolittiano, Alleanza del lavoro, Fascismo, Unita sindacale, Indipendenza confederale, spinte o sponte, senza saputa o consapevolmente, buon grado o malgrado, sono una massa grandiosa di fenomeni che molto o poco furono affettati dal sindacalismo che è -senza forse - il fenomeno più importante ed attuoso del dopoguerra.





    E ciò è il fallimento, come dice il Gobetti?: ma è il fallimento da far invidia ai redditieri dei vari figurini partitici, se la parte di questi non caduca è il sindacalismo.

    L'associazionismo (solubile per mutuo consenso) pei libertali, il volontarismo pei comunisti, lo sperimentismo competenziale pei riformisti e per tutti, la visione ad un tempo mitica e realistica del nazionalismo, lo spirito di superamento di sacrificio, di eroizzazione, l'ideale della emancipazione totale; oh che bel cimitero da far invidia ai vivi!

    Ma c'è l'antiparlamentarismo, dice il Gobetti: ecco l'errore: benché lo accetti come parola di ordine rivoluzionaria, come scuola di intransigenza.

    Ma c'è l'apoliticismo, dice il Gobetti: ecco l'orrore.

    Dell'antiparlamentarismo diremo poi: è una questione piccola in confronto dell'altra dell'apoliticismo e la si risolve risolvendo questa.

    Apoliticismo?: ma se il sindacalismo alla politica del "citoyen" dell '89, aggiunge integratrice la politica del produttore!

    Questione di definizioni, egregio Gobetti.

    Apartiticità del sindacato - questo è il punto - ma non apoliticità del sindacalismo.

    Ecco due semplici concetti che anch'io da cinque anni vado ripetendo: ma pare non basti.

    Sindacalismo é politica totale: l'ottantanovismo di tutti i colori (fino ai più esasperati ed urloni) è politica parziaria tonitruante ma delusiva.

    E veniamo all'antiparlamentarismo.

    L'antiparlamentarismo soreliano fu un criticismo, anzitutto in linea di decoro personale, contro il mariannismo fanfarone di Francia e d'altrove.





    Ma poi non v'ha bisogno di ulteriori spiegazioni se ben si accarni la demolizione dell'accusa di apoliticità inventata al sindacalismo.

    Il sindacalismo critica il parlamentarismo in quanto si gabelli come soluzione totale di vita politica.

    È questione di definizione e di equazione.

    Il sindacalismo è politica totale.

    L'ottantanovismo e il suo Maometto il Parlamento non sono politica totale.

    Quindi chi è in difetto è il Parlamento e "a fortiori" il parlamentarismo che non li nega ma li supera.

    Nè si dimentichi che antiparlamentarismo non è antiparlamentismo e tanto meno aparlamentismo.

***

    In quanto all'aparticità

    Si è sindacati non in quanto si pensa in dato modo, ma in quanto si produce in dato modo, ed in quanto, per tale fatto produzione, si hanno dati interessi.

    Pertanto il movimento sindacale è quello che è: non può essere delimitato dalla siepe di una formula o dal reticolato di una violenza.

    Il movimento sindacale è di per sé stesso suddito e sovrano: si atteggia secondo i proprii bisogni, è contingibile, sperimentista, vale in quanto ha di competenza, di responsabilità, di dignità.

    Il dogma di un partito, avanzato oggi, è, domani, sorpassato, quindi reazionario: è aprioristico, ergo, non realistico, non sindacalista.

    Il movimento sindacale dovrebbe essere - per essere fisiologico - apartitico, non apolitico; apolitico è impossibile, è assurdo.





    "Autre chose est faire gouverner le travail, autre chose est satisfaire les grimpeurs" osserva giustamente il Sertillanges. Altro punto di dubbio teorico l'alleanza con un partito politico (che è dipendenza) solleva in noi: i partiti politici - salvatori del proletariato - in genere partono da un presupposto (magari in buona fede) infantilisticamente miracolista, che è il seguente: mutato l'apice politico del regime, credono (e certo promettono) che anche la base della piramide possa d'un "fiat" miracolosamente mutare.

    Noi pensiamo che "ab imis fundamentis" sia necessario sommuovere la base produzionistica creando nei sindacati dei nuovi, dei veri produttori che si imbevano - via via ascendendo - di tutti i raggi della spiritualità, della competenza, della tecnica, verso tappe sempre più alte e sempre più fulgide, fino alla emancipazione totale, fino alla libertà assoluta, fino all'ideale di un perfetto produttore che sia di sé stesso suddito e sovrano.

    Ma un altro pericolo noi rileviamo nell'appoggio facinoroso ad un partito: ed è che la massa non fida più in sé ma in qualche cosa che non è sé stessa, in un mito che non esprime dalla propria anima e dal proprio sangue: e vien quindi meno in essa quello sforzo verso il più alto, quell'anelito, quella volontà disperata che è il meglio continuamente attuato: che è la conquista base di nuove più eccelse conquiste.

    In quanto al Parlamento:

    Pietra angolare della nostra concezione, della nostra fede, della nostra volontà, delle nostre buone opere, è il sindacato, centripeto e centrifugo, che assorbe e irradia, unico e creatore.

    Il movimento sindacale è quello che è, è la vita nel sindacato dei produttori associati.





    Non devono i sindacati infeudarsi ad alcunché e ad alcuno che sian fuori del sindacato; ma deve essere lecito a dei sindacalisti fare - in tutti i campi - la politica dei sindacati che é avanti tutto la difesa della libertà dei sindacati.

    Da una parte la politica sindacale (e sindacalista) nel sindacato: accanto, la politica sindacalista (e sindacale) nella restante vita in tutti i suoi molteplici campi.

    E veniamo alle ultime battute del Gobetti.

    Esecutori testamentari di Sorel non sono i bolscevichi della dittatura del proletariato e tanto meno della dittatura della fazione oligarchica di Russia.

    Sindacalismo è libertarismo e Sorel fu sindacalista: e Sorel fu libertario: se fosse vero che Sorel avesse posto sotto il moggio la luce ed il calore della libertà, avrebbe del resto torto Sorel e non la libertà, avrebbe torto Sorel e non il sindacalismo.

    Ma, egregio Gobetti, il testamento di Sorel fu - nello spirito - documento sí ammirativo dell'intelligenza, dell'audacia del volontarismo dello spirito aquilino ed eroistico degli uomini nuovi, di Russia, Lenin, Troski, Cicerin, ecc...., (come ammiratori - specie in linea storica - ne furono e sono, ad esempio, anche D'Annunzio, Olivetti, Mussolini...).

    Ma Sorel capì perfettamente che i bolscevichi - "mutatis-mutandis" - secondo il diverso genio polietorico e le diversità geografiche e storiche - fecero, dopo più d'un secolo, in Russia l '89 della Francia!

    E restò e resta -teoricamente - sé stesso, Sorel: sindacalista.

UBALDO RIVA.




    Ubaldo Riva trasporta l'insegnamento di Sorel moralista nel terreno della realtà empirica. Di qui la funzione arbitraria che egli viene assegnando all'economia (che è base della politica ma come materia che ne vien regolata) e la sua esaltazione lirica del sindacato.

    A queste confusioni noi non abbinino che da opporre la nostra opera triennale di Rivoluzione Liberale. Non in ogni momento si può cominciare daccapo. La concezione del Riva é per ora una appassionata lirica. La discuteremo più particolarmente quando sarà politica. Altrimenti anche la nostra critica del progettismo dovrebbe risolversi in un noioso discorso filosofico.

    Ci basterà invece un rilievo. Che Ubaldo Riva col suo sindacalismo finisce, come noi avevamo preveduto, per accettare tutto, anche il fascismo e Mussolini. Certo tutto è eroico, dinamico, eccelso, per chi ci si contenta.

    Noi, quando una dottrina incomincia a servire per giustificare il fascismo, sentiamo il diritto di non discuterla. Come se quella dottrina fosse diventata cortigiana.

p. g.