FASCISMO ROMAGNOLONel "Popolo" di Roma del 25 maggio u. s. si leggeva la seguente corrispondenza da Faenza: "La crisi del fascio locale ha avuto in questi giorni una riacutizzazione ed una parziale soluzione colle dimissioni del Direttorio e del Segretario politico prof. Piero Zama. "I motivi di questa grave decisione vanno ricercati nella campagna che i locali dirigenti dell'Agraria fanno da un anno a questa parte al dott. Zama ed all'avv. Bracchini, sindaco di Faenza, ritenuti gli esponenti della corrente Baronciana nella nostra zona. "Come è noto, vi fu un momento in cui il dissidio minacciò di diventare drammatico, e fu allorquando per una polemica giornalistica col noto agrario e capo dei dissidenti dott. Nando Giacometti, questi schiaffeggiò il prof. Zama e tra i seguaci dell'uno e dell'altro andarono legnate e colpi di rivoltella, fortunatamente andati a vuoto. Questo avvenne il 24 novembre 1923. Da allora i dissidenti furono dapprima larvatamente poi apertamente appoggiati dal Segretario federale per la provincia di Ravenna, il neo-deputato avvocato Frignani; al quale va fatta risalire la maggior responsabilità delle grave decisione oggi presa dal prof. Zama. "Si crede che quale seguito ad essa avverrà lo scioglimento del Fascio, e l'Amministrazione comunale rassegnerà al Prefetto le sue dimissioni". Non è soltanto l'Agraria che spinge fascisti contro fascisti, ma l'Agraria unita alla Massoneria, le quali muovono le fila senza che i buoni ragazzi del dissidentismo se n'accorgano. Cento ed una ragioni ha certamente l'Agraria di dolersi della politica demagogica del professore Zama e dell'avv. Bracchini, i quali in concorrenza ai popolari e per cattivarsi la simpatia ed i voti dei contadini hanno fatto varare un patto colonico vantaggioso per questi ultimi; ma non risente a sua volta la simpatia dei cittadini l'Associazione Agraria, allorquando vuol mascherare col velo dell'amor di patria i suoi interessi di categoria e di classe, e la sua angustia mentale. Il Consorzio dei Bacini Montani è lì apposta per dimostrare che i succhioni dello Stato non sono soltanto annidati nelle Cooperative operaie come dicono gli Agrari adesso che le hanno depredate e devastate; poiché i sei milioni che sino ad ora lo Stato ha speso in quattro anni appena d'esercizio, non solo non sono stati incassati dagli operai, ma bensì dagli imprenditori; mentre i proprietari che colle loro bonifiche e i riattamenti. Hanno visto triplicarsi il costo dei loro fondi, nulla hanno mai sborsato all'infuori d'una lievissima tassa, della quale però si valgono per negare il lavoro agli operai allorché questi, disoccupati, come ne chiedevan nel passato, ancora ne chiedono. Ora, mentre bisogna sapere che questo Consorzio è esclusivamente in mano di massoni, i quali naturalmente se ne valgono e come organismo finanziario e come organismo politico, bisogna anche sapere che il prof. Zama (il quale a Faenza, d'accordo col defunto Vescovo, ha fatto una politica filo-clericale) a varie riprese ha dimostrato di non gradire troppo la presenza di detto Consorzio e di nutrire serii dubbi sul suo regolare funzionamento amministrativo, non peritandosi di esternare questi suoi dubbi a Sua Ecc. l'on. Sardi, il quale un bel momento (settembre-ottobre 1923) ha creduto di dover sospendere i contributi finanziari dello Stato, facendo rimanere in secco il Consorzio. Tutto questo non è escluso che abbia servito a riacutizzare il dissidio in seno al fascismo faentino ed a provocare l'incidente del 24 novembre; è certo però che l'avv. Frignani da allora ha cominciato ad immischiarsi nelle beghe faentine, al modo stesso che da allora il dott. Giacometti da avversario deciso dei Bacini Montani è pian piano diventato il loro attuale difensore. Dalla coalizione Frignani-Massoneria-Agraria è nata la presente crisi; alla quale ha conferito un certo decoro la campagna di revisione dei quadri che i più onesti fra i dissidenti han condotto contro i componenti della squadra di bastonatari ex-repubblicani ed ex-anarchici sedicente "Bonnot", e di cui il Zama ed il Bracchini si servivano quale guardia del corpo. È però facile capire che questa non è che polvere negli occhi e paravento per nascondere la révanche anti-popolare che a dispetto della realtà si vuol improntare; come se la lezione ultima delle elezioni (2439 voti contro 2977 popolari e 6667 complessivi dell'opposizione) non avesse dovuto a sufficienza dimostrare che nulla a Faenza è cambiato dal 1919 a questa parte, e che il Fascismo non ha avuto altra funzione che quella di ritardare il libero svolgersi della lotta politica, poiché i suoi semi, come quelli della parabola biblica, sono caduti tra i sassi. Questo del resto non è avvenuto solo a Faenza, ma in tutti i posti dove la libertà di voto è stata osservata. Non è quindi un carattere speciale della città, o della regione, come lo è invece l'orientarsi del fascismo verso le preesistenti realtà politiche e sindacali, a dimostrazione forse dell'arbitrarietà ed assurdità del suo sorgere nella vita politica italiana. Se qui in Romagna è costretto ad orientarsi ora verso il cooperativismo "piovra dello Stato", ora verso il popolarismo (mezzadria e piccola proprietà) ed ora verso la Massoneria manipolatrice del repubblicanismo (piccola proprietà urbana) in tutti i casi difendendo tutto quanto è contrario al determinarsi d'una coscienza civica e di classe non mai disgiunta dall'industrializzarsi progressivo della proprietà; è chiaro, mi pare, che non ha nessuna ragione d'esistere e che la dimostrazione del suo fallimento non può esser più completa. A che cosa si riduce adunque il Fascismo? Ecco, non vorrei essere troppo duro coi buoni ragazzi che alla patria qualcosa hanno dato; ma se dovessi proprio esser del tutto sincero io direi: che il Fascismo è l'ultima trincea dalla quale gli intellettualoidi disoccupati si sono slanciati all'assalto della ricchezza nazionale, comportandosi nei riguardi di essa come un esercito di occupazione. Forze, se noi parliamo così spesso del nostro Risorgimento e ad esso ritorniamo con desideri di rinnovata consapevolezza, è perché in fondo sentiamo che il Fascismo è un arbitrario dominio di stranieri, in nulla diverso da quello austriaco; il quale, se non altro, aveva almeno il pregio dell'onestà amministrativa e della sincerità del suo essere; mentre il Fascismo non ha neppure ciò ed ha in peggio la plebea volgarità dell'arrivato, e la mancanza assoluta d'uno stile. Ravenna, giugno 1924. G. M.
|