Machiavelli e il combattentismoIl tempismo, che ci urge alle reni e ci obbliga a seguire i più disparati maestri e donni (ier l'altro Mazzini, ieri Gioberti e oggi Machiavelli) mi ha dato la fortunata occasione di trovare nella storia (sono in regola col tempismo, che, per vivere, riesuma forme del passato) gli esempi giustificativi dell'apoliticità dell'Associazione Nazionale Combattenti. Fui di quest'avviso fin dal 1919, quando, tornato borghese, credetti di non avere speciali diritti da chiedere alla Patria e ripresi il mio modesto posto di combattimento nelle file del partito, cui, la mia coscienza di cittadino qualunque, mi chiamava e ricusai la mia adesione tanto all'Associazione Nazionale quanto alla Lega proletaria. Ma..., durante questi tumultuosi tempi, mi sentii dare tanti torti dalla folla, che avrei potuto dubitare della mia coscienza, se ora, grazie al tempismo, non avessi avuto l'ausilio del grande Segretario; il quale sta per diventare un Santone del nuovo regime ed un'autorità dogmatica del nuovo diritto pubblico. Ricordavo la storiella di quel povero Cincinnato, che dopo aver combattuto, non chiese per sé neppure la croce di guerra o la commenda e si ritrasse tra i suoi pii e miti buoi, e ricordavo pure quell'altro dabene uomo di Curio Dentato, il quale, invece d'accettare l'oro dai Sanniti, si accontentò di dir loro che preferiva comandare a chi aveva l'oro, anzi che, aver l'oro lui stesso. E questo povero ingenuo lo ricordavo, quando sulla réclame delle cartoline postali, leggevo, sotto l'insegna del littorio, la scritta che Italia doveva essere governata da chi aveva combattuto per lei e, per le piazze, sentivo urlare: "A chi l'Italia?" - "A noi!" - "A chi l'onore?" "A noi!". Ma non ricordavo ciò che il Machiavelli, da vero disfattista, aveva scritto nel capitolo XXIV° libro I° dei sui Discorsi. Egli narra dunque che "le repubbliche ben ordinate constituiscono premii e pene a' loro concittadini, né compensano mai l'uno con l'altro" e dimostra questa tesi balzana, rimproverando i Romani per aver assoluto il superstite Orazio, autentico ex-combattente, dal reato di fratricidio, solo in considerazione dei grandi meriti acquistatisi nel duello coi Curiazi. Il Machiavelli oggi fa testo, perché è diventato oggetto di speciale tesi di laurea e quindi ciò che egli scrive, fia suggello che ogni uomo sganna. Dunque Orazio, per il suo "fallo atroce" era stato posto sotto processo; "la qual cosa", scrive il Machiavelli, "a chi superficialmente la considerasse, parrebbe un esempio d'ingratitudine popolare; nondimeno chi la esaminerà meglio, e, con migliore considerazione, ricercherà quali debbono essere gli ordini delle repubbliche, biasimerà quel popolo, piuttosto per averlo voluto condannare. E la regione é questa, che nessuna repubblica bene ordinata, non mai cancellò i demeriti con i meriti dei suoi concittadini; ma, avendo ordinato i premi ad una buona opera e le pene ad una cattiva, ed avendo premiato uno per aver bene operato, se quel medesimo opera di poi male, lo castiga, senza aver riguardo alcuno alle sue buone opere". "E quando", continua minaccioso il Machiavelli, "questi ordini sono bene osservati, una città vive libera molto tempo; altrimenti, sempre rovinerà presto". Penso, ohimé!, al grave rimorso che, quando questo episodio sarà letto sulla tesi di laurea del nostro Signore, pungerà l'animo di tutti i giudici e dei giurati, che hanno con tanta sollecitudine assolto militari o ex-militari, rei di reati comuni, sol perché avevano al fronte fatto il loro dovere! Ma ora, dopo aver letto questo, riprendo animo e ripeto che hanno mille ragioni quegli ex combattenti, che respingono ogni privilegio e vogliono rendere veramente apolitica la loro Associazione, affermando assurdo un partito di ex combattenti ed inammissibile una speciale politica combattentistica. Si partecipa invero alle lotte per la riforma dello Stato solo in forza di uno speciale programma, d'uno speciale ideale, che investe tutta la vita dello Stato ed è quindi politico, ma lo ha in quanto segue una idealità, che è bandiera di un partito determinato, a cui possono partecipare tutti d'ugual fede, siano ex combattenti o no. La qualità di reduce, il ricordo d'aver compiuto un dovere verso la Patria, tanto meno dovrebbe esser base d'un partito, o di speciali rivendicazioni, quanto più puro è stato ed è l'amore per questa entità spirituale che è la Patria, se deve esser vero che la Patria deve esser servita e mai servire. Invece è accaduto il contrario: A che scopo unirsi in associazione dopo aver fatto il proprio dovere al fronte? O per l'innocente scopo provinciale di far "quattro salti in famiglia", ogni sabato, o per l'interessato scopo di presentare allo sconto il proprio patriottismo, come si presenta la polizza, o per uno scopo universale, politico. Nel primo caso tutti gli ex combattenti avrebbero potuto veramente affratellarsi al di sopra di ogni divisione politica e ricordare nelle loro feste i comuni sacrifizi, accorrendo magari a ringiovanire le ormai sparute società di vecchi reduci dalle precedenti guerre nazionali, fratelli di sacrificio con i giovani reduci dalle trincee dolorose del Pogdora; nel secondo caso, non doveva esser necessario una organizzazione speciale, perché la Patria avrebbe dovuto spontaneamente mantenere le promesse fatte ai combattenti sull'Isonzo o sul Piave e, in caso di mora, i vari partiti, tutti i partiti avrebbero dovuto concorrere e spingere il Governo al riconoscimento dei legittimi diritti dei combattenti; nella terza eventualità infine costoro, che avevano combattuto per un ideale di liberazione esterna e di libertà interna, per il diritto e contro la forza, e che, sui monti e sui fiumi, avevano dimostrato che l'Italia ha un popolo degno della sua libertà, se avessero voluto far della politica, avrebbero solo potuto e dovuto fare tutt'al più un partito, che avesse inalberato il vessillo della libertà e della democrazia. "Non ci si ribella allo straniero e non si combatte per l'indipendenza", scrive ottimamente il mio maestro Vidari nel suo volume su Educazione Nazionale "quando si debba cadere sotto il dominio delle minoranze o degli arbitrii, che imperano dal di fuori sulla volontà della Nazione; e non si sorge a dignità di popolo indipendente e uno, se non per attuare quella medesima legge di libertà e di giustizia, in nome della quale appunto la propria indipendenza dello straniero fu conquistata". Giacché l'indipendenza non si può concepire come cosa diversa "dalla libertà civile e politica interna" che, secondo i concetti della morale, deve servire per attuare forme sempre più democratiche, per cui l'uomo sia trattato da uomo. "Democrazia è, dunque, esigenza ideale d'ordine nella libertà e nell'uguaglianza civile, che si traduce in lotta per il diritto, combattuta entro l'organizzazione politica dello Stato". Purtroppo queste idee, che pure nel 1919 pareva fossero programma degli ex combattenti, poi dall'ambizione dei capi, furono pretermesse e l'associazione, con un lenta azione d'ipocrisia, che smentiva di fatto ciò che proclamava a parole, divenne serva d'un partito e d'un partito di reazione, tanto che gli ex combattenti di spirito libero furono dimessi od espulsi. E oggi siamo a tale che chi vuole riportare l'associazione o fuor della politica o ad una larga politica che accomuni la Patria con la libertà, è offeso con la taccia... di antinazionale! E così si dà inconsapevolmente ragione ai fanatici che nell'ex combattente vedevano un nemico! Un ex combattente che si serve del suo merito passato per imporsi al popolo o, peggio, per imporre al popolo una politica liberticida è un controsenso. Ma, nel caotico dopo guerra, quando, per il lungo disuso della loro volontà, molti tornarono dalle trincee mutilati nello spirito, più che nel corpo e sentivano bisogno di qualche cosa, senza saper con precisione di che, questo controsenso si avverò. Per colpa pure di tutti quegli esaltati, che confusero il fenomeno guerra con le persone dei guerrieri e rivolsero contro costoro, i quali avevano fatto tutto il loro dovere di uomini e di cittadini, la loro tumultuaria protesta contro il regime, che vive di guerra. La serenità si perdette e come, per reazione, s'ebbe il doloroso spettacolo d'una gioventù osannante al capestro delle idee e allo spionaggio, mentre era tradizionale il fervore della gioventù per la libertà ed in difesa dei perseguitati, così s'ebbero degli ex combattenti che, in nome dei loro meriti acquistarono "una audacia, e confidenza di potere, senza temer pena, far qualche opera non buona", da diventare "in breve tempo insolenti" e da sconvolgere gli stessi postulati della civiltà politica. Ciò scrive il Machiavelli nel citato capitolo, il quale in quella frase "opera non buona", non intende riferirsi solo a reati comuni, di cui potremo anche non tener conto, essendo stati rarissimi ed isolati i casi di coloro, che dei loro meriti di guerra si sono valsi per poter liberamente delinquere contro privati o contro lo Stato; ma egli vuol riferirsi pure ad opera politica, tanto che cita l'esempio di Manlio, il quale "mosso... o da invidia o dalla sua cattiva natura, a far nascere sedizione in Roma e, cercando guadagnarsi il popolo, fu senza rispetto alcuno dei suoi meriti, gittato precipite da quello Campidoglio, ch'egli prima, con tanta sua gloria, aveva salvo". E allora concludo. Se gli ex combattenti si voglion riunire, padronissimi; ma loro legame comune può essere il ricordo dei sacrifici fatti, giammai l'ideale politico, che liberamente ogni ex combattente deve potersi scegliere. Se dal ricordo del dovere compiuto per liberare l'Italia, sorge un desiderio politico, questo non può essere in nessun modo un ideale di asservimento. Un'associazione apolitica che presenta suoi candidati è un non senso o un mezzo per soddisfare le ambizioni di pochi, che, sfruttando l'apoliticità dei molti, fanno poi una politica: quella che torna a loro più comoda. ALFREDO POGGI.
|