L'UMANITARIA

    In un precedente articolo abbiamo tentato di mettere in luce quale fosse il carattere essenziale dell'Umanitaria e quale la minaccia di snaturamento che le sovrasta da quando, come necessaria manifestazione di una concezione politica antitetica a quella che ne ha sin qui accompagnata la vita, la sua amministrazione è stata affidata, con provvedimento di dubbia costituzionalità, ad un Regio Commissario.

    A questo furono concessi i più ampi poteri straordinari; apposito decreto gli conferì anche quelli spettanti all'assemblea dei soci e sebbene la transitorietà dell'incarico dovesse costituire un freno al compimento di atti tali da modificare radicalmente o in parte l'orientamento dell'istituzione, non v'è dubbio che sono ormai in corso di attuazione provvedimenti e iniziative che questo mutamento realizzano. Basterebbe infatti accennare alla annunziata sistemazione dei suoi servizi per l'emigrazione i quali si trasformeranno in semplici scuole per gli emigranti abbandonando ogni altro compito al Commissariato Generale.

    Dalla tutela sindacale dei lavoratori espatriandi si passa così alla tutela di Stato con un processo evidente di involuzione rispetto agli insegnamenti che potrebbero essere tratti dai risultati della più recente politica migratoria italiana.

    Poiché però l'opera dell'Umanitaria, che si compendia specialmente in quella personale di Augusto Osimo, per quanto vasta è poco conosciuta nella sua vera luce, crediamo di dovere tornare sull'argomento convinti che se nulla potrà arrestare lo sforzo trasformatore dell'attuale amministrazione provvisoria e di quella, che con eguale orientamento politico, la sostituirà con carattere permanente, pure bisogna fissare la memoria di quello che è stato uno dei più ardui e organici tentativi fatti per suscitare nella classe operaia italiana una salda coscienza di capacità, di forza e di dignità.





    Compito questo solo in apparenza agevole anche in tempo di riconosciuta, se pur più o meno sicura democrazia, poiché tutta l'attività dell'Umanitaria, non è stata che un seguito di battaglie dirette precisamente a neutralizzare le forze interessate a scalzare, a demolire, a soffocare quel principio liberale che si era in essa venuto affermando, trovassero esse origine in tendenze confessionali o politiche. Di fatto l'Umanitaria fu istituto laico e apolitico e solo entro questi due termini crediamo possa e potrà esercitarsi l'opera sua. E' necessario però, per evitare ogni dubbia interpretazione di quanto veniamo dicendo ed ogni apparente contrasto con le asserzioni più sopra esposte, ricordare che l'apolicità della Società Umanitaria non va intesa come decisa volontà di straniarsi dalla lotta politica nei quali il prevalente tecnicismo permette la finzione della indifferenza di fronte ad essa, ma come tendenza a determinare nella classe operaia specialmente quelle forze psicologiche e quella consapevolezza che sono substrato necessario dell'azione politica in generale, comunque essa poi si manifesti e si concreti nell'inquadramento dei diversi partiti.

    Fedele a tale principio l'Umanitaria ha aperte le sue porte agli uomini di buona volontà senza chieder loro quale fosse la confessione religiosa o la fede politica seguita e se essa ha avuto in questi ultimi anni un orientamento prevalentemente socialista, ciò si deve al fatto che la gran massa degli operai milanesi non era altrimenti orientata. Solo con questa premessa si può interamente e rettamente comprendere il significato delle due lotte vittoriose (e ci limitiamo a ricordare le più memorabili), che i suoi amministratori sostennero nel 1906 contro un tentativo di conquista da parte delle organizzazioni cattoliche e nel 1914 contro la Camera del Lavoro la quale presentò una lista di candidati al Consiglio scelti in quanto socialisti e con programma di ben decisa intransigenza di partito.





    Acerbe furono le polemiche, anche a carattere personale, che si destarono intorno all'istituzione governata da un Consiglio d'Amministrazione composto di elementi rappresentanti tutte le diverse tendenze dell'ambiente politico cittadino, con prevalenza di democratici e riformisti. Il blocchetto radico-riformista-massonico, come fu definito, sostenne allora senza infingimenti la apoliticità dell'Umanitaria e le elezioni diedero in definitiva pieno consenso a tale impostazione dell'opera sua. Se ne può concludere che l'aver visto in apparenza da parte ogni principio liberale, che rifugge dagli ibridi connubi e dalle dubbie alleanze, che la apparente, più che reale, struttura borghese dell'istituto lo abbia salvato dal pericolo di una degenerazione settaria ed abbia contribuito a conservare alla classe operaia un suo proprio organismo tecnico, impedendo di porre allo sbaraglio nella lotta di ogni giorno l'ente fatto più per lo studio e per la paziente ricerca di pratiche soluzioni ai problemi del lavoro che per dirigere l'urto delle masse animate da una decisa volontà di conquista. Così una prassi riformista e collaborazionista ha potuto soltanto velare l'effetto mediato dell'opera che si tradusse di fatto in una continua seminagione di forza cosciente e nella preparazione di sempre più ampi sviluppi autonomi dell'azione operaia.

    Abbiamo ricordato i due episodi separandoli da quello che nel 1898 menò, all'allora appena nata istituzione, il primo colpo poiché questo da essi si differenzia nettamente per le cause che lo provocarono e per gli effetti che ne seguirono, mentre può essere con più esatta interpretazione ravvicinato al più recente ché i lettori già conoscono.

    Dobbiamo però ricordare anzitutto come l'Umanitaria nacque e come arrivò all'infausto '98.





    Nel 1892 moriva il mantovano Prospero Moisè Loria lasciando erede il comune di Milano dell'intero suo patrimonio, dieci milioni di lire, affinché costituisse la "Società Umanitaria" scopo della quale avrebbe dovuto essere la creazione di una "Casa di Lavoro" pei disoccupati e l'esercizio di attività diverse al fine di mettere i diseredati in condizione di rilevarsi da sé medesimi. Formula questa esplicitamente espressa negli opuscoli che il Loria stesso (il quale, abbandonati gli affari che gli avevano permesso di raccogliere l'ingente patrimonio, aveva preso a studiare alcuni problemi sociali con animo di filantropo) scrisse nel 1884.

    Nel 1891 il testatore già aveva offerto al Municipio di Milano l'annua rendita di lire cinquemila perché fondasse una casa di lavoro. L'offerta fu respinta per diverse ragioni non ultima quella dell'esiguità della somma rispetto all'alto costo del tipo di istituzione progettata che già era stata all'estero oggetto di studi e di esperienze esaurienti, ma come dicemmo fu sostituita di poi col lascito testamentario che il Comune accolse accettando le condizioni che lo accompagnavano. Il testamento infatti prescriveva che il Comune curasse il pagamento di alcuni legati e che l'Umanitaria avrebbe dovuto essere riconosciuta in Ente morale entro il dicembre 1893. Qualora ciò non fosse avvenuto l'eredità avrebbe dovuto essere devoluta ad un'opera Pia di Torino o ad altri istituti indicati. Un mese dopo la morte del testatore il Comune costituiva un comitato di 15 membri incaricandolo "di promuovere la costituzione della S. U." e più di novemila soci venivano convocati per una prima assemblea il 15 gennaio 1893.

    Mentre la nuova Società studiava di darsi uno stabile assetto giuridico e tecnico, l'opera pia di Torino, i parenti del defunto e gli altri eventuali coeredi impugnavano la validità del testamento e questa solo con sentenza del Tribunale di Milano, emessa nel 1896, veniva finalmente riconosciuta. Il Consiglio, nominato il 3 maggio 1896, potette pertanto passare ad un'opera fattiva fuori dello stretto campo della preparazione tecnica e della difesa giudirica della società dopo aver portato a buon fine una transazione con gli appellanti oppositori testamentari tacitandoli mediante il versamento di un milione e duecento mila lire.





    Ebbe così inizio il faticoso cammino sulla via della realizzazione e subito furono affrontate questioni (studi sulle condizioni dei lavoratori, collocamento, cooperazione, ecc.) che meglio si riferivano alla necessità di destare fra i lavoratori una indipendente capacità, a migliorare sé stessi ponendoli direttamente di fronte ai problemi più urgenti della loro travagliata esistenza, e sperimentando le possibili soluzioni che essi poi avrebbero dovuto portare ai necessari sviluppi. Il cammino però non doveva portare lontano nella sua prima tappa poiché il generale Bava-Beccaris, commissario straordinario per lo stato d'assedio dichiarato a Milano il 7 maggio, valendosi dei pieni poteri conferitigli dichiarava sciolta l'amministrazione della Società Umanitaria e ordinava la perquisizione della sede sociale "considerato che... nelle ultime elezioni è venuta... nelle mani di persone notoriamente affigliate ai partiti estremi con serio pericolo che ne volgano i mezzi a fine settario per la propaganda di idee sovversive e per la preparazione della rivolta contro gli ordini costituiti". Evidentemente era stato dai più intelligenti reazionari compresa l'intera portata sociale e politica dell'opera umana, culturale, e tecnica svolta dalla Società, non altrimenti d'altronde di quanto è accaduto nell'anno di grazia 1924 e terzo della idillica pacificazione tra operai e imprenditori nel nome santo della Nazione. Prese così le più prudenti assicurazioni contro le possibili intenzioni degli amministratori il Commissario affidava l'amministrazione provvisoria dell'Umanitaria alla Congregazione di carità. La quale obbedendo ad un ordine perentorio del Commissario stesso procedeva alla riforma dello Statuto sociale riducendo le funzioni della Società alla coordinazione delle istituzioni di beneficenza cittadine ed alla creazione della Casa di Lavoro. Solo in linea subordinata l'Umanitaria avrebbe dovuto occuparsi dei problemi del lavoro e "ciò con una azione, di regola, puramente morale". Venivano inoltre ridotti a tre, su undici, i rappresentanti dei soci, portata da una lira a sei, (con l'obbligo di tre versamenti consecutivi) la quota annuale e soppresso il referendum dei soci.





    Il Consiglio Comunale, la Deputazione Provinciale, la Giunta Provinciale amministrativa e il Consiglio di Stato diedero pronta approvazione al progetto di riforma formulato. Ad esso, in seguito al parere del Consiglio superiore della Previdenza, interpellato dal Ministro dell'Interno, fu portata qualche ulteriore modificazione, e sarebbe stato tradotto ad effetto se i vecchi amministratori non avessero nel frattempo presentato ricorso alla quarta sezione del Consiglio di Stato il quale con sentenza 18 aprile 1901, annullò quanto era stato effetto diretto o indiretto delle disposizioni emanate dal Bava-Beccaris e dell'opera della Congregazione di Carità.

    L'Umanitaria procedette alla nomina di un nuovo Consiglio di amministrazione e dal luglio 1901 si può dire abbia avuto inizio la sua vera esistenza sotto l'egida dello Statuto originale.

    È interessante vedere colla guida delle più vecchie relazioni come essa sia andata via via assumendo quei caratteri che già abbiamo messi in luce sia nel campo tecnico che in quello amministrativo. Già nel rendiconto storico morale 1891-1903 che precede il bilancio consuntivo per l'esercizio 1902 è ad esempio ricordato, come, essendo stato riconosciuto anche dal Consiglio Superiore della Previdenza il carattere specialissimo dell'istituzione, si sia presentata immediatamente la necessità di dare agli organi esecutivi suoi un ordinamentó diverso da quello di una comune Opera Pia scansando "il subitaneo prestabilimento di un congegno burocratico, che avrebbe potuto previamente inciampare l'azione genuina della Società e pesare inconsultamente sulle volontà, sulle tendenze e forze che potevano emergere dalla pratica esplicazione delle esigenze e attività sociali". Ciò basta per farci conoscere le origini della struttura amministrativa dell'Umanitaria che suscitò più volte biasimi, scandali, inchieste, finiti tutti però col consacrare al ridicolo coloro stessi che li procurarono, ma che permise all'Istituzione di svolgere con impareggiabile agilità l'opera sua in campi vasti quali mai si videro fecondati da una pubblica o privata organizzazione consimile.





    Essa era tutta permeata da questa tendenza alla prova sperimentale, al tentativo teso verso nuove applicazioni, verso nuovi orizzonti; nel ritmo stesso del suo funzionamento era un senso dell'incompiuto, del provvisorio, della incontentabilità di chi raggiunta una meta se ne fa sgabello per un'altra più lontana, e non è a meravigliarsi se, mentre essa fu campo delle prime esperienze di uomini che andarono di poi molto lontani, fu inesauribile stroncatrice di individui proclivi alla cristallizzazione eterni aspiranti alla sonnolenta regolarità dell'orario, dell'organico, del posto modesto ma sicuro.

    L'energia indomita di Augusto Osimo, che parve per un ventennio il direttore di un centro di mobilitazione, le impresse palpiti di vita talvolta esuberanti rispetto ai mezzi finanziari disponibili e certo insopportabili pel trepido cuore di un contabile bennato. L'azione precedette sempre la preparazione dei mezzi e pur si vide il miracolo dei mezzi affluire in quanto l'azione veniva coraggiosamente impostata. Politica eroica e rischiosa ma che ebbe fortuna. Il che sta a dimostrare che l'opera dell'Umanitaria rispondeva a bisogni profondamente sentiti e che nessun altro mezzo avrebbe potuto meglio servire a scuotere dall'abitudinaria routine diseducatrice masse operaie ed industriali fuor che l'azione creatrice senza vincoli formali presentata quasi come il dono di chi più sapeva prevedere ed osare.

    L'Umanitaria fu nel pensiero dei suoi reggitori e nella realtà creatrice di feconde energie operaie; ma la coscienza politica e sociale, la dignità e la consapevolezza non si insegnano alle masse con la sola conferenza o con la sola scuola, col solo opuscolo di propaganda o col solo comizio; esse maturano in ogni possibile campo nel quale l'operaio si inserisca purché si sappia alla sua attività conferire quella universalità di intenti che Augusto Osimo tanto bene vide e seppe perseguire con la complessità di un'azione che, volta alla formazione tecnica e civile del lavoratore, lo seguiva dalla sua infanzia su su nella vita in ogni eventuale contingenza materiale, plasmandone a poco a poco l'animo ed educandolo ai più nobili sensi.





    Il programma dell'Umanitaria presenta perciò un quadro complesso ma sostanzialmente equilibrato nelle sue diverse parti sebbene alcune di queste possano ad un esame retrospettivo apparire preponderanti per aver attratto a sé forze eccessive ed isterilite altre iniziative interrompendone lo sviluppo. Nel precedente articolo abbiamo detto quali fossero le ragioni determinatrici del fatto identificabile con la mancata od inesatta comprensione dell'opera dell'istituzione la quale invece nella riforma dello Statuto approvata nel 1906 non aveva esitato ad annullare l'art. 7 - col quale era sanzionato l'obbligo di far funzionare tutte le istituzioni da essa fondate sotto la sua esclusiva direzione -sia per mantenere all'opera propria la più efficace elasticità, sia per concedere alle sue nuove e vecchie iniziative la più ampia autonomia perché il loro sviluppo si adeguasse completamente alle reali necessità della vita operaia.

    La vastità degli intenti, che spesso è germe di disgregazione e di rovina, fu la forza dell'Umanitaria; ma ogni nuovo passo da essa compiuto sulla via ardua della realizzazione è sempre stato conclusione di studi accurati. Essa può vantare al suo attivo numerose indagini sulle condizioni delle classi lavoratrici, condotte con grande obiettività e i risultati delle quali tengono un posto non trascurabile nelle esigua letteratura italiana in materia. Né può far meraviglia ch'essa abbia tentato la costituzione di un Museo Sociale considerandolo come vivo strumento di studio del movimento operaio. In altra sede abbiamo esposte le ragioni per le quali il Museo di fatto non poté essere che un ufficio studi dell'Istituzione; la sua attività però sta a dimostrare appunto come quest'ultima si sia o preoccupata di tentare l'attuazione del suo ampio programma senza trascurane le precedenti esperienze altrui e stabilendo opportuni mezzi di osservazione e di controllo scientifico sulle iniziative interne confrontandole costantemente con quelle parallele che si andavano concretando in Italia e all'estero.

***

    L'opera dell'Umanitaria può essere distinta in tre grandi branche: quella a carattere assistenziale, quella di perfezionamento della classe lavoratrice, quella di preparazione delle più giovani nuove forze operaie.





    Alla prima fa capo: l'opera di assistenza ai disoccupati esercitata mediante la costituzione e la direzione di uffici di collocamento dai quali si può dire uscì l'ordinamento italiano della lotta contro la disoccupazione; in linea subordinata, e solo voluta per tener fede alla volontà del testatore, il tentativo della Casa di Lavoro della quale fu anima Alessandrina Ravizza; l'assistenza agli emigranti esercitata nei centri di sviluppo delle correnti migratorie mediante Segretariati ed Uffici di corrispondenza locali e in quelli di destinazione delle correnti stesse mediante appositi uffici di confine e all'estero; la assistenza legale e medico-legale.

    La seconda, per molti aspetti strettamente coordinata alla prima, si è sviluppata tanto nei riguardi dei più urgenti bisogni materiali degli operai (costruzione di case popolari,) quanto nella loro difesa di classe con l'attiva opera di creazione e di integrazione del movimento cooperativo e di quello sindacale (ricordiamo a mo' d'esempio, l'Istituto di Credito delle Cooperative, che compie in questo mese vent'anni di lavorano, e l'azione a favore dai lavoratori della terra), quanto infine nel campo culturale con le multiformi iniziative per la coltura e per le biblioteche popolari, col Teatro del Popolo e con le Scuole di Legislazione del Lavoro e di Cooperazione - annesse al Museo Sociale - per la preparazione di ispettori del lavoro, di organizzatori sindacali e del personale delle cooperative. Vi si può aggiungere ancora l'attività esercitata per la preparazione di maestri per le scuole popolari e professionali e nell'Opera contro l'analfabetismo.

    Alla terra si riferisce tutto il vasto movimento delle scuole professionali diurne e serali, maschili e femminili, che per lunghi anni furono a Milano gli unici efficienti organismi per la preparazione teorica delle maestranze. La sostituzione dell'Università per le Arti Decorative di Monza ne è il degno coronamento.

    Un gruppo di attività particolari che forma categoria a sé è dato da quelle svolte durante e dopo la guerra a beneficio dei profughi e degli orfani a Milano e nelle Terre Liberate. Attività in parte indipendente in parte esercitata in unione ad altre istituzioni fra le quali però l'Umanitaria ebbe azione preponderante per la sua particolare struttura tecnica ed amministrativa e per la mirabile sua capacità di adattamento che la fece trovare pronta a nuovi compiti quando pareva che tutto dovesse essere improvvisato alla meno peggio.





    Intorno a questa ossatura andarono di pari passo affermandosi iniziative secondarie con varia fortuna, tutte però fuori dal campo caritativo e sempre fondate sul criterio che ogni beneficio deve essere effetto di una conquista dignitosa e che l'elargizione è profondamente diseducatrice e creatrice di parassiti. Così si spiega come la Cassa disoccupazione respingesse i non organizzati per evitare che gli egoisti i quali si sottraggono durante il periodo di lavoro al pagamento del contributo personale potessero assorbire in nome di una falsa pietà il frutto del sacrificio e della previdenza altrui; così si spiega come l'Umanitaria non abbia mai attratto intorno a sé i postulanti ed i professionisti della mendicità che ben sapevano di non trovarvi alimento alla loro neghittosità.

***

    Che errori nell'opera sua siano stati commessi, che lo sforzo costante di indipendenza sia venuto talvolta meno in particolari secondari, nessuno vorrebbe negare; ma le lievi mende che un severo inquisitore potrebbe rilevare non riescono a deformare la linea sicura della solida impalcatura che la resse sin qui.

    L'esperienza del passato suggerisce ai più ottimisti la speranza di rivedere presto ripresa la sua ascensione verso nuove mete; confessiamo invece di essere molto scettici sulle sorti future di quella ardita costruzione alla quale si sta, - sia pure sotto il velo di una bolsa retorica filo-operaia e di untuose affermazioni esaltanti le glorie passate e il salvataggio presente, le benemerenze di Augusto Osimo contrapposte al settarismo dei suoi collaboratori - tentando di sostituire le travi maestre togliendole quel carattere sinceramente democratico che fu la sua forza più viva.

    D'altronde se la sorte vorrà che dell'Umanitaria non resti fra breve che un'ammuffita Opera pia non ce ne dorremo più oltre; abbiamo voluto analizzane l'opera di manomissione che a suo danno si va compiendo non per vanità di critica o di sterile recriminazione, ma per precisare a noi stessi un dovere indeclinabile: quello di riprendere e di continuare, non appena sarà possibile, l'opera geniale di Augusto Osimo.

RICCARDO BAUER