La Francia e la pace

Il dogma della patria

    Le meschinità, i pregiudizi, le velleità di tirannide che la Francia rivoluzionaria ha combattuto un tempo nel clericalismo, si incarnano oggi nel nazionalismo: ne è prova il raggruppamento istintivo di queste antiche e nuove forme della reazione. Ma la direzione della crociata è passata in altre mani; il radicalismo si inganna continuando a perseguitare sopratutto i suoi antichi nemici. La vera religione della nostra epoca è il culto della Patria: ed è nostro compito liberarlo dai cattivi servitori. Contro questa nuova intransigenza, Voltaire rivendicherebbe la libertà di pensiero, contro questo nuovo dogmatismo Galileo potrebbe proclamare leggi economiche e psicologiche universali. Oggi, per nutrire il proprio culto, la nazione divora se stessa. Da tutte le imprese cominciate per esaltarla, essa esce esaurita, impoverita e schiava. Gli sforzi patriottici vanno oltre il loro scopo e gli si rivoltano contro. In compenso, sorge in molte coscienze il desiderio di un regime di pace e di equità internazionale che gli statisti non hanno saputo affermare. E' compito della nostra generazione dar vita a queste aspirazioni prive di corpo che errano inappagate nel mondo. Tale impresa, non è in nulla contraria alle dottrine repubblicane. E gli stessi conservatori dovrebbero comprendere che possono mantenere il regime sociale solo trasformando i rapporti internazionali. Il capitalismo legato alle guerre periodiche è altrettanto impraticabile che il comunismo, al quale d'altra parte, necessariamente conduce.

ALFRED FABRE LUCE.




Il pacifismo francese

    Il francese, accusato comunemente di amare il pennacchio, l'uniforme, tutto ciò che è glorietta e travestimento militare, tacciato all'estero di spirito imperialista, dà prova, in realtà, di santa indifferenza per tutte le questioni riguardanti la Difesa nazionale. Ho letto molti manifesti elettorali, ho ascoltato candidati di tutti i colori nelle riunioni più eterogenee, e mai ho udito la minima discussione sull'organizzazione militare. Qualche rara volta, un uomo di sinistra rimproverava al Governo di aver trascurato la nazione armata, ma l'argomento cadeva nel vuoto senza risvegliare l'intelligenza del pubblico.

    E' straordinario constatare come, nella vita politica di questo popolo, conti poca la preoccupazione della difesa. Fondamentalmente pacifico, il popolo francese non sopporta neppure lo spettro degli anni terribili in cui ha sofferto e sanguinato per la sua salvezza. Dopo il 1870, sino al 1895, gli elettori solevano affrontare i candidati con questa frase fatidica: "Che facevate durante la guerra?". E scoppiava l'ilarità generale quando il candidato dichiarava di essere ancora a balia mentre Parigi subiva gli orrori dell'assedio.

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    Oggi, a neppure sei anni dalla guerra, nessuno pone una simile domanda. Nella recente campagna elettorale, pareva che per partito preso si lasciassero nell'ombra i meriti guerreschi dei candidati. Per scarico di coscienza ognuno faceva figurare sui manifesti i propri titoli di gloria, ma gli elettori, evidentemente, non ne tenevano conto alcuno. Arago avrebbe potuto a suo agio inscrivere sui suoi programmi dodici citazioni all'ordine del giorno nell'esercito: ciò non avrebbe impedito al pubblico di fischiarlo ad ogni sua apparizione e di gridargli: "Andate a pagare le vostre imposte!".





    Spiace terribilmente agli elettori che si parli troppo del valore guerresco. Il nome di imboscato ha perduto il suo potere di esecrazione. Ho visto un candidato, riuscito capo-lista nelle elezioni del '19 per la sua abilità nello sfruttare la sua coraggiosa condotta, perdere a poco a poco la popolarità ostinandosi a seguire la stessa via. Quattro anni or sono, rispondeva ai fischi e alle interruzioni: "Mucchio di imboscati, facevate meno chiasso dinanzi ai boches" suscitando vive acclamazioni. Quest'anno la sua apostrofe gli valse un raddoppiamento di strepito e per poco non lo si cacciò dalla sala.

    Per questo, senza dubbio, i comunisti espongono tranquillamente le loro dottrine nei quartieri più moderati. La folla li applaude suo malgrado quando proclamano l'orrore per la guerra e il loro programma teorico di sopprimerla tra le Nazioni. Un argomento toccante è quello delle somme enormi che richiede la mobilitazione generale del paese. L'istinto risparmiatore del francese si rivolta all'idea di rovinarsi per far fronte alle spese dell'armamento e delle munizioni. Il miliardo di spese per l'occupazione della Ruhr serve di contrappeso alla soddisfazione che l'impresa ha generalmente suscitato nel paese.

    Un abile candidato comunista ha fatto stampare uno specchietto in cui il prezzo di costo di un colpo di canone per i diversi calibri è paragonato al numero di giornate che con la stessa somma si potrebbero pagare a un operaio. Il pubblico deve ricordare ogni momento l'attitudine bellicosa dell'assurda Germania per non cedere alla tentazione di applaudire le idee antimilitariste.





    E dobbiamo riconoscere che è abbastanza savio per non abbandonarsi, nello stato di non sicurezza in cui viviamo, grazie all'esasperato nazionalismo dei nostri vicini d'oltre Reno, al suo ardente desiderio di pacifismo.

    La campagna elettorale diede l'impressione netta che il francese sentimentale e patriottardo è un tipo che va scomparendo. Assistiamo oggi a una curiosa evoluzione della nostra mentalità. Il senso delle cifre, l'interesse, lo spirito pratico insomma si sveglia in noi e modifica il nostro temperamento. Sovente vediamo contadini e operai occupati alle questioni di diritti di dogana e di cambio. I candidati comunisti non recitano più tirate idealiste sulla felicità dei popoli, ma discutono a colpi di statistiche.

    E tutti in generale si disinteressano delle questioni militari, poiché ciascuno pensa nel suo intimo che si tratta di questioni che non producono ricchezza e distruggono l'equilibrio economico della nazione.

    Possano i Tedeschi, stimati il popolo più pratico del pianeta, seguirci per questa via feconda, in cui noi abbiamo il grande onore di precederli.

JEAN DE PIERREFEU.