Impressioni di tedeschi in Italia

    La fiumana tedesca, che aveva inondato dal febbraio l'Italia, è pressoché tutta rifluita in patria. Si parla di centomila viaggiatori. Pur facendo le debite tare, e tenendo conto che molti non avevano valicato per la prima volta le Alpi, resta il fatto che parecchie decine di migliaia di Tedeschi hanno in questi mesi conosciuto un po' da vicino il nostro paese. Queste decine di migliaia nella gran maggioranza non erano dei "signori": erano gente minuta, studenti, professionisti, impiegati, piccoli commercianti, operai anche, - quel che si dice popolo. Tutti probabilmente avevano nella valigia l'Italienische Reise di Goethe; ma il solito tipo del viaggiatore tedesco in Italia, assetato di classicismo e solo sensibile all'arte, scompariva nell'onda degli uomini nuovi (per tante ragioni nuovi). A tacere delle condizioni attuali della Germania, il numero stesso dei viaggiatori dava alla loro massa una sorta di particolar coscienza collettiva. Fu come la visita di un popolo a un altro popolo. Le impressioni dei ritornati offrono quindi un interesse speciale.

    Su molte di tali impressioni non è il caso di fermarci, perché troppo generiche o troppo personali. Nemmeno importa considerare certe delusioni o certi entusiasmi perfettamente legittimi o perfettamente assurdi. E neppure varrà la pena di porger l'orecchio a certi compiacenti panegirici del nostro progresso; così rapido in si pochi anni ecc. ecc. Uno dei mestieri più oziosi di questo mondo è quello di ascoltare i giudizi del prossimo sopra di noi coll'unica speranza d'aver vellicata la nostra vanità, dando poi mano agli sdegni e alle polemiche e alle rettifiche, quando si raccolgono biasimi.





    Diciamolo pure: in fondo al cuore di tutti i nuovi visitatori d'Italia stava il desiderio di misurare, col confronto d'un popolo tanto più fortunato, il grado della miseria materiale e morale tedesca. Essi visitatori, ricordiamolo, erano, in genere, gente che conosceva l'Italia per sentito dire e che, durante e dopo la guerra, ha conosciuto ogni specie di sofferenze. Forse si deve appunto a quell'aspettazione, che una delle impressioni più generali riportate fu: l'Italia è un paese povero. In Italia c'è forse ora più danaro che in Germania (non ha mancato di colpire i Tedeschi la vivacità del nostro traffico), e nondimeno la povertà italiana è d'assai più evidente. Ciò perché la povertà non è soltanto questione di moneta, ma anche questione di maturità sociale e di educazione. Abbiamo visto come spendevano i vistosi salari gli operai e i contadini negli anni di grassa: in cianfrusaglie, in delicatezze da parvenus; il loro tenor di vita continuava ad essere di plebe, le loro case, come i loro spiriti, continuavano ad essere sprovvisti del necessario sebbene ingombri del superfluo. Quelle case e quegli spiriti i tedeschi più sagaci li hanno osservati tanto nelle città della pianura padana, come nei villaggi del centro e del sud. La povertà italiana si manifesta sopratutto al tedesco con una per lui inspiegabile mancanza di bisogni, accoppiata quasi sempre con una stramba sovrabbondanza di voglie. Mancanza e sovrabbondanza che egli avverte non solo nei ceti più miseri, ma anche nel borghese, nella cosidetta persona colta, nella Città, nello Stato. Per caratterizzare tale condizione di cose (per definire l'Italiano medio) il tedesco ha una frase: Halbbildung = mezza cultura. Non si prenda la parola troppo sul tragico. In fin dei conti la modestia di bisogni italiana é una delle nostre forze. Si veda piuttosto, come a ragione quella parola trasporta la questione dal campo economico nel campo morale, e come in quella critica delle "voglie" sia adombrato un giudizio sulla celebrata nuova "volontà d'Italia".





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    Sapete una delle impressioni condivise dalla totalità delle donne tedesche? - La donna italiana s'imbelletta. - Me l'han cantata un po' tutte in ogni tono. - "Ma perché imbellettarsi, quando si é così belle?". - Colle donne, si sta, non è simpatico farla da rassegnato; ho dunque protestato vivacemente: "Ne conosco io centinaia d'italiane che non si tingono. Loro avran visto qualche sartinella cittadina, qualche mezza dama..." - "No, no, dappertutto, nelle città e nei paesi. E le sue conoscenti non contano!". A certe mie rinnovate proteste un giorno un vecchio signore mi osservò: "Ma non é mica un grosso peccato da parte loro! Lo fanno per non stare troppo indietro dei loro uomini".

    I vecchi signori, quando non sono indulgenti, sono implacabili; parlano senza ambagi, colla scusa della veneranda canizie, e arrivano perfino a dire che l'Italia intera pone ora massimo studio a imbellettarsi.

    "Dia mente alle campagne di propaganda d'italianità" attualmente in auge. Financo un Prezzolini passa l'Oceano per farsi celebratore della nuova Rinascenza italiana! E taccio dei commediografi, che avendo ormai, diciamo così, saturata la Penisola dei loro giocherelli dialogati vanno in America a far indorare l'Arte del loro Paese di nuova gloria. Business is business, d'accordo; ma la gloria è gloria. Si potrebbero citare centinaia d'esempi in ogni campo di questo furioso "lustrar di faccia". Dei due momenti del processo industriale moderno - fabbricazione coscienziosa e vendita reclamistica - gli italiani d'oggi si son dati (tranne onorevoli eccezioni) con particolare trasporto al secondo. Non è una prerogativa esclusivamente italiana, naturale. Né io intendo contrapporre per questo all'Italia una più felice Germania. Ma da noi lo squilibrio é tanto più avvertibile, in quanto il popolo italiano ha meglio di ogni altro il senso della convenienza, e, in fondo, conosce benissimo i propri limiti. Quella medesima nazione, che alcuni anni fa aveva così scarsa fiducia di sé e, a torto, si avviliva nel confronto cogli altri popoli, ora si lascia ubbriacare ogni giorno da quell'artefatta mistura imperiale. Chi sapeva e voleva vedere allora, rivalutava da sé il vostro paese; ma quel medesimo non si lascia ingannare adesso dalle stamburate. Il risultato delle quali servirà oltre all'incancrenire i vostri difetti, a produrre presto nel mondo quel fastidio, che finiscon sempre col produrre i don Giovanni blateroni. E si ritornerà, - a torto - a giudicarvi male. Benedetta gente, che il nostro esempio non vi debba servire a nulla!





    Ha visto l'ultimo numero della Berliner Illustrierte Zeitung? Quel giornale ha già stampato innumerevoli fotografie di Mussolini: solo, colla famiglia, al tavolo di lavoro, in mezzo a selve di gagliardetti, a cavallo, in automobile, col leoncino, ecc. Ora lo pubblica in costume da bagno. E' un segno badi! Di uomini politici in costume da bagno il lettore tedesco ha visto finora solamente Ebert e Noske, quando l'estimazione universale li aveva già ridotti da personaggi mitici a povera carne mortale".

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    Il vecchio signore non era troppo tenero del fascismo, ma molti tedeschi, bisogna dirlo, ne son ritornati dall'Italia ammirati. Non foss'altro quella faccenda delle ferrovie che camminano in orario! Anche costoro però, avevano, come il vecchio signore, fatto laggiù un'operazione illogica, date le loro ammirazioni: onde scoprire l'italiano, tout court, avevan grattato via dalla faccia del nuovo cittadino italiano il belletto.

    Per una cosa sopratutto i tedeschi ci invidiano e riconoscono un'effettiva nostra superiorità: per quella levità di spirito, che manifesta una parentela più diretta ed intima colla Natura e che, mentre abilita l'intelligenza ad una maggior destrezza, dà al cuore una felicità ed una gentilezza pressoché ignote agli uomini del Nord. Nei cittadini italiani camuffati dall'ultima uniforme i tedeschi stentavano ora a ritrovare quella grazia, di cui venendo da noi sono avidi come del nostro sole. La riscoprivano a forza di lavaggi. Quel che cadeva sotto il lavacro purificatore era un intonaco di similoro fissato con una colla di brutalità. Questa brutalità specialmente stupiva gli osservatori. Strano! I figli dei Martiri del Risorgimento (la Germania ha alcuni ottimi libri sul Risorgimento italiano) trasmutati in... Austriaci! I nipoti di Galileo guadagnati al Sant'Ufficio! I rinati dai deliri secentistici ed arcadici grazie all'educazione di più sano realismo, di più illuminato candore, di più appassionato amor di libertà, che il mondo abbia visto, ripiombati in piena avventura spagnolesca! Un italiano brutale (quando non si tratti d'un trasportato dalla collera o d'un abbrutito dal vizio) appare persin comico ai tedeschi. I quali, dunque, aspettavano di veder ribalenare da una crepa dell'intonaco il noto sorriso malizioso per respirare, nella convinzione che in ultima analisi deve trattarsi di un giuoco.





    Il giuoco tuttavia acquistava a un certo momento per il tedesco un sapore un po' amaro. Per ovvie ragioni d'economia i centomila pellegrini d'Italia sono entrati ed usciti quasi tutti dal Brennero, e due volte quindi hanno toccato l'Alto Adige. Ben pochi non vi si sono fermati o almeno non ne hanno in qualche modo udita la voce. Voci di dolore e di protesta, per quali ragioni non occorre certo ripetere. Occorrerà piuttosto far intendere che l'Alto Adige non è una questione d'irredentismo austriaco, ma una questione d'irredentismo tedesco. Non starò a ricordare che il più grande poeta lirico del medioevo germanico è nato a sud del Brennero; queste sono sciocchezze per i Realpolitiker. Dirò invece che il mito politico, a cui la nuova Germania tende come all'unico mezzo di risurrezione, è quello di un grossdeutcshtum, d'un movimento cioè che vuol riunire in un unico corpo tutte le popolazioni di lingua tedesca. Questo mito non è una cosa tanto fantastica. L'idea "grossdeutsch", la si può dire uscita trionfante da tutte le urne il 4 maggio. Non c'è partito che la rinneghi o ne disconosca l'importanza. Delle sopraffazioni fasciste nell'Alto Adige, della conquista violenta delle scuole, della forzata italianizzazione ci chiederà conto un giorno non l'Austria, ma l'ingrandita Germania. La propaganda irredentista non ha bisogno di essere alimentata da riottosità o malanimo tirolese. L'idea della riscossa non é a Bolzano, ma nel cuore della Germania, che vuole risorgere. E chi alimenta la fiamma sono le migliaia di annuali pellegrini sulle orme di Goethe. I quali pellegrini, qualunque impressione abbian riportato dell'Italia, nell'uscirne inevitabilmente riacquistano occhi che sanno vedere e giudicare.

MERKER