BUROCRAZIA E FASCISMO

Reazioni antifasciste

    Una rivoluzione promossa e fatta veramente da reduci, inquanto reduci avrebbe si potuto esser la rivoluzione antiburocratica per eccellenza: ogni borghese fatto soldato, tornando alla sospirata "borghesia", dopo tanto patire e dopo tanto disperare, non poteva non covare un odio feroce contro tutto quanto sapeva di "ufficio" e di "carte", ogni reduce rientrava nella mediocre vita con un suo conto da regolare con la burocrazia, rea per lui di avergli fatto perdere la battaglia se era generale, di aver torturato lui e la sua famiglia per le licenze, per l'esonero, per i sussidi, per le tessere, per il congedo, in mille modi se era subalterno o gregario; "l'assalto al Municipio" di Tommaso Fiore è la lirica di questa passione antiburocratica che animava i nostri reduci; una autentica rivoluzione di reduci, istintivamente avrebbe marciato sui municipi, sulle prefetture, sui commissariati, sugli uffici di guerra in provincia, sui Ministeri a Roma.

    Ma quelli che guidarono alcuni reduci nella cosiddetta rivoluzione fascista, se anche erano stati in guerra, non erano essenzialmente dei "reduci", erano dei politicanti, erano dei parlamentari, erano degli "elezionisti": essi, gli aspiranti deputati e ministri, i futuri conquistatori integrali dei consigli comunali, provinciali e del parlamento non vedevano in Italia che Montecitorio, e nel loro odio, nella loro "invidia", riducevan tutta la vecchia Italia alla vecchia Camera; senza accorgersi che così bestemmiandola non facevano che esaltarla.

    Volavan da Fiume apposta per buttar un pitale su Monte-Citorio, si mettevan in combutta con Giolitti per andar alla Camera, si offendevano se nella Camera si isolavano, facevano un consiglio nazionale per domandar le elezioni, preparavan la marcia elettoralmente d'accordo coi Prefetti, occupavan durante la marcia non Prefetture e Intendenze, ma sedi di organismi politici, mollavano Roma dopo che il Duce era diventato Presidente del Consiglio, riducevano effettivamente il primo anno e mezzo di governo fascista ad una colossale preparazione di campagna elettorale. Dei simboli della burocrazia, uffici, edifici, persone, nessuno ebbe né a temere né a soffrire dalla rivoluzione fascista.





    Del resto fra le tante illusioni che noi abbiamo accarezzato e nutrito non ci fu mai quella che la "tirannide burocratica", che l'impazienza per l'unità d'Italia ci ha regalata, potesse venir abolita per l'opera diretta di un moto rivoluzionario che ne abolisse i simboli, cioè che bruciasse i Ministeri e appiccasse i direttori generali; per noi poteva una rivoluzione unitaria e accentratrice portare una risoluzione di questo problema, ma non con una sua azione diretta e programmatica, bensì indirettamente suscitando alla sua azione centrale delle reazioni locali e periferiche, che fossero spinta o pretesto alla formazione di effettivi governi autonomi e particolari. Questa rivoluzione poteva esser o bolscevica o fascista, la cosa non faceva differenza, l'essenziale era che rivoluzione fosse e fosse rivoluzione unitaria: ci avrebbero pensato le provincie, offese nei loro interessi e nei loro sentimenti, a reagire con loro atti centrifughi alla spinta centripeta, a trovar in sé medesime ragione e modo di esistere indifferenti od ostili alla Roma dei nuovi conquistatori. Ma occorreva per ciò, ripetiamo, che la rivoluzione fosse stata rivoluzione, e che la sua azione fosse stata così radicale, così coerente, così spietata, così offensiva, così opprimente da provocare, a pronta o a lenta scadenza, quei movimenti di difesa e di protezione e di riscossa locale, che noi si diceva.

    Il fascismo, armando i suoi adepti, marciando e conquistando, innegabilmente attuò quella rivoluzione che il nostro bolscevismo aveva soltanto minacciato o promesso, ma altrettanto innegabilmente di quella rivoluzione, attuò solamente la parte più innocentemente coreografica: la marcia incruenta, la sfilata tripudiante ed il ritorno gavazzante; ma l'essenziale, la distruzione del regime, l'installazione di una nuova classe dirigente, la persecuzione dichiarata e ufficiale e l'eliminazione radicale dell'antica, questo il fascismo non fece. Mancando della rivoluzione il fatto tipico, si capisce che sia mancato il solito contraccolpo di ogni rivoluzione, la "controrivoluzione", cioè, per usare il linguaggio più corrente, le reazioni locali e federalistiche, le quali sempre sogliano? susseguire ai moti rivoluzionari seri.





    Veramente, subito nei primi giorni dopo la Marcia si ebbero in alcuni punti d'Italia dei movimenti che parvero i sintomi o l'inizio di una reazione al trionfo fascista, voglio dire, p. es.: i fatti di Sardegna, e, in altro campo e altro senso, l'atteggiamento delle camicie azzurre. La storia autentica di quei giorni, quando la si potrà fare, ci dirà la verità su quegli avvenimenti, di cui quelli svoltisi in Sardegna pare veramente fossero per assumere una certa gravità; adesso come adesso io credo di poter affermare che quei due movimenti, di cui qui parlo per ragion di esempio, non fossero reazioni immediate né controspinte alla troppo recente e appena accaduta marcia su Roma, ma fossero invece o lo scoppio ritardato o i residui di una agitazione antifascista, anteriore alla Marcia, provocata in Sardegna dall'attesa o dal timore di una "spedizione" di fascisti continentali, nelle sfere monarchiche e in certi circoli militari dall'atteggiamento non del tutto rassicurante dopo che l'agosto eran venuti assumendo, se non il Duce, almeno certi elementi del fascismo nei riguardi di certi istituti e di certi poteri. Quando si farà quella tale storia si vedrà quanta influenza abbiano avuto certe renitenze e certi impuntamenti dell'ultima ora a determinare, ad accelerare ed a deviare la Marcia. Per ora o lavorar di induzioni o tacere.

    Dunque, se mai, sintomi di pentimento, indizi di repugnanze, tardi tentativi di sterzate, movimenti deliberati prima ed effettuatisi per forza d'inerzia, dopo che era accaduto l'irreparabile; ma non quelle reazioni ch'io dicevo; queste non si ebbero né allora né poi.





    E non si potevano avere. La rivoluzione fascista, l'abbiam già detto, se conservò della rivoluzione fino all'ultimo l'apparato esteriore, non ebbe della rivoluzione il contenuto; per via, da un pezzo, era stata attenuata e denicotinizzata. Al rapace avevan cimate le ali e mozzate le unghie, strada facendo, tutti gli elementi conservatori della nostra vita pubblica, parlamentari di destra e di sinistra, industriali, agrari, banchieri, tutti insomma gli ingredienti del blocco giolittiano del '21, la nostra borghesia, la nostra classe dirigente; quella a cui si può negare tutte le virtù che vogliamo, quella di cui si può dire che ha provocato ma non preveduta la guerra, che sorpresa dalla guerra non l'ha saputa né stornare né fare, che vinta la guerra non ha saputo aver della vittoria né il senso né la misura, quella di cui si può dire tutto il male che si vuole, ma quella classe, a cui nessuno può contestare la virtù e la capacità tradizionale di stroncare i movimenti rivoluzionari ch'essa ritenga perniciosi a' suoi interessi, di derivarne le acque nei proprii orti, di captarne gli uomini... più captabili, e di far il vuoto ed il silenzio intorno a quelli più irriducibili.

    Questa gente nel maggio del '15 balordamente s'era lasciata prender la mano da quei quattro "esaltati" dell'interventismo di sinistra; dopo la guerra se li ritrovava fra i piedi ancora "esaltati", come tre anni avanti, se non di più. Per un poco non seppe che farne e ne ebbe fastidio, ma poi quando si accorse che insomma qualcosa c'era lí dentro, e che quel falchetto tenuto a dieta opportuna e convenientemente incappucciato, a volta a volta o frenato o lanciato, poteva diventar un buon strumento di distruzione e di preda, incominciarono a riguardar più seriamente a questi "musi duri", e, gente di mondo, non s'offesero di certe loro sgarberie, e, persone di spirito, non presero troppo sul serio certe loro sparate da antichi dinamitardi, e, uomini di cuore, intrapresero la rieducazione di quegli scapestrati, e, come via via quell'Eolide crebbe davanti a loro a vista, e un giorno veramente minacciò di sfuggire al loro controllo allora tutti si confessarono che, insomma, al punto a cui eran giunte le cose, non c'era da esitare, bisognava, repugnasse o non repugnasse, aizzato il lioncello non mollargli il guinzaglio, e attaccarsi ai panni di quegli energumeni, e tener loro le braccia, che non facessero tutti quegli spropositi, che bensì avevan sempre detto di voler fare, ma essi avevan sempre creduto che fosser parole.





    Tante ne ho udite di codeste degne persone: "Lo capisco anch'io... cose da far rizzare i capelli... ma data la loro forza, anzi data l'universale debolezza, l'unica cosa che ci resti a fare è di montar su anche noi, e tenerli d'occhio, e impedire che faccian troppe sciocchezze... intanto... si vedrà... da cosa nasce cosa...". Difatto si è veduto: tante cose ne son nate... e fra l'altre quella appunto dell'addomesticamento ufficiale del lioncello, il quale sí, di tanto in tanto manda ancora qualche ruggito, così pour le frisson, ma insomma davanti all'irreparabile, al momento buono, sempre finora s'è mostrato savio e ben degno di tanta fiducia.

    Quelli che nel movimento fascista, più che un movimento politico voglion vedere un movimento religioso (ce n'è anche di questi), avrebbero buon giuoco qui a parlare di intervento della Chiesa ufficiale (la Monarchia), la quale captando e convogliando nel grande alveo della sua tradizione il movimento tendenzialmente ereticale, lo ha, riconoscendolo e "redimendolo di una prima e di una seconda corona", appesantito e aduggiato di regole, di convenzioni, di pastoie e di riguardi, facendolo deviare dalla sua linea primitiva. La storia si fa in tanti modi, può anche darsi che domani questa storia sia fatta da qualcuno in questo modo. Io per me resterò sempre dell'opinione che anche i primi fondatori di questo movimento, lasciamo stare se religioso o no, abbian sortito da natura una singolare tendenza a farsi... riconoscere e appesantire e addomesticare... dalla chiesa ufficiale; e, in fondo, io non so da che parte sia la soddisfazione maggiore: se negli infermieri, i quali han l'illusione di riuscir sempre a contenere questo "agitato" quando gli piglian gli "accessi", o nel'"agitato" (ma non troppo), il quale pare ben contento dopo tutto di poter dire: "se non ho rotto tutto gli è che... mi han tenuto". "Tegniime che l'ammasso!" (Tenetemi ché l'ammazzo) gridavano nelle loro risse i "kamali" del porto di Genova, quando erano meno organizzati e più pittoreschi: "tegnime che l'ammasso!, potrebbe essere benissimo il motto di questa nostra tragicomica epopea, in cui gente che ha nel sangue l'amore e l'interesse per il vecchio regime, ha dovuto, per cercar di salvarlo, finger di muovere in guerra contro di esso, ed ora che gli ha messo le mani addosso e l'ha un poco bistrattato, è felicissima che accorran dei bravi cittadini a torglielo di mano e a levar essa all'imbarazzo, il regime dal pericolo.





     - Ma supponiamo che le cose fossero andate in quel modo logico in cui non vanno mai, e che la rivoluzione fosse stata rivoluzione, la persecuzione persecuzione, la distruzione distruzione, ecc.; credete voi davvero che avvenute codeste reazioni che voi dite, o la vostra è solamente una speranza non su altro fondata che sulla vostra tendenza di letterati a dar corpo alle vostre fantasie? In Italia, per esempio, sono stati abbattuti rivoluzionariamente due degli istituti più profondamente radicati negli interessi e nei sentimenti di certe regioni italiane, il potere temporale del Papa e il governo borbonico; le avete viste voi le reazioni locali? Reagiscono magari con pericolo proprio, gli organismi vigorosi e sani; gli organismi anemici, cachettici non ne offron di codeste reazioni immediate e spettacolose (ed è anche per ciò che talvolta superano certe crisi meglio gli altri). -

    "Se fosse, se avesse" sono i padri de' miei ...e a ragionar per supposizioni poco sugo ci si cava. Quel che si vede è questo: che azioni violente, dichiarate e ufficiali del fascismo contro istituti, ceti, e persone che rappresentino o il passato o l'opposizione non ce ne sono state dalla Marcia in qua; il 30 di Ottobre del '23 Mussolini al corrispondente romano del Corriere faceva constatare - tutto raggiante - che si era fatta una rivoluzione mentre i servizi funzionavano, mentre i commerci continuavano, mentre gli impiegati erano al loro posto ecc., e recentemente, qualche giorno dopo le elezioni, lo stesso Mussolini dichiarava candidamente a un giornalista straniero che "In Italia non c'era nulla da ristabilire perché nulla in Italia era mai stato interrotto". E questa è una delle faccie della rivoluzione fascista: la rivoluzione di Augusto, - salve le proporzioni e gli antecedenti - la rivoluzione che rispetta tutto, non scontenta nessuno, che riscote l'unanimità e non solleva opposizioni.





    Ma insieme io vedo quest'altro fenomeno: tacitamente, sordamente, senza ordini pubblici ma con uno svolgimento sistemato sotto cui non ci può non essere un piano prestabilito ed un volere unico, in tutta Italia si sono dalla Marcia in qua, rovesciate amministrazioni comunali, distrutti od espropriati o paralizzati organismi di cooperazione, di mutualità, di beneficenza, di pubblicità, vessati determinati ceti di cittadini, perseguitate determinate persone: tutta una miriade di casi spiccioli, spesso cruenti e luttuosi, di cui una piccola parte solamente è nota al grande pubblico, e che costituiscono effettivamente, vi sia o meno il proposito e l'ordine dall'alto, lo "sviluppo" della rivoluzione, la "seconda ondata", che è in moto dopo la prima anche se nessuno lo proclama, come era già in moto da un pezzo la prima, avanti la Marcia, anche se nessuno lo voleva credere. Orbene, a queste spinte effettivamente e spietatamente rivoluzionarie io credo che sempre resistano e succedano le controspinte, le reazioni locali: anche qui una miriade di fatti che costituiscono tutta una imponentissima rete di difese e una paurosa preparazione di controffese: mascheramenti di cooperative, camuffamenti di antichi sovversivi, costruzioni di ripari sotteranei, esigli anche volontari, e, coordinamento di risentimenti e di rancori.

    Naturalmente di questo oscuro e preoccupante movimento, pochi episodi sono noti, e di questi solamente quelli che, più raccappriccianti per le forme, sono per sé meno significativi, ma chi vive fra gli umili, chi va per le campagne ed ha per ufficio o per mutua simpatia la confidenza dei perseguitati e degli offesi, sa dire se vi sia o no in tanta parte d'Italia l'animo di reagire al fascismo, e non può pensare che con viva ansia a quella che potrà essere o prima o poi, o qui o altrove, la fioritura di questa seminagione di odio e di iniquità, che va avvenendo per tutto il nostro paese.

    Questo é il pane che sta sotto neve





    Se il regime ora imperante fosse un regime o di aperta dittatura o di derisa reazione, ma che assumesse la responsabilità delle azioni sue e de' suoi gregari, e se il paese nostro fosse politicamente meglio educato, valvola di sicurezza per questo covare di risentimenti sarebbe, come è avvio, l'opera dei partiti di opposizione; ma, stando le cose come stanno da noi, si può credere e sperare, per il bene del Paese e per la salute anche dei fascisti, che il malcontento antifascista possa essere tutto derivato nelle azione dei partiti?

    Purtroppo io credo che no;. Il fascismo, se ha portato nei partiti avversari un po' di chiarificazione e se ha obbligato molta gente a pigliar posizione o pro o contro, d'altra parte continua più che mai a rimanere esso nell'equivoco e ad assorbire esso le ambiguità di cui si depurano gli altri partiti. I quali partiti poi esistono e agiscono in determinati centri e zone, che costituiscono una parte piccolissima di tutta la superficie d'Italia politica. Le reazioni locali, personali, irresponsabili, che son suscitate dal fascismo ufficialmente irresponsabile personale e locale, non accennano affatto, per ora, a dirigersi ed a sfociare in questo o in quello dei partiti politici organizzati, impedite a ciò fare o da diffidenze antiche o recenti o da ostacoli ciecamente frapposti dal regime imperante. Quali aspetti assumeranno queste reazioni locali non si può dire. Quel che si può dire é che in provincia, in zone non rivelate dalle carte topografiche della politica attiva i Italia, le cose non vanno così liscie. "La situazione in provincia è grave" scrive l'ex comm. Rocca a Mussolini: e se lo dice lui vuol dire che qualche cosa nella marmitta bolle davvero. L'episodio Cesare Forni, non dimenticato né seppellito finora, le migliaia di voti raccolti dal partito dei contadini, il presidente del Partito Sardo, sono anche sintomi della situazioni a cui accenna il Rocca: ma c'è dell'altro che non si dice. Che cosa sono queste novità? Inizio di movimenti locali destinati ad assodarsi e ad estendersi, o risorgere di un vieto localismo e municipalismo gretto e inconcludente, o ribollire sardo di esasperazioni e di furori inconsiderati? Non si sa, non si può dire: le carte han delle zone in bianco: hic sunt leones. Solo l'avvenire potrà rispondere a tante ansiose questioni.

AUGUSTO MONTI