I PARTITI IN ITALIASe di fronte al tentativo interessato del partito dominante, che, per restarsene tranquillo là ove ottimamente si trova, vorrebbe la scomparsa di ogni distinzione politica e questo scopo cerca di raggiungere, dividendo arbitrariamente gli Italiani in nazionali e antinazionali, è legittima e morale la reazione e la franca affermazione dei partiti gelosi d'un proprio ideale; è d'altra parte malinconico il fatto che questa distinzione giunga alla parossistica frantumazione cui è giunta nelle ultime elezioni politiche, in cui si mise il paziente elettore di fronte a ben ventitré diversi simboli. Ventitré correnti ideali? No certo; e la prova si ebbe nella miseria dei discorsi programmatici, da cui solo alcune voci seppero elevarsi, per parlare al nostro spirito più che alle nostre orecchie. Rivoluzione Liberale ha già richiamato l'attenzione del lettore su un dato di fatto: l'Italia è vittima di due mali; organico l'uno: la sua incoltura; morfologico l'altro: il suo giolittismo. Questa diffusa immaturità politica non è da riscontrarsi solo nelle folle ancor troppo attaccate alle volgari abitudini da basso impero, per cui basta un cinematografo e un po' di pane per tenerle buone, ma ben di più nei disinvolti volteggiamenti di certi intellettuali, di certi accademici, tipizzati nel Perrotin del Roland, i quali, dimentichi del loro prossimo passato, o si affannano a sollecitare la laurea per l'On. Mussolini o scrivono libercoli in difesa del fascismo, come ieri li scrissero in difesa del popolarismo e del liberismo. Son questi intellettuali - gramigna di tutti i tempi - che giustificano poi la reazione e la diffidenza dei rivoluzionari contro la Intelligenza. Il popolo, che non ha una tradizione unitaria, si sente disorientato da queste frequenti "crisi spirituali" e va all'osteria e cerca di scansare, come può, i danni del vento contrario, ma là ove ha potuto formarsi una coscienza politica, resiste e si dimostra ben più maturo dei vari Perrotin, cui l'on. Paolucci vorrebbe assegnare un voto plurimo. Su questa materia sorda si è diffusa la crittogama del giolittismo. Noi oggi condanniamo il fascismo, lo stesso on. Giolitti s'è appartato e, pur non volendo apparire oppositore, ha platonicamente voluto rivendicare le benemerenze del partito liberale, facendo versar lacrime di commozione a tante vergini coscienze; ma ottimamente s'appone Rivoluzione Liberale, quando denuncia il Fascismo, come un giolittismo portato al suo massimo sviluppo. I partiti storici si esauriscono dopo il '70, la destra, che pur aveva nelle sue vene l'alito vivificatore della filosofia dello Spaventa, si raggrinzò nella microcefalia del monocolo junker Di Rudinì; e la sinistra, che, con l'autoritarismo del Crispi, aveva perduto ogni suo carattere distintivo, si mortificò nella politica di piccolo compromesso e di piccola amministrazione dell'impiegato Giolitti. Col Crispi s'aveva tuttavia un'eco del passato, una volontà, col Giolitti si perdette anche questa e lo Stato liberale morì nello Stato-partito. La furberia del vecchio uomo consistette in quella sua pacchiana arte di nascondere i suoi arbitri sotto frasi di ironica bonomia. Ma la realtà era, certo in minori proporzioni, quella che è... oggi. Il ballo dei Prefetti fu specialità sua, le elezioni affidate ai mazzieri furono inventate da lui, la corruzione dei partiti con compromessi fu sua arte, l'asservimento del Parlamento fu sua vantata abilità, nell'uso degli organi dello Stato per il trionfo della sua parte e contro gli oppositori, egli fu maestro più dell'on. Mussolini; la confusione dell'idee con i più disparati atteggiamenti, fu poi fortunata tenacia da lui sempre perseguita. Egli solo non amava le pose gladiatorie oggi di moda, non amava deformare il suo viso ad uomo "dal fiero aspetto" e preferiva gabbare il mondo, con la sua igienica ironia anche nei momenti più gravi. Egli non fece la lotta civile per l'occupazione delle fabbriche, ma richiamò fuori gli invasori con la promessa del controllo, che ora poi deride; e quando nel 1921 non poté attuare il suo sogno d'un ministero social-liberale, per dispetto, fece le elezioni e diede via libera al fascismo. La sua politica finì come doveva finire, iperbolizzandosi in quel partito che essa aveva creato, per punire socialisti e popolari, ma che invece si valse della sua esperienza per far la via da sé. E durante tutta questa trasformazione, i liberali tacquero o applaudirono, senza capire che l'opera giolittiana, portata alla sua più esagerata esplicazione, significava appunto la morte del liberalismo, della democrazia: forme politiche a cui l'on. Giolitti non aveva mai sinceramente creduto. Ed ora quei liberali e quei democratici credono d'essere a posto perché, dopo essersi stropicciato gli occhi, starnazzano in difesa dei loro sacri ideali, che non hanno saputo difendere. Dovremmo commuoverci e applaudire ai democratici che ora cercano di riscattare il loro passato giolittiano con i loro sermoni sulla libertà? Bisogna ben distinguere tra antifascisti e antifascisti. Antifascismo è prima di tutto reazione morale, che trae la sua spinta dalla dignità stessa dalla persona umana e chi non l'ha sentita da principio, giustificando il fascismo sia pur per un momento, non la può sentire ora e se la sente, la sente solo per un sordo risentimento e noi non possiamo prenderlo sul serio, fosse pure uno di quei tali socialisti, che, nei primi mesi del Governo Mussoliniano, eran pronti, per una virtù lungimirante, a sobbarcarsi all'onore della feluca e dovettero poi rinunziare a questo sacrificio, solo per l'intransigenza dell'on. Farinacci. La marcia su Roma può essere accettata come marcia rivoluzionaria, solo se è presa come momento di netto ripudio da quel passato che serrò e fecondò i germi della odierna servitù politica. Gli uomini del passato non possono in nessun modo essere uomini dell'avvenire, per la loro mentalità inadeguata al bisogno nuovo. L'on. Amendola, ha saputo apporre recentemente nella sua Battaglia liberale una concezione di Stato che è in perfetta antitesi con la concezione conservatrice, che oggi è sublimata nel machiavellismo fascista. Il punto di divergenza di questi due storici e naturali partiti è la concezione dello Stato, che per il primo è concepito come ente vivente, in sé i fini stessi degli individui componenti la società, donde lo Stato trae ragione d'essere; mentre per il secondo è un Ente racchiuso in sé e vivente una vita sua sacra ed opposta alle ansie dei cittadini. Ma questa concezione liberale kantianamente conduce alla forma politica più adeguata al liberalismo: alla repubblica; di qui la naturale giustificazione del terzo partito che oggi, nelle condizioni presenti, ha diritto alla parola. Conclusione cui del resto giungeva lo stesso Treitschke. La concezione liberale dello Stato non può neppure nella definizione dell'Amendola, esprimere i nuovi bisogni delle masse lavoratrici, dal cui moto ascensionale si viene delineando una superiore forma di Stato etico, che deve non solo permettere, ma aiutare l'individuo nel suo sforzo alla sua liberazione interna, raggiungibile solo in una forma economica diversa. Lo Stato liberale é ancora troppo aderente al liberismo manchesteriano suo progenitore, per poter sentire questa nuova lotta e perciò deve difendere i suoi diritti contro la critica dell'altro partito naturale, che oggi ha un'idea da difendere: del partito socialista. E avrei esaurito l'elenco dei partiti naturali, se non fosse nell'agone anche il partito popolare, che è basato sull'equivoco di voler ridurre la politica a finzione dell'elemento religioso. Anche l'ineffabile senatore Crispolti crede questo e, per questo, appoggia il fascismo. Luigi Sturzo ribatte che per la stessa sua intima natura, il fascismo è anticristiano e allora la lotta o si limita al campo delle libertà statutarie e il partito popolare dovrebbe accomunarsi con l'opposizione democratica o si estende al campo economico e allora, entrati nel binario della lotta di classe, il popolarismo é... socialismo, sia pure evangelizzato. Se poi il popolarismo volesse trovar la sua base nella sola questione religiosa, come può impostarsi in Italia, esso dovrebbe ridursi ad un vero partito temporalistico, e sentirsi, come veramente é, l'erede del partito clericale, che era politicamente conservatore e siccome ogni popolare è conteso da due anime, così non può prometter nulla per l'avvenire: egli è e resta figlio dell'anno 1919. (1) Vi sono altri partiti? Ombre del passato o insegne mosse da clientele o espressioni di risentimenti. Campeggia grandiosamente su questa confusione spirituale la figura del poeta che par faccia parte per sé stesso: Gabriele D'Annunzio. Io credo che nessuno mai abbia dimostrato quanto avesse ragione Platone di voler bandire dalla sua repubblica i poeti, meglio di Gabriele D'Annunzio, che, col suo atteggiamento misterioso, ha tanto contribuito all'odierno confusionismo spirituale. I suoi legionari credono in lui, che ogni tanto, lancia loro telegrammi sibillini; ma egli poi si cinge il capo della nuova corona principesca, proprio mentre commuove il mondo con il suo messaggio in difesa dell'esiliato Unamuno, e contro la dittatura spagnuola. D'Aragona, per propiziarsi l'animo suo, ha voluto parlare in linguaggio di Dante, Cicerin gli ha fatto visita, l'on. Mussolini lo ha fatto principe ed il poeta ha una promessa ed un cimelio per tutti. Victor Hugo a Guernesey si accontentava di dar sorrisi e regali ai suoi nipotini; peccato che D'Annunzio non abbia nipoti, forse ci libererebbe anche da questo equivoco opprimente. I giorni che viviamo sono ben tragici, per poter fare della politica a base di responsi sibillini; la prima e fondamentale esigenza è che ciascuno sia sincero di fronte a sé e agli altri e prenda il suo posto deciso. ALFREDO POGGI.
(2) I lettori sanno in quali particolari la nostra concezione differisca dal punto di vista del nostro collaboratore. Tuttavia la rassegna del Poggi ci sembra interessante per chiarire i sintomi di rinnovamento della vita dei partiti in Italia, nei quali Rivoluzione Liberale ripone le speranze del futuro.
(N. d R.)
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