Commento a un preludio

    Non siamo redattori dell'"Impero": non ci serviamo quindi della storia per comporre più o meno amabili giuochi di idee. Né chiediamo a Machiavelli di farsi interprete della nostra fede: troppi secoli e troppe idee ci separano da lui. La democrazia moderna presuppone la rivoluzione protestante, le grandi monarchie assolute: Machiavelli, ignaro della prima, dei grandi stati moderni non ha che il presentimento, che la sua esperienza resta ancora legata allo Stato città. E tuttavia gli Italiani d'oggi possono apprendere ancora qualcosa dal Segretario fiorentino. Vi è in Machiavelli una fede nelle forze popolari, una coscienza del popolo come fondamento dello Stato, che non si spiega soltanto con la nascita fiorentina, con la passione repubblicana degli anni savonaroliani della giovinezza, con gli entusiasmi umanistici. Ritornare oggi al Machiavelli del "Principe", dimenticando che l'utopia del "Principe" si è rivelala assurda persino per il tempo in cui é stata creata, credere che lo Stato rudimentale del "Principe" possa essere lo Stato moderno, significa non soltanto ignorare la storia europea di quattro secoli, ma dichiararsi meno attuali di Machiavelli stesso.

Dedicato a Mussolin Impero e libertà

    "È facil cosa è a conoscere donde nasca nei popoli questa affezione del vivere libero; perché si vede per esperienza le cittadi non aver mai ampliato né di dominio, né di ricchezza, se non mentre sono state in libertà. E veramente meravigliosa cosa è a considerare a quanta grandezza venne Atene per ispazio di cento anni, poi che la si liberò dalla tirannia di Pisistrato. Ma sopratutto meravigliosissima cosa è a considerare a quanta grandezza venne Roma, poi che la si liberò da' suoi re (Discorsi, I. II. c. II.)"

Dedicato all'impero: Democrazia e imperialismo

    "Considerando adunque tutte queste cose, si vede come a' legislatori di Roma era necessario fare una delle due cose a volere che Roma stesse inquieta come le sopradette repubbliche, o non adoperare la plebe in guerra, come i Veneziani, o non aprire la via ai forestieri, come gli Spartani. E loro fecero l'uno e l'altro: il che dette alla plebe forza ed augumento, e infinite occasioni di tumultuare. E se lo Stato romano veniva ad essere più quieto, ne seguiva questo inconveniente, ch'egli era anco più debole, perché gli si troncava la via di potere venire a quella grandezza, dove e' pervenne. In modo che volendo Roma levare le ragioni de' tumulti levava ancora le ragioni dello ampliare.

    Per tanto se tu vuoi fare un popolo numeroso ed armato, per poter fare un grande imperio, lo fai di qualità che tu non lo puoi dopo maneggiare a tuo modo; se tu lo mantieni o piccolo o disarmato per poter maneggiarlo, se egli acquista dominio, non lo puoi tenere, o doventa sì vile, che tu sei preda di qualunque ti assalta, e però in ogni nostra deliberazione si debbe considerare dove sono meno inconvenienti, e pigliare quella per miglior partito, perché tutto netto, tutto senza sospetto non si trova mai. Poteva dunque Roma a similitudine di Sparta fare un principe a vita, fare un senato piccolo; ma non poteva, come quella, non crescere il numero de' cittadini suoi, volendo fare un grande impero; il che faceva che il re a vita e il piccolo numero del senato, quanto alla unione, gli sarebbe giovato poco (Discorsi, I. I. c. VI)."

Dedicato agli uomini d'ordine

    "Io dico che coloro che dannano i tumulti tra i nobili e la plebe mi pare che biasimino quelle cose che furono prima ragione di tenere libera Roma e che considerino più a romori ed alle grida che di tali tumulti nascevano, che ai buoni effetti che quelli partorivano; e che non considerino, come é sono in ogni repubblica duoi umori diversi, quello del popolo e quello de' grandi: e come tutte le leggi che si fanno in favore della libertà nascono dalla disunione loro come facilmente si può vedere essere seguito in Roma... Né si può chiamare in alcun modo con ragione una repubblica inordinata dove sieno tanti esempi di virtù, perché i buoni esempii nascono dalla buona educazione, la buona educazione dalle buone leggi, e le buone leggi da quelli tumulti che molti inconsideratamente dannano; perché chi esaminerà bene il fine di essi, non troverà ch'egli abbiano partorito alcuno esilio o violenza in disfavore del comune bene, ma leggi ed ordine in benefizio della pubblica libertà. E se alcuno dicesse: I modi erano straordinarii e quasi efferati, vedere il popolo insieme gridare contro il senato, il senato contro il popolo, correre tumultuariamente per le strade, serrare le botteghe, partirsi tutta la plebe di Roma, le quali cose tutte spaventano non che altro chi legge; dico come ogni città debbe avere i suoi modi, con i quali il popolo possa sfogare l'ambizione sua, e massime quelle cittadi che nelle cose importanti si vogliono valere del popolo (Discorsi, I. I. c. IV)."

Dedicato ai mussoliniani

    "Donde nasce che i regni, i quali dipendono solo dalla virtù d'un uomo, sono poco durabili: perché quella virtù manca con la vita di quello... (Discorsi, I. I. c. XI)."

Ritratto di... Appio Claudio

    "E crearono dieci cittadini... in tra i quali fu creato Appo Claudio, uomo sagace e inquieto. E perché é potessero senza alcun rispetto creare tali leggi, si levarono di Roma tutti gli altri magistrati, ed in particolare i Tribuni e i Consoli, e levossi lo appello al popolo, in modo che tal magistrato veniva ad essere al tutto principe di Roma. Appresso ad Appio si ridusse tutta l'autorità degli altri suoi compagni per gli favori che gli faceva la plebe, perché egli s'era fatto in modo popolare con le dimostrazioni che pareva meraviglia che egli avesse preso sí presto una nuova natura e uno nuovo ingegno essendo stato tenuto innanzi a questo un crudele persecutore della plebe. (Discorsi, I. I. c. II)."

NICCOLO' MACHIAVELLI.