L'UMANITARIA

    Le tendenze paternalistiche del fascismo che da una astratta e nebulosa affermazione di disciplina e di subordinazione alla Nazione trae le norme che reggono i rapporti fra lo Stato e le classi operaie, non potevano evidentemente ammettere come valido lo spirito animatore della tenace opera svolta, durante un intero ventennio, dalla Società Umanitaria per dare ai lavoratori tutti una chiara coscienza della loro forza, per stimolarli, per allenarli ai problemi tecnici e spirituali, e quindi anche politici, come preparazione necessaria affinché essi possano assumere nello Stato le funzioni e le responsabilità di Governo che loro competono.

    Ragioni di basso opportunismo, che non é il caso d'analizzare per ora almeno, han ritardato di più d'un anno un intervento che s'è pei verificato con tutto un esteriore apparato diretto a porre bene in evidenza la necessità sorta poi nuovi tutori del proletariato di curare l'interesse dei lavoratori mistificati dalle aberrazioni di falsi pastori che la longanime sopportazione del partito dominante aveva lasciati indisturbati al loro posto.

    Bisognava naturalmente dare la dimostrazione palese della improrogabile, urgente necessità di tale intervento, giustificare cioè come dinanzi ad una situazione divenuta insostenibile, l'opera del governo e dei suoi emissari non fosse imposta che dalla volontà di salvare un organismo prezioso, sacro patrimonio della classe lavoratrice, giunto ormai sull'orlo di un abisso nel quale avrebbe altrimenti trovata irreparabile rovina. In altri termini, bisognava dimostrare che l'Umanitaria, la quale di fatto lottava contro non comuni difficoltà dovute allo stesso noncurante valore con cui in tempi difficili aveva mantenuto fede al suo programma, non avrebbe potuto salvarsi in virtù delle sue forze autonome.





    A tale bisogna si accinsero con lena febbrile i Commissari governativi, ma essi, dopo tre mesi di affannose e minuziosissime indagini, nel dare conto, in una dettagliata relazione, dei rilievi fatti, palesemente dimostrano che se la situazione finanziaria nella quale l'Umanitaria si trova è senza dubbio deficitaria, quella patrimoniale è tale da permettere la continuazione dell'opera sua senza bisogno di rimedi eroici e tanto meno di interventi diretti a togliere ai suoi legittimi amministratori ed ai suoi componenti ogni potere statutario. Caduto il più forte dei pretesti che avrebbero potuto essere addotti a giustificazione della violenza commessa a danno di una privata istituzione, l'avvenuta distruzione cioè o almeno la decurtazione del suo patrimonio, non restava, per coprire il movente politico determinatore di tutta la manovra, che valersi dei pochi fatti criticabili accertati e, opportunamente ingranditili, presentarli genericamente come indici di una situazione di eccezionale gravità tale da suscitare legittime preoccupazioni negli enti che da anni all'Umanitaria davano i loro contributi, sebbene essi di fatto si fossero sempre mostrati paghi dei risultati da essa raggiunti mediante l'erogazione e l'uso dei contributi stessi.

    L'opinione pubblica usa ormai a subire passivamente ben più pericolose iniziative dei ricostruttori, non ha mostrato di essere molto scossa dall'avvenimento che d'altra parte si presta a considerazioni non prive di interesse sia per quanto riguarda l'opera passata dell'Umanitaria, sia per quanto si riferisce al suo avvenire che potrebbe apparire irreparabilmente compromesso.





    Anzitutto vogliamo rilevare che giudicare i criteri contabili e amministrativi dell'istituzione confrontandoli col modello fissato per l'ordinamento delle opere pie e di conseguenza considerare grave colpa l'adozione di metodi che si pensano volgarmente proprii delle imprese industriali private, potrebbe essere utile cosa e necessaria qualora però si potesse ritenere esista fra quelle e la prima sicura affinità il che invece, come vedremo, nel caso specifico non si verifica; avrebbero dovuto ad ogni modo gli inquirenti chiedersi se le deficienze amministrative rilevate siano sostanziali o non rappresentino piuttosto forme patologiche secondarie in un organismo volutamente non burocratico e che in definitiva non infirmano la convenienza di mantenere in esso sistemi di controllo e d'azione più agili di quelli escogitati e voluti dalla legge per altre istituzioni le quali, sia pure con un movimento di denaro più esteso, godono dell'incommensurabile vantaggio di agire secondo una unica direzione, per scopi ben determinati e sopratutto costanti. Le irregolarità e deficienze viste dalla Commissione ed esposte nella sua relazione erano già state d'altronde rilevate e fatte oggetto di severa critica interna per cui erano ormai allo studio gli opportuni rimedi; se si volesse sostenere si sia di fatto proceduto alla loro applicazione con soverchia lentezza e senza sufficiente energia ciò non potrebbe egualmente far apparire legale lo scioglimento del vecchio consiglio e la sua sostituzione con un Regio Commissario.





    Il quale avrebbe dovuto in secondo luogo porsi e risolvere il problema se le difficoltà finanziarie nelle quali l'Umanitaria si è venuta a trovare dipendano realmente e solamente dalla inettitudine dei suoi dirigenti o piuttosto da cause esterne che non dovrebbe essere difficile individuare quando si ponga mente ai compiti complessi che ad essa furono attribuiti nel recente passato e che svolse raccogliendo ampia lode.

    Diremo di più, ci sembra che non si possa onestamente giungere a una qualsivoglia conclusione, ad una obbiettiva valutazione dell'efficienza dell'Ente che si volle porre sotto controllo (e questo soltanto dovrebbe essere scopo di una inchiesta) qualora accanto alle risultanze contabili non si presenti in modo ben chiaro, ciò che invece la relazione tralascia di fare, quanto può dire cosa effettivamente l'Umanitaria sia, quale ne sia l'intima struttura, il pensiero che la regge e l'importanza dell'opera compiuta. Tacere di questa presentando al pubblico piccoli fatti slegati e deformati perché tolti da tale più ampia cornice nella quale logicamente si inquadrano, lasciando supporre che il constatato disordine amministrativo sia effetto e causa ulteriore di un pessimo orientamento tecnico, quasi che l'Umanitaria si fosse ormai ridotta ad una vana espressione, ad un nome senza risonanza, si che sia generoso passarne sotto silenzio i risultati raggiunti, significa commettere una vera e propria mistificazione a danno della pubblica opinione.

    Escluso a priori ogni rilievo che implichi responsabilità penali per determinate persone, una critica limitata ai fatti amministrativi non ha senso se non in quanto si riesca, con una integrale valutazione dell'opera dell'istituto esaminato, alla dimostrazione di uno squilibrio fra spese compiute e risultati raggiunti vale a dire quando si tenti di dare di questi un giudizio esauriente. Su questo punto fondamentale la relazione tace.

    Nessuno può negare che la multiforme attività dell'Umanitaria abbia toccato campi disparati, si sia svolta secondo direzioni molteplici estendendosi in superficie più che in profondità. Essa appunto per ciò ha dato vita a manifestazioni che più intimamente hanno risentito gli effetti di quelle difficoltà di ordine finanziario che nell'ultimo decennio sono state fenomeno comune a tutte le amministrazioni pubbliche e private. Qualora si dimostrasse che tale sviluppo estensivo non é che diretta conseguenza del carattere stesso dell'istituzione, non sarebbe difficile giustificare quegli accorgimenti amministrativi che in essa furono adottati e che, poiché urtano con la loro insufficienza formale contro i sacri canoni della scienza del controllo, divennero, in quanto diedero occasione ad errori senza dubbio degni di biasimo ma non certo essenziali, comodo bersaglio per chi non vuol riconoscere che l'Umanitaria non potrebbe agire qualora fosse impastoiata con un ordinamento che ne rallentasse ed appesantisse l'azione.





    Il punto centrale di ogni discussione non può essere che nella esatta definizione del carattere dell'Istituzione, carattere che i suoi giudici mostrano di non aver compreso, o per essere più esatti, di avversare con deliberato proposito perché in esso appunto sta ogni motivo di dissenso ideale che separa il movimento fascista da ogni altro a base democratica.

    L'Umanitaria, checchè se ne voglia dire, tentando la riesumazione e l'esegesi del pensiero del suo fondatore, non è una istituzione pubblica di beneficienza. Al di là dell'indefinito e indefinibile programma del testatore il quale si propose di dedicare il proprio ingente patrimonio ad un'opera di aiuto alla classe lavoratrice considerata come massa amorfa di diseredati che solo dal paterno, caritatevole animo degli abbienti può sperare di ottenere quanto può migliorare le sue condizioni, esiste una attività ventennale la quale del rampollo uscito dalla mente del filantropo ha plasmato con opera quotidiana la fisionomia definitiva che invano si vorrebbe ricercare all'atto della nascita. Questa, come tutti sanno, è stata seguita da fatti che hanno ben presto messo in luce come il rimanere fedeli alla lettera della volontà di P. M. Loria sarebbe stato ripetere senza scopo e senza risultato la secolare e inane esperienza di enti che, costretti nella ferrea disciplina di immutabili statuti, segnano il passo nel campo dell'assistenza curativa. Basterebbe a questo proposito rifare la storia della Casa di lavoro per l'assistenza ai disoccupati per convincersi come la fortuna dell'Umanitaria sia dovuta all'aver saputo coraggiosamente rinunziare a molti dei principi ché avrebbero dovuto cementarne le basi.

    L'Umanitaria concepita dai suoi primi realizzatori e retta costantemente come organismo suscitatore di autonome energie nella classe operaia considerata come fattore sociale che si deve nell'ordinamento politico-economico conquistare un suo posto a prezzo di un costante, inesausto sforzo di intimo miglioramento e della imposizione di una volontà che nasce solo dalla perfetta coscienza della sua reale efficienza, è stata e non avrebbe potuto essere altrimenti, un istituto di sperimentazione sociale disposto a tentare in ogni campo il nuovo, pronto quindi ad affrontare ogni più ardita incognita, a non rimpiangere mai le forze dedicate ad esperimenti quando anche questi conducessero a conclusioni negative, poiché la conoscenza della mancata convenienza di battere nella realtà certe strade piuttosto che altre è risultato che lo sperimentatore accoglie poiché ne riconosce la utilità.





    Siffatto programma è in apparenza costoso e in realtà arduo per difficoltà materiali e morali anche perché facilmente esposte alle critiche sciocche degli stolti. Diciamo in apparenza costoso poiché solo l'ignaro della complessità della vita sociale può valutare le realizzazioni che riescono ad affermarsi in modo definitivo senza in esse veder proiettato il valore dei tentativi che le hanno precedute, che hanno servito a preparare, sia pure traverso successive dolorose eliminazioni, il campo del loro successo.

    Come istituto di sperimentazione sociale in intimo contatto con la vita vissuta e perpetuamente rinnovantesi nei suoi aspetti sostanziali, l'Umanitaria non poteva chiudere la propria attività entro limiti predeterminati né procedere sul suo cammino con la cautela imposta ai saggi amministratori di una Congregazione di Carità o di un Pio Istituto Ospedaliero che al primo gennaio di ogni anno sono in grado di prevedere a puntino quali saranno i fatti più salienti della gestione nell'ultimo trimestre dell'esercizio iniziato; un suo successo d'altronde, fuori del campo tecnico, non poteva nascere che dalla esatta rispondenza dell'opera sua di iniziatrice, di seminatrice con le forze in atto nell'ambiente esterno. Ora, è bene dire alto e forte che questa rispondenza non si è avuta e non si raggiunge che assai lentamente ed incompletamente. Non si dica che ciò è dovuto ad un errore di prospettiva, a deficiente interpretazione delle forze agenti nell'ambiente sociale italiano, ad una troppo ottimistica valutazione della nostra vita economica e delle sue reali possibilità; chi lavora per il domani è sempre esposto alla necessità di gettare più sementi perché una sola attecchisca. Né si cerchi di coprire di biasimo il seminatore per la tarda comprensione, per l'ignavia altrui. Non gli industriali hanno capito la utilità di creare forti e salde maestranze, forti, salde e dignitose nell'ambito professionale e in quello morale ed intellettuale, utilità che l'Umanitaria ha sempre invece affermata e ha sempre cercato di realizzare. In Italia viviamo in una fase di imperfetto capitalismo che spiega l'esistenza di una larga schiera di imprenditori i quali credono di potersene stare tanto più lieti e sicuri e di meglio assicurare le sorti delle proprie industrie quanto più miseri e ignoranti sono i lavoratori impiegati. Né hanno compreso l'opera dell'Umanitaria, i Sindacati operai i quali videro in essa uno strumento atto alla formazione di gruppi privilegiati, un istituto di lusso ottimo nei periodi di abbondanza economica e non ne capirono forse il programma a lunga scadenza illuminato e sicuro; altrettanto si può dire dei partiti proletari che si affannano oggi a difenderla dall'illegale provvedimento che l'ha colpita. Cosi però si spiega come essa, nata quale Istituto dedicato allo studio e alla creazione di organismi nuovi destinati ad autonomi sviluppi, sia stata spesso costretta a mantenerli con le sue sole forze come soluzioni integrali dei problemi pei quali aveva ad essi dato vita, pur dovendo nel contempo continuare l'opera sua di ricerca di nuove applicazioni secondo lo spirito informatore della sua azione.





    Non occorre illustrare tutte le iniziative suscitate e sorrette dall'Umanitaria per confermare questo nostro asserto sia per quanto si riferisce al suo carattere fondamentale, messo assai bene in luce in un breve ma significativo capitolo nel volume "L'Umanitaria e la sua opera" nel quale Augusto Osimo ha fissato le mete raggiunte e quelle future, sia per quanto riguarda le difficoltà che ne hanno contrastata l'azione. Citeremo solo due esempi estremi che ci sembrano assai significativi. Nel 1905 l'Umanitaria dà, accingendosi alla costruzione di un primo gruppo di case popolari, la dimostrazione irrefutabile della possibilità e della convenienza economica di costruire alloggi decorosi, sani e a buon mercato per le classi meno abbienti. Non più tardi del 1909 ha inizio quel programma edilizio che, curato da un istituto ad hoc, l'Ente autonomo per le Case Popolari, ha dotato la città di perfetti quartieri dando al problema dell'alloggio operaio una brillante ed estesa soluzione.

    Fa riscontro invece quanto è avvenuto per l'insegnamento professionale. Nel 1904 quando in Italia nessuno ancora pensa al problema della preparazione tecnica e culturale delle maestranze, l'Umanitaria apre le sue scuole professionali; si tratta della prima cellula di un vasto organismo che dovrebbe prosperare nel centro industriale più importante dell'intera nazione. Orbene, soltanto dopo 200 anni ci si accorge che essa, non può da sola risolvere il problema ma che tutte le forze direttamente interessate devono concorrervi, non pertanto si criticano le sue scuole e se ne denuncia la decadenza, ma si dimentica di ricordare che esse, che di fatto avrebbero dovuto costituire delle scuole modello nelle quali diversi metodi di insegnamento dovevano venire proposti, applicati e vagliati, hanno dovuto accettare, per la colpevole incomprensione altrui, compiti che le hanno poste su di una strada per la quale non erano state esplicitamente ideate.





    Né vale continuare l'esemplificazione poiché chi conosce l'Umanitaria sa come la deformazione impostale, e contro la quale Augusto Osimo ha tenacemente combattuto insistendo giustamente nell'eccletismo che oggi alla sua memoria si biasima, non può avere difficoltà ad ammettere quanto abbiamo asserito. Coloro invece che la vedono traverso il rivestimento politico che si è voluto e si vuole attribuirle senza porlo nella sua luce più esatta, difficilmente accetteranno il riconoscimento, che è implicito in quanto abbiamo detto, della colpa che grava su tutto il mondo politico, economico e culturale milanese per non aver voluto esattamente comprendere le funzioni che l'Umanitaria esercitava e non aver voluto, non diciamo porgerle adeguato aiuto perché essa stessa potesse mantenere e sviluppare le progettate nuove istituzioni, il che, ripetiamo, sarebbe stato grave errore, ma raccogliere gli embrioni di queste ultime e sia pure fuori di ogni vincolo con la creatrice, realizzarli in pieno così come comporterebbe l'intensità della vita industriale e sociale lombarda e italiana.

    In questo stesso fatto è tutta la giustificazione dell'opera personale di Osimo che fu dipinto, e non inesattamente, come formidabile energia accentratrice nell'azione; ma solo una lurida, ostinata volontà poteva superare lo sconforto derivante dal dover procedere sempre contro corrente fra i superficiali consensi di molti, fra l'ostilità e l'indifferenza dei più, con l'aiuto efficace e sincero di pochi.

R. BAUER.