VIAGGIO ATTORNO A GOBINEAU

Dichiarazione

    Gobineau: uno scrittore che io amo.

    Amo questo francese di Normandia, nobile di razze fine ed antica, dalle poche squisite amicizie: Prockesh, l'ultimo scolaro di Metternich, Don Pedro, l'ultimo imperatore del Brasile, Giorgio V di Hannover, l'ultimo re cieco; dai grandi viaggi attraverso i "paesaggi inediti" del Brasile, della Persia, delle Isole di Terranova battute dal verde mare; dalla vecchiaia povera dispregiata dai retori. Fu un ingenuo, che si entusiasmava per la sposa dell'arimanno barbaro, castamente sedente al giovane focolare, ravvolte le treccie bionde nelle bandelette di lino. Fu un mite che parteggiò per Silla, studiò i caratteri cuneiformi dei monumenti assiri, e non volle mai essere eletto deputato.

    Nell'opera sua maggiore, "l'essai sur l'inegalitè des rages humaines", egli vide la storia universale come un immenso ricamo di Kachemyr. Le due varietà inferiori della specie umana, la razza nera e la razza gialla, sono il fondo grossolano, che le famiglie secondarie della razza bianca sollevano e sfumano mescolandovi la lor seta: mentre il gruppo ariano, facendo circolare i suoi fili più sottili attraverso le generazioni nobilitate, applica alla loro superficie, i suoi arabeschi di porpora e d'oro, raddolciti da una patina morbida e fusa, cui ogni secolo aggiunge una tonalità preziosa.

    Tutti i ricami a telaio, si sa, sacrificano talvolta i principii del realismo alle esigenze dell'armonia dei colori. Nei Souvenirs de voyage, Gobineau ha questo piccolo dialogo delizioso, fra una bambina che, appunto, ricama, e sua madre.





     - "Mammina, non credi che se facessi la lingua del cane di un verde più chiaro, starebbe meglio?"

     - "Si, bimba mia: ma io la preferirei violetta è più naturale". -

    Ebbene di questi cani con la lingua violetta ne corre più d'uno nell' "Essai sui l'inegalité, des races humaines". Ma piacciono: e ammaliati dal ricamo magico, anche noi riconosciamo in tutta serietà: "Si, si, è più naturale".

L'apocalisse di Gobineau

    Il "programma" che Gobineau prospetta all'umanità, è noto. Caos etnico, disfacimento pulverulento delle razze, contaminazione universale. Il filo d'oro della razza ariana si perderà, sul grande telaio della storia, fra i colori più vili. Forse verrà ancora Tamerlano, forse tutta l'Europa e l'America cadranno in una corruzione di sangue e di fibra, in una meticceria verbosa, oppure "i centri manifatturieri cresceranno sempre più, diffondendo la miseria e la demoralizzazione nelle basse classi" (Ep. p. 162): i camiciotti bleu degli operai diventeranno sempre più numerosi, e i territori già conquistati dagli ariani saranno una enorme verminara di popolaccio sanguinario e immandrillito, buono per la ripresa dei sacrifici umani, della prostituzione sacra, e per un dissolvimento babilonico.

    Gobineau si muove fra queste profezie sinistre come se ci guadagnasse un tanto. Le mette in rilievo con gusto tetro. Si compiace di battere i popoli con verghe di ferro. Ha la capacità di odiare intellettualmente intiere generazioni. Condanna la razza negra a "ramper eternellement" dinanzi agli Aria, guerrieri e signori: lascia gli slavi "à leurs humbles travaux"; parla delle caste inferiori indiane in questi termini: "La lectures des livres sacrés leur fut interdite, ils ne furent pas considerés comme purs, et rien de plus juste". Ha un debole per il linciaggio.





    Inutile chiedergli il perché di questa sua speciale "giustizia". Egli si è messo al principio dei secoli, alle scaturigini della storia, sedendosi al posto del Padre Eterno, ed ha deciso, nella sua saggezza, di affidare alla razza bianca e ai biondi Aria tutta la parte nobile della storia avvenire. Perché ai bianchi, e non ai gialli? Non si sa. La "giustizia" di Gobineau è imperscrutabile come la teoria della grazia di Calvino. Egli ha introdotto la predestinazione delle sorti dei popoli, come Calvino l'ha introdotta nelle sorti delle anime. Perché ci sono delle anime dannate al peccato e alla perdizione? Non si sa. Perché ci sono dei popoli di razza nera o gialla destinati a "ramper eternellement"? Non si sa. Calvino presenta questa sua inesorabile e misteriosa "giustizia" come una certezza teologica. Gobineau la presenta come una diagnosi medica. La teologia di Calvino vale tanto quanto la scienza etnologica di Gobineau. Ma, al di là di ogni confutazione, resta l'accento metallico con cui hanno intimato: "voi sarete dannati" oppure: "voi morirete". Tale accento è identico. Leggo Gobineau, leggo Calvino; sono in una chiesa parata di nero, dalle prospettive infinite, schiaccianti. Ma sono orgoglioso di fissare così bene il destino tagliente, che é anche il mio destino. Sono - per usare la terminologia di Gobineau (Plèsades) sono "Figlio di re", ho la sensazione di poter sfuggire alle insidie della decadenza e della corruzione, di poter essere pari al destino, chiudendomi nell'accettazione del dolore e dell'esercizio della volontà.

    Questa impressione fu ben risentita da uno dei primi lettori dell'Essai: Tocqueville. Egli scriveva a Gobineau: "Voi avete ragione di negare di essere materialista. La vostra dottrina è piuttosto una specie di fatalismo, di predestinazione se volete: differente tuttavia da quella di Sant'Agostino, dei Giansenisti e dei calvinisti: questi sono quelli che vi somigliano di più per l'assolutezza della dottrina, in questo, che per voi c'è uno strettissimo legame fra il fatto della predestinazione e la materia" (Ep. p. 189).





Le fonti dell'"essai"

    Ma questa sua inesorabilità, avanzata con pretese ed apparecchi scientifici, è una vernice. Da qualunque parte la si raschi, vien fuori l'humeur contro le siècle". Nel castello di Bredon, in Normandia, c'è un vecchio gentiluomo imbronciato, antico ufficiale d'ordinanza del Conte di Artois, che passa lunghe serate con un ragazzo di dieci anni: suo figlio. "Conversazioni interminabili in cui le questioni storiche erano trattate a fondo, e in cui c'era un grande profitto reciproco". Quelle serate, tenute sotto la restaurazione e la Monarchia di luglio, sono molto nere. (Press'a poco, il tono di un pranzo famigliare in casa di un nostro deputato dell'opposizione costituzionale: si capisce che ne debba scaturire una apocalissi).

    Ce n'è per tutti, di condanne: per i Borboni, per la nobiltà, per Luigi Filippo, per i manants che rubano, per la silenziosa congiura dei campagnuoli, per i giacobini, per gli operai, per le macchine, per Parigi. Padre e figlio sono due signori della Lega o della Fronda: fanno tutte le opposizioni, quella aristocratica e quella morale, quella del sangue e quella della virtù. "Non c'è più religione". La sensibilità violenta, che fa del padre un pensionato irascibile, farà del figlio un grande scrittore. Le invettive che il padre ha lanciato contro le donne impudiche della capitale, voi ve le ritrovate nell'Essai a proposito, per esempio, della Grecia: "Je ne dis rien den concours de jeunes filles nues dans le stade, je n'insiste pas sur cette exaltation officielle de la beautè phisique... mais je dis que la fin de toute cette bestialitè était de créer un ramas de misérables sans foi, sans probité, sans pudeur, sans humanité, capables de toutes les infamies, et façonnés d'avance, esclaves qu'ils étaient, a l'acceptation de toutes les turpitudes". Perché la carta, che è muta, parli così contro la degenerazione dello stadio greco, bisogna che l'autore abbia ben gridato contro la plebaglia parigina.





    Tutta l'opera di Gobineau non è che un rimuginamento, virile o senile, di questi sdegni. Una scrollataccia di spalle, uno sbatacchio d'usci, un tintinnio di speroni. Che l'umanità si impicchi, che la Francia sprofondi: tanto, non ci son più gentiluomini. Troppo appassionato per essere uomo di azione, egli trattò la storia universale come un affare di famiglia, complicato di rancori e di vendette: c'è un grande affare, sottinteso in tutto l'Essai: ed è la genealogia della casata dei Gobineau.

Il dispregiatore della patria

    E poi, invece, egli fu di coloro che amano la patria col selvaggio furore del profeta ebraico, e l'amano di più quando salgono sui tetti a conclamare "Maledizione su di te, o popolo dalla dura cervice". Ostentò di accettare il secondo Impero, regime di bastone e di zuccherino, come l'unico possibile per un popolo contaminato, per un lombricaio umano. Civettò con gli Ariani di tutti i secoli, con quelli dell'Odel barbarico e con quelli del furgone del Far-West, per fare dispetto ai francesi che non gli parevano più com'ei li voleva. Adulò i persiani di Ciro e dei Sassanidi (Histoire des Perses), i pirati norvegesi, gli anglosassoni moderni (Souvenir de Voyages, Les Plèjades), come surrogati dei francesi ch'egli aveva in testa, e che si ostinavano a non voler nascere in Francia. Passò così per un dispregiatore del proprio paese: e l'amore dissimulato sotto l'ironia o sotto il disprezzo, dà stringatezza e veemenza a tutte le sue condanne, accentua la crudeltà delle sue apocalissi universali, e la assolutezza del calvinismo latente nella sua storia dei popoli. Ma in una sola frase gli si piegarono le ginocchia, come a un eroe: ed egli chiese perdono: "Il faut aimer sobrement sa patrie pour pouvoir lui pardonner beaucoup".





Stabilità

    Con Gobineau si fa il giro del mondo e il giro della Storia, e si ritorna sempre in un castello di Normandia, saldo e autoritario in mezzo alle toppe arate della campagna piatta, l'ingresso padronale coi pilastri adorni di due cani di terracotta, i pometi per il cidro di uso famigliare, e quattro lecci scapezzati, ammaestrati a far da parco per i signori e padroni.

    Noi siamo nati qui. Questo castello è l'ampliamento della curtis rustica dei carolingi, la curtis era l'ampliamento della casa franca, ben piantata sull'odel barbarico, la casa franca era semplicemente il carro delle trasmigrazioni ariane, cui erano state tolte le ruote, quando i conquistatori si fissarono su un terreno pingue. "L'abitation roulante s'est attachèe au sol et n' a plus bougé". Tutto quanto abbiamo veduto od appreso lontano, è meticcio, è infetto: minaccia la nostra casa, minaccia lo stato che ne è fiorito, minaccia la nostra civiltà di occidente, così circoscritta e delicata e tutta congegnata.

    L'Essai sui l'inegalité des races è la più grande raccolta delle opinioni rebarbative di provincia sulla storia universale. Esso resta la misura non dell'ariano di razza, ma del conservatore di razza, dell'uomo d'ordine assoluto e integrale.





Gobineau in Italia

    Gobineau ha scritto da qualche parte: "La décomposition pulverulente des raçes dans les régions du royaume des Bourbons de Naples...

    Si: ci sono degli uomini delle regioni del reno dei Borboni che - in certi momenti -fanno credere a Gobineau.

    Uno: l'ex presidente della Camera italiana De Nicola.

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    Invece, vidi un giorno a bordo del Duca degli Abruzzi un gruppo di ragazze siciliane di Randazzo, che si erano imbarcate per New-York. Erano delle spose, negoziate per lettera, da siciliani emigrati laggiù, ch'esse non conoscevano se non attraverso le persuasioni mediatrici del parentado. Non dimenticherò mai la pudicizia con cui guardavano il mondo nuovo attorno a loro, il piroscafo, il porto, e poi il mare non navigato. Niente di meschino, nessuna curiosità banale, nessuna emozione fattizia, nessuna domanda sciocca sulle cose non essenziali. Partivano, non liete né rattristate, verso gli uomini del loro sangue, diventati dockers, barmens e farmers, ma non disposti a diventare "mogli", come si usa nel più babilonico impero del mondo.

    Erano, forse, le creature più nobili, più secondo il cuore di Gobineau, che la vecchia Europa esprima: sorelle di Akrivia Phrangopoulos, dei Souvenirs de Voyage: "la donna dei tempi omerici, che non vive, non esiste, non ha altri ragione d'essere che per l'ambiente famigliare in cui si trova; figlia, sorella, esclusivamente, in attesa di diventare, in modo non meno assoluto, sposa e madre".





L'andamento alla vita

    L'obiezione gli veniva posta subito da Toqueville, in nome della fede nel progresso, nella "migliore educazione" dei popoli, ecc. Scriveva, Tocqueville, a proposito dell'Essai: "Un'opera che cerca di provarci che l'uomo ubbidisce quaggiù alla sua costituzione e non può quasi niente sul proprio destino mediante la sua volontà, è dell'oppio dato ad un malato il cui sangue si arresta di per sé". Il Tocqueville credeva davvero che se l'Essai fosse stato letto in Francia, tutti i francesi, mortificatissimi di avere nelle vene tanto sangue melanico e semitico, si sarebbero accosciati sempre più sotto il Secondo Impero. Tocqueville, di fronte a Gobineau, assumeva l'identico atteggiamento di coloro che oggi cercano di insufflare agli italiani un po' di calor di vita, raccontando loro ch'essi sono un grande popolo, e che quindi non possono piegarsi sotto il mussolinismo.

    In tale sua obiezione, il Tocqueville si manteneva singolarmente terra a terra. In realtà, non esiste nessuna necessaria connessione fra il valore filosofico di una idea e il suo significato per la vita. Il pensiero della predestinazione è una mostruosità: eppure, esso ha forgiato i più forti uomini della storia: tutta la efficienza di azione dell'uomo moderno è riconducibile alla concezione teologica di Giovanni Calvino. La concezione luterana della religione è stranamente flaccida e volgare: eppure dentro di essa è cresciuta la più profonda cultura sentimentale di Europa. Una peripezia analoga doveva toccare alla ideologia gobiniana.

GIOVANNI ANSALDO.