ADDOMESTICATI E RIBELLI

La normalizzazione

    L'on. Mussolini ha affermato la sua gioia di "poter finalmente agire appoggiandosi su di una Camera che rappresenta esattamente la volontà del paese". "Le ultime elezioni hanno restituito all'Italia un vero Parlamento". Il gioco é chiaro: non era difficile prevedere che il diavolo si sarebbe fatto frate e Mussolini è sempre scrupoloso nel dar ragione alle profezie dei suoi critici.

    Nella sua politica la normalizzazione è un elemento psicologico e ideale necessario come la violenza. La conciliazione degli opposti non è una ipocrisia del Duce: è il suo stile. Normalizzazione in un primo senso vale per eufemismo per indicare che conserva il potere e d'altra parte è l'ideale di pace che non si può non riproclamare mentre continuano le irrequietezze della rivoluzione dei reduci. La tattica di un addomesticatore nel dopo guerra doveva essere duplice: la violenza contro le minoranze battagliere e contro i movimenti libertari sorti dal basso, le lusinghe verso le classi medie e verso le masse quietiste. Il gioco non riuscì a Giolitti che non aveva inteso la necessità di questo equilibrio; e fu necessario trovare un nuovo Giolitti, adatto ai tempi di avventura, in Mussolini. Egli è l'addomesticatore del fascismo solo perché lo serve e lo serve appunto mentre addormenta gli avversari con gli ideali del ministerialismo e della pace.

    I costumi dell'Italia sono ridotti a questo: che tutti si trovano pronti a disarmare anche se il fascismo non disarmerà e accettano il mito della normalizzazione instaurata dai vincitori anche se non ignorano che sarà una pura e semplice resa a discrezione. Un fautore del nuovo regime così interpreta lo stato d'animo generale:





    "L'attuale fase delle discussioni politiche dimostra soltanto questo: che nel momento attuale una grande attrattiva per le fantasie e per i bisogni degli italiani è costituita dalla visione di un periodo di pace sociale. Tutto il resto, accanto a questo, ha poca importanza.

    Insomma il paese è stanco di stare in ansia sociale.

    Oggi sono fuori della realtà politica soltanto coloro che parlano di una continuazione della lotta, e vogliono eccitare ancora gli odi assopiti e le passioni stanche".

    Ossia noi assistiamo - protagonisti gli intellettuali e l'opinione pubblica media - al formarsi di una vera e propria voluttà del servire.

    E, la rinuncia alle più elementari dignità é fatto in ossequio alla maniera forte insieme e lusingatrice del Duce, dal quale riesce grato ricevere attestati di inabilitazione e interdetti.

    Dalle molte diagnosi che ne offrimmo dovrebbe risultare chiaro che questa stanchezza di Medioevo, questa rassegnazione di schiavi viziosi è uno stato d'animo per eccellenza mussoliniano. Mussoliniano anche se si ritrova in certi oppositori disorientati dalla lotta. Così è una tattica di addomesticati invocare con la Giustizia (sabato 26 aprile) che il fascismo:

    "osi legalizzare l'arbitrio, far delle leggi, una legge dispotica finché vuole ma che sia una: e ciò per due ottimi motivi: primo, che i cittadini sappiano con certezza che cosa è lecito e che cosa é proibito; secondo, che esso, il regime fascista, si assuma chiara ed intera la responsabilità politica dei suoi atti, o di quegli atti che fino a qui furono abbandonati alla iniziativa dei ras locali o degli squadristi isolati."

    Ci sembra buffo chiedere i limiti di ciò che si vuol rovesciare: certi limiti evidentemente si avvertono solo nell'atto in cui si tenta di distruggerli! Né si può seguire Giovanni Zibordi quando scrive sulla "Critica Sociale" del 15-30 aprile:

    "Tutto quanto concorra a creare una atmosfera e un programma di civiltà legale contro la violenza illegale oggi prevalente, giova indirettamente a una ricostruzione spirituale e materiale di questa travagliata vita italiana."





    Se qui è una riserva di astuzia polemica - ma non sembrerebbe - l'astuzia viene in ritardo.

    Dopo 18 mesi chiedere al fascismo di esser coerente nelle parole e nei fatti, nelle leggi e nello spirito è perfettamente ingenuo se si è constatato che il fascismo non acconsentirà mai ad instaurare una tirannide onesta e dichiarata ma alle leggi democratiche e demagogiche continuerà ad unire una pratica contradditoria e arbitraria secondo le esigenze quotidiane.

    Né l'economia né la politica si avvantaggiano dalle lunghe stasi e dalle quiete rinuncie: e l'opposizione può servire il paese soltanto rifiutandosi di far la pace col vincitore, e di riconoscere il regime mussoliniano. L'opposizione è una scuola di dignità e la sua intransigenza mentre non la compromette a far causa comune con la presente decadenza, mentre la salva per il futuro, offre disinteressatamente dei modelli e migliora generosamente lo stesso fascismo, reo che non si può assolvere.

    La normalizzazione è dunque un problema tutto interno del fascismo stesso, un'altra fantasia mussoliniana: noi siamo pronti ad assistere anche a questo spettacolo, ma resta inteso che non siamo disposti ad accettare norme dal campo nemico.

    Un aspetto della normalizzazione sarà l'impegno messo da Mussolini nel far funzionare il parlamento. Si domanda se egli riuscirà.

    Resta tra gli oppositori l'illusione che la fine del fascismo debba venire dall'interno, che il blocco si debba sfaldare di fronte alle difficoltà concrete. Per noi è chiaro che Mussolini farà trionfalmente il suo esperimento parlamentare. La maggioranza è un blocco altrettanto compatto quanto variopinto di tendenze e anemico di idee.





    Mussolini può condurre dove vuole, manovrare come gli piace uomini dello stampo di Salandra, Orlando, Dino Grandi, Bottai, Massimo Rocca, Giunta. Non è a credere che gli possano venire preoccupazioni serie neanche da Farinacci. La violenza dei ras gli è cara e necessaria: egli sa dosarla e Orlando gli potrà servire in qualunque momento per convalidare la riforma di Michelino con l'autorità del costituzionalista. Bisogna convincersi che i 356 deputati della maggioranza e gli altri signori delle liste bis, se si eccettuano i rappresentanti della oligarchia industriale (assai apertamente padroni) sono tutti dei fantocci buffissimi e spudorati, biscie incantate dal ciarlatano. Vanno a Montecitorio per ubbidire. Faranno le parti che il Duce assegnò. Per questo lato la normalizzazione è un fatto. Mussolini può dilettarsi allo spettacolo dei frak e delle livree della nuova Corte.

Esame dei ribelli

    Fuori della maggioranza garbatamente ridotta alle livree, il problema della vita futura dell'Italia sta nella valutazione delle resistenze nell'animo dei ribelli.

    Non ci dobbiamo nascondere la crisi di quelle che sono oggi le sole opposizioni serie: i popolari e i partiti proletari (l'opposizione costituzionale essendo ridotta ad un uomo che potrà solo avere compito demiurgico).

    Il partito popolare sembra conservare i quadri saldi, ma i capi nel loro istinto conservatore e per i contatti col Vaticano e con gli ambienti più retrivi non sono fatti per una lotta disperata. I popolari potrebbero nutrire ambizioni di successori se avessero il coraggio di rinunciare a giocare d'abilità col duce e non si riducessero ad una serie di posizioni parlamentari. Dovrebbero convincersi che solo i mussoliniani possono accettare oggi il terreno parlamentare. Per i parlamentaristi seri la Camera di Mussolini non è una Camera, già per il fatto di non essere stata eletta con la proporzionale. Occorre non riconoscerla, svalutarla. Longinotti, Bresciani, Bertini, non chiedono che di valorizzare l'ordine costituito e di venire a patti.





    La tattica dell'opposizione dipende dunque dai partiti proletari, dai repubblicani ai comunisti: Deve effettuarsi con l'ostruzionismo in parlamento e la scuola di intransigenza nel paese.

    La nostra proposta di ostruzionismo è precisa. Significa non riconoscere la validità della Camera presente. Impugnarne le origini, non collaborare al funzionamento neanche con la critica. L'uomo più intelligente del socialismo italiano (che veramente non è un uomo né un italiano) traduceva i nostri propositi nella tattica seguente: In sede di convalidazione ogni partito deleghi un oratore per ciascuna circoscrizione a documentare l'illegalità della votazione fascista. La polemica dell'illegalità non è nelle nostre preferenze: tuttavia ecco un primo mese di battaglia parlamentare bene speso. Questa posizione pregiudiziale di incompatibilità deve essere proseguita in tutti i campi di discussione, senza concedere tregua al ministerialismo. Si dovrà ricorrere all'ostruzionismo dei regolamenti per costringere la maggioranza a smascherarsi mutandoli. Se si otterrà che Mussolini non possa fare il parlamentarista pacificamente, se lo si obbligherà a tornare sulle sue vecchie posizioni di provocatore si sarà raggiunta la più bella vittoria tattica.

La crisi dei socialismo

    Tutto il resto dipende dallo sviluppo della crisi socialista. Oggi la disorganizzazione dei tre partiti è connessa col disorientamento del proletariato. Le polemiche tra la Giustizia, l'Avanti! e l'Unità rivelano la ferocia settaria e dissolvente che ha sempre animato i capi degli estremismi. E perciò sono un segno di vitalità, di esigenze più profonde per il futuro. Il sogno di un partito proletario unico, organizzato a battaglia disciplinatamente appare certo lusinghiero e piacevole alle persone che amano gli schemi ordinati. Sembra a tutti incontestabile che mentre il proletariato è travagliato dalla reazione il battersi compatto possa consentirgli di salvare almeno le posizioni più indispensabili.





    Chi non è così rigido nell'illusione del blocco unico pensa che almeno i massimalisti sieno una creazione artificiosa, degna di finire al più presto, decidendosi fra le due anime del socialismo: la gradualista e la rivoluzionaria.

    Invece sarebbe ora di accorgersi che questo linguaggio è invecchiato. La parola di ordine dell'unità non ha servito a evitare in nessun paese la costituzione di tre partiti proletari. Sono le vie e le ipotesi che si presentano alla scelta degli oppressi in cerca di liberazione. Tra la democrazia di Turati e il bolscevismo ortodosso di Bordiga, la critica dell'Avanti! inspirata a un marxismo sospettoso della terza internazionale e prudentemente rivoluzionario, ma francamente classista è logica e utile. Noi non intendiamo affatto deporre le diffidenze verso quella che è stata la mentalità massimalista e comprendiamo che i rancori dei delusi possano arrivare persino alle accuse di tradimento, ma ci sembra necessario riflettere che oggi il partito massimalista è frutto di un libero sforzo proletario, cresciuto per il sacrificio degli umili e non in regime di sovvenzione o per i contributi di classi o nazioni estranee alla vita delle plebi italiane.

    La crisi vera non è insomma del massimalismo più che degli unitari e dei comunisti: la crisi è di tutto il socialismo che non è riuscito negli ultimi venti anni a rinnovare la sua classe dirigente, e non ha avuto dopo la generazione di Turati una scelta di capi giovani e preparati ai nuovi tempi.

    Ma nella resistenza al fascismo i tre partiti proletari hanno dato una prova di vitalità e di forza, non di decadenza. La concorrenza li migliora, le polemiche, anche quelle più disgustosamente personali, li chiarificano.

    Certo si tratta di una crisi di crescenza. E non bisogna guardarla con disdegno, perché vi si stanno preparando i migliori; quelli che avranno diritto di condurre il proletariato alla riscossa.

p. g.