RICHIESTA DI INFORMAZIONI
SU

MAHATMA GANDHI

    Proprio così. Invece di fornire informazioni su Gandhi, io ne chiedo. Non ne ho ancora avuto di precise.

    In Inghilterra, naturalmente, si accorsero di Gandhi appena fu tempo: ma lo trattarono come fenomeno strettamente politico dell'Impero Indiano, senza crearvi attorno quell'alone di commozione sentimentale che ha fatto la sua fortuna dal Continente. Gandhi, nelle spoglie in cui noi lo conosciamo, é una creazione berlinese. Berlino lo ha scoperto come Maeterlink, Romain Rolland, Selma Lagerloef, Rabindranath Tagore. Senonché gli studiosi specialisti di Berlino sono incapaci di lanciare le loro creazioni con garbo. Allora succede che, da Parigi, qualcheduno si accorge che a Berlino hanno in magazzino qualche cosa di interessante: e ci fa su un libro col cachet parigino, buono per essere venduto in Italia, nei Balcani, nel sud America, nella stessa Germania. L'anno passato, Romain Rolland, costretto a sorvegliare il mercato librario tedesco se non altro per la ragione che é ormai l'unico ad assorbire i suoi libri, si accorse che Gandhi, già dirozzato bibliograficamente, a Berlino avrebbe potuto essere un bonissimo soggetto, da inquadrarsi opportunatamente nella cosmogonia Clarté-pacifismo dispetti all'Inghilterra: e ci fece su un libro.

    Questo libro capitò in deposito ai librai italiani proprio al momento opportuno, mentre la prepotente Inghilterra non ci vuole dare il Giubaland e mentre Mac Donald inizia il suo periodo di governo. Lo scritto del pacifista Romain Rolland fu una manna per tutta la gente oscena, che aspetta i centenarii delle morti celebri per farci un articolo e le novità di Parigi per tenersi al corrente della cultura mondiale. I giornali fascisti adoperarono Romain Rolland per "minacciare" l'Inghilterra con la prospettiva delle Indie in rivolta. Gli antifascisti, in qualche momento di fiacca, pensarono di imitare la tattica di "non cooperazione". D'Annunzio ne parlò in un suo messaggio alla Gente di Mare. A Genova, abbiamo avuto un autocandidato al listone, che, costretto a rinunciare, citò Gandhi nella sua lettera ai giornali. Ettore Janni dedico a Gandhi due colonne del Corriere della Sera, e questo é proprio il segno che Gandhi - formato Rolland - è ormai un uovo fracido. A Berlino l'hanno già archiviato, a Parigi non ne parlano già più, in Italia é ancora un tipo recensionabile. Anche nel caso Gandhi, la tabella degli arrivi culturali segna: via Parigi, tre anni di ritardo. È la media normale per l'Italia.





    Si capisce che Romain Rolland presenta Gandhi in compagnia di S. Francesco d'Assisi, Thoreau, Mazzini, Tolstoi, Ruskin, Carpenter, tutta la troupe. Vale a dire un Gandhi fasciato nella sbavatura del pacifismo internazionale, come un dattero nella guaina di zucchero caramellato. Ignorantissimo dei primi principii dell'India, Romain Rolland procede con santa semplicità. Basta per esempio questo: Non é il caso di fermarsi al culto degli idoli, ammesso da Gandhi. Egli lo considera come un bisogno rispettabile, inerente all'infermità dello spirito umano. Non é dunque niente di più di quanto vediamo nelle nostre chiese cattoliche. Rolland, evidentemente, ignora il pullulamento delle adorazioni feticiste che é uno degli aspetti dell'Indismo, la oscura penombra del culto; probabilmente crede che l'Induismo sia davvero una religione canonizzata, coi santi e i ritratti dei santi. Si capisce ch'egli abbia potuto assumersi di spiegare Gandhi: certe imprese sono il privilegio dell'ignoranza.

    Io domando invece:

    l. Una analisi della contaminazione delle idee occidentali sul patrimonio induistico di Gandhi. Gandhi ha studiato a Londra, ha viaggiato nelle colonie inglesi (Sud Africa), ha letto il Vangelo. La sua, "Non cooperazione" é proprio conforme allo spirito dell'Induismo? Ne dubita. Ci sono degli atteggiamenti di settario, ma di settario occidentale. I suoi proclami, i suoi discorsi, il contegno dinanzi ai giudici hanno una certa aria di famiglia con quelli di certi protestatari famosi della storia inglese. E' notevole in lui il concetto della legittimità giuridica, del conformismo legale, assolutamente nuovo nel mondo ideologico dell'Induismo. Egli vede l'Impero britannico con occhi assolutamente europei: L'Impero britannico costituito sullo sfruttamento organizzato delle razze fisicamente più deboli della terra e su una ostentazione convenzionale della forza brutale... In confronto alla gelatinosità politica di Tagore, Gandhi mi sembra più circoscritto, più consistente, più occidentale: anche se, apparentemente, nella polemica fra i due, Tagore abbia difeso l'europeismo letterario e culturale.





    2. Quale parte gli inglesi hanno avuto nella ribellione indiana? Domando non la parte risultante dai soliti giochetti della dialettica della storia funzionante come una fisarmonica, ma la parte diretta, personale, di due o tre individui che troviamo attorno a Gandhi. Il primo Congresso Nazionale Indiano fu fondato, trenta anni fa, da alcuni liberali vittoriani: A. O. Hume, Sir William Wedderburn, inglesi, furono dunque i precursori. La campagna di stampa attorno a Gandhi é battuta poi, nell'India stessa da altri inglesi: W. W. Pearson, C. F. Andrews, Joseph Soke. L'editore della New-India, Banker, é un altro inglese ed é l'unico uomo che sia vicino a Gandhi, e suo compagno, nel momento più alto della sua vita, dinanzi ai giudici di Ahmedabad. Uno di questi inglesi fiancheggiatori, Andrews, ha l'India così cara che adotta perfino il Khaddar, cioè l'abito dei seguaci di Gandhi. Io vorrei delle biografie di questi signori. L'Inghilterra ha sempre mandato in giro per il mondo di questi ostetrici dei popoli oppressi, e la loro azione fu sempre fortissima. Si tratta, per lo più, di gente assai limitata di idee, che si appassiona per gli abitanti della Grecia, dell'Italia e della Penisola balcanica con la stessa intensità, gli stessi bèguins e le stesse debolezze di un collezionista: e lotta per la loro indipendenza, come lotterebbe per imporre una copertina a tutti i cani londinesi nei mesi rigidi dell'inverno, se la loro eccentrica filantropia avesse preso un indirizzo zoologico anziché politico-etnografico. Queste stravaganze di zitelloni sono caratteristiche della più grande e potente aristocrazia del mondo, ed estremamente utili alla politica dell'Inghilterra, perché giovano a crearle intorno un'aura di idealismo, e la riputazione di protettrice di piccoli popoli. Tutti gli inglesi amici di Mazzini e dell'Italia, per esempio, appartenevano a questa categoria di dilettatiti. Oggi, l'Europa, li interessa meno: ce n'è ancora qualcheduno per la Grecia, per il Montenegro: ma i popoli asiatici attirano le loro preferenze. Mr. Andrews con il khaddar é forse l'eccentrico manager di Gandhi? L'azione di questi inglesi è vera azione "occidentale": ci si mettono sul serio. Bisognerebbe essere documentati su quella che essi hanno svolto attorno a Gandhi. Ne hanno senza dubbio rafforzato gli elementi, diciamo così, evangelici in confronto a quelli vedici. Gandhi apprese a Londra la bellezza della Bhagavad Gitä. Egli stesso lo diceva: "Fu la luce di cui aveva bisogno il piccolo indiano esiliato. Per me la salute era possibile solo con la religione indù". Io scommetto che fu un inglese a persuaderlo di queste cose.





    3. Noi sappiamo quale è la posizione dell'indù rispetto alla fabbrica. I lavoratori vogliono guadagnare presto un po' di denaro, per farsi indipendenti. L'aumento dei salarii non provoca affatto un accrescimento della attività produttiva, o un più elevato tenore di vita: ma, al contrario, determina più lunghe vacanze. Non esistono in India "operai": ma solo lavoratori occasionali, che, fatto il gruzzolo, formano il villaggio. "Disciplina" di fabbrica é parola vana. Difatti, solo l'industria tessile é riuscita ad affermarsi di fronte alla produzione europea. Le difficoltà della grande industria non sono tanto nelle segregazioni castali, ma nello spirito di tutto il sistema indu. Ogni scambio di professione, ogni mutamento tecnico, portano con se una degradazione rituale. In nessuna casta si riscontra la più lieve traccia di impulso capitalistico. Si sono chiamati i Vania, p. e., gli "ebrei dell'India": il confronto non regge. I Vania sono dei virtuosi del guadagno, ma non ve n'è uno che sia un capitalista nel significato occidentale della parola.

    Ora, Gandhi, come applicazione della "Non cooperazione", predicò contro tutto il sistema di produzione capitalistico. La sua imposizione del filatoio a mano, rivendicato di fronte alle filande meccaniche, é assoluta. Questo atteggiamento si ricollega alla formazione psicologica indu, negata al nostro regime di produzione? Ed é destinata a rafforzarla?

    Ecco, a mio avviso, la domanda essenziale.

    Se si, tutto il movimento Satiägraha o gandhista, é condannato. Ci potrà essere una serie più o meno lunga di guerre e di carestie, ma l'India resterebbe comunque sotto il dominio di una potenza straniera, industriale e militare. Se no, il gandhismo é privo di ogni interesse per lo studioso della politica, restando di altissimo intesse per il diplomatico (p. e., per i bolscevichi che possono presentare Gandhi come un comunista, ecc.).

    Come osservazione in margine; si può rilevare quanto sono incauti i nostri protettori dei popoli oppressi, a entusiasmarsi per Gandhi, senza essere fissati su questo punto. E' infatti estremamente probabile che, se il Gandhi del filatoio meccanico prevalesse, morirebbero di fame in India, qualche dieci milioni di individui. Si capisce che questa prospettiva non arresterebbe né Gandhi, né i suoi partigiani, né i suoi ammiratori europei.





    4. L'Inghilterra ha, in India, imposto la pax britannica, riunendo, sotto una unica amministrazione, un impero frantumato, una società polverizzata. Ma la sua influenza é stata, finora, politica, industriale scientifica. Il miglior scrittore di cose indiane che io conosca, Sir Alfred Lyall, nega che sia possibile qualunque partecipazione al movimento religioso indiano "poiché - egli dice - noi siamo talmente avanzati, a almeno talmente lontani dalla massa del popolo che é a nostro carico, che la nostra superiorità ingenera mancanza di simpatia, e nel nostro desiderio di condurre, perdiamo pazienza e discernimento. Compito altamente spirituale dell'Inghilterra é dunque quello, apparentemente materiale, di mantenere la "pax britannica".

    Questo giudizio - vecchio di una cinquantina d'anni - può essere considerato valido ancora oggi? Non lo so. Se noi pensiamo che i nostri recenti libri di informazione sull'India hanno, press'a poco, il valore di quello di Romain Rolland, vien voglia di credere a Lyall sulla parola.

    Di certo, però, mi pare che si possa dir questo: la ferma resistenza del governo inglese dell'Impero Indiano e il mantenimento della "pax britannica" sono ancora le più solide premesse per la fecondità del gandhismo. Il dominio inglese sulle indie resta pur sempre il più confortante - goethianamente confortante -spettacolo della politica mondiale.

    Si racconta la storia del martirio quotidiano degli Akalis, una setta dei Sikh. Pare che, dall'agosto 1922, gli Akalis siano stati convertiti alla dottrina della "non resistenza". Essi vogliono cacciare da certi templi dei cattivi sacerdoti: il governo, per ragioni leali, difende i sacerdoti. Ogni giorno, cento Akalis volontarii fanno voto, o di raggiungere il tempio di Guru-Ka-Bagh senza usare violenza, o di essere ricondotti privi di sensi. E ogni giorno la polizia britannica aspetta la schiera dei divoti, armata di lunghe pertiche ferrate: e ogni giorno si svolge la scena silenziosa delle percosse affrontate senza speranza e della repressione inflitta senza furore, ma conforme alla legge. I particolari sono superflui. I giornali inglesi hanno parlato dell'affare, Romain Rolland ne é allucinato.

    Senza dubbio possibile, tutta la ammirazione del volgo va verso i cento divoti che, tutti i santi giorni, affrontano le pertiche ferrate dei poliziotti, e verso Gandhi che li ispira. Ma l'ammirazione del cervello disciplinato va verso l'autorità che tutti i santi giorni, con una pazienza più forte dell'amore divino, comanda a una squadra di poliziotti di impedire l'accesso ai cento divoti.

GIOVANNI ANSALDO.