LA SITUAZIONE IMPERIALEL'impero e i suoi pericoliQuando nell'agosto 1914 scoppiava la guerra mondiale era almeno lecito l'avere dei dubbi sulla solidità dell'Impero Britannico; non erano solo Treitzschke e von Bernardi che vedevano in esso una mole caotica ed eterogenea che sarebbe andata in pezzi al primo urto esterno; anche eminenti pensatori e storici inglesi, come ad es., Lord Morley avevano espresso la convinzione che era follia attendersi che Australiani e Neozelandesi si sarebbero scomodati per venire a difendere la metropoli impegnata a difendere la violata indipendenza belga. "Quando la Inghilterra é in guerra, il Canadà é in guerra". "L'Australia sosterrà l'impero fino all'ultimo uomo ed all'ultimo scellino". Questi ed altri consimili immortali telegrammi lampeggianti attraverso gli Oceani tolsero ogni dubbio, ed ora noi sappiamo che la più grande prova di solidità é stata felicemente superata e che perfino l'eccezione conferma la regola. Tutte le parti dell'Impero che godevano il massimo di libertà diedero tutto ciò che poterono senza la coscrizione; l'Irlanda che legalmente era parte della mole del Regno Unito e che non si sentiva libera riuscì a rendere inapplicabile la coscrizione applicata in Gran Bretagna e a dar meno che non potesse dare: la libertà diede il massimo di lealtà. Ma questo stesso felice esperimento suscitava un nuovo problema. L'impero si era andato consolidando negli ultimi decenni sotto la pressione del pericolo esterno; non eravi, non vi é anzi pur ora il pericolo che la scomparsa di questo scateni in tutte le più rigorose nazioni autonome, irrefrenabili energie centrifughe e separatiste? Non sono segni della realtà di questo pericolo gli sforzi coronati dal successo dei Dominions, per avere una distinta rappresentanza nella Lega delle Nazioni? O per avere speciali rappresentanze commerciali presso le altre Nazioni? Un esame della situazione internazionale del dopoguerra mostrerà che il pericolo é reale, ma assai mero grave che non sembri e in ogni probabilità di carattere transitorio. Quel che é avvenuto a Versailles si é che lo sforzo bellico ha indubbiamente accentuato il sentimento nazionale in tutte le maggiori parti dell'Impero Britannico e le ha spinte a chiedere - e ad ottenere senza la menoma resistenza - piena eguaglianza di status di fronte alla Metropoli e quindi il diritto ad essere consultate e ad aver voce nella determinazione della comune politica estera, militare e navale. Esse, a ragione delle enormi distanze che le separano dall'Europa, sono lente a comprendere la situazione europea in tutta la sua complessità, delicatezza e ricchezza di pericoli; ma appunto per questo non hanno tutti i torti di cercare di non essere coinvolte in questioni puramente europee, interessanti solo nazioni continentali europee. Esse hanno in comune con gli Stati Uniti la determinazione a non parteggiare per un gruppo di potenze europee contro l'altro e l'interesse a considerare l'Europa come un tutto economico e politico non meno che geografico. Esse hanno insomma in comune con gli Stati Uniti l'interesse che l'Europa viva in pace, con la massima libertà e sicurezza di traffici per terra e per mare e che essa non cada sotto egemonie militari ed economiche. Esse sono quindi contrarie ad alleanze con chicchessia; sono per la amicizia con tutti; e non desiderano alcuna egemonia britannica in Europa e sono ostili a che sorga alcuna egemonia altrui. Ma sono queste loro determinazioni ragioni di debolezza o non piuttosto di forza per l'intero Impero Britannico? La funzione dell'ImperoCominciamo con l'osservare che, ad es. l'Australia e la Nuova Zelanda, senza la flotta britannica cascherebbero quasi automaticamente in mano al Giappone, che il Canada sarebbe anche più debole che or non sia di fronte agli Stati Uniti; che l'India cascherebbe pur essa in mano al Giappone. Tutte le parti dell'Impero Britannico godono ora, mercé tal flotta, di una sicurezza che, separate, non potrebbero conseguire date le loro scarse popolazioni e vaste aree, nemmeno sacrificando tutte le loro risorse agli armamenti; conterebbero meno ciascuno che la Danimarca, il Belgio o la Scandinavia. Per esse l'alternativa non é tra una pretesa dipendenza attuale ed una possibile indipendenza separata; ma tra una indipendenza, associata ed una comune sicurezza da un lato e dall'altro la certezza od estrema probabilità di perdere ogni sostanziale indipendenza o sicurezza in un mondo in cui lo sfasciarsi dell'Impero Britannico rafforzerebbe enormemente le tendenze del nazionalismo e del militarismo. Ora esse godono nella situazione mondiale di un peso che, separate, scenderebbe automaticamente a zero. A Parigi e a Washington esse non avrebbero, separate, avuto più peso che il Brasile, la Rumenia, il Paraguay, che non furono nemmeno consultati. Associate, pesarono più della Francia e dell'Italia. Pur se per popolazione e potenza economica e militare le altre parti fossero già pari alla Gran Bretagna, l'interesse a stare insieme a parità di condizioni resterebbe pur sempre immenso: l'unione fa la forza. Per di più, nel mentre per ora nessuna parte dell'Impero Britannico può attendersi dalla Lega delle Nazioni una frazione della sicurezza e del peso di cui gode assieme alle consorelle, questa sua continuata cooperazione con esse serve a creare un grande precedente ed esempio per la Lega e serve a dar peso a questa. Nella misura pertanto in cui il massimo di autonomia va col massimo di cooperazione, l'assurgere dei Dominions ad eguaglianza di status con l'Inghilterra non può che rafforzare in ogni senso la solidità dell'Impero. Non solo; il conferimento della piena autonomia all'Irlanda ha ridotto a zero le agitazioni antibritanniche negli Stati Uniti e rese le relazioni con questi cordiali come non furono mai. Esso può non rafforzare tale solidità specie se si considera che la scomparsa del pericolo tedesco non implica che esso non possa sorgere di bel nuovo in un'altra forma. I Dominions non potrebbero non perdere l'attuale loro sicurezza se tal pericolo risorgesse e il cuore dell'Impero soccombesse politicamente ed economicamente; ed esso non potrebbe non soccombere ed economicamente e politicamente se l'attuale anarchia politica ed economica sul Continente non potesse essere ricomposta in ordine o se l'ordine rinascesse solo dal rinascere di dittature o d'autocrazie militari appoggiate al protezionismo. I Dominions e l'Inghilterra hanno quindi in comune tra di loro e hanno in comune con gli Stati Uniti e con tutti i piccoli Stati europei l'interesse a rendere autorevole la Lega delle Nazioni, a vedervi accedere pure gli Stati ancora esclusi e a vederne riformato lo Statuto in guisa che vi occupi la posizione centrale, il principio dell'arbitrato, già vigente tra America e Gran Bretagna. La funzione storica dell'Impero Britannico é tutt'altro che esaurita; dopo avere reso possibile il fiorire dentro e fuori di sé di tutto un mondo di libere nazioni ed istituzioni, esso si trova ora innanzi a sé il compito di difendere queste conquiste per sé e per tutti con l'educare le nazioni ad accettare nei loro rapporti reciproci quella supremazia della legge che in seno ad ogni Stato civile regola i rapporti tra individui: con l'educare le nazioni al concetto della sola sicurezza ormai possibile: una sicurezza non più solo nazionale, ma comune, ma garantita dall'impegno di tutti di sottoporre ogni disputa a soluzioni giuridiche, di accettar queste soluzioni e di contribuire a farle valere contro chi loro si ribella, chiunque egli sia, alleato o no. Le ragioni quindi di solidità dell'Impero sono immense. I problemi tecnici dell'ImperoIl pericolo transitorio nasce solo dal fatto che le varie parti dell'Impero sono per ora ciascuna e tutte troppo assorte nei loro problemi postbellici interni e non disposte a dare alla politica estera l'attenzione che era facile darle sotto la minaccia di un pericolo imminente; visualizzabile; donde un ricadere della responsabilità della politica estera sulle sole spalle della Gran Bretagna. Il problema della stabilizzazione del mondo non é così rapidamente visualizzabile per tutti come fu quello dell'urgenza di abbattere la Germania; eppure esso non é men grave. Verrà per altro un momento nel quale, presto o tardi, ogni parte dell'Impero arriverà a rendersi conto che i suoi problemi economici sono solubili solo in termini del tutto imperiale e che i problemi imperiali sono solubili solo in termini del problema della sicurezza e libertà legittima di tutte le nazioni; un momento in cui ognuno si renderà conto del fatto che la scelta é tra il lasciarsi andare alla deriva verso un'altra guerra e l'associarsi con tutti i popoli disposti ad accogliere il regno della legge contro quelli che ancora in fondo credano solo nella forza. Verrà un momento in cui ogni parte si renderà conto del fatto che la scelta non è tra "l'indipendenza" e la servitù, ma tra la interdipendenza attuale od accresciuta e la perdita d'ogni reale indipendenza, dignità, sicurezza e peso nel mondo; tra una minore e una più assidua, vigile ed operosa coscienza delle antiche e delle nuove responsabilità. In quel momento tutte le difficoltà meramente tecniche dell'organizzazione della consultazione e cooperazione perenne parranno trascurabili. Ora paiono grandi perché i problemi della pace non sanno ancora suscitare la stessa devozione che i problemi della guerra. Essi della pace non sanno ancora suscitare la stessa devozione che i problemi vanno suscitando una devozione crescente; ma vi é il pericolo che una nuova crisi venga prima che tale devozione sia adeguata alla nuova prova. Nel frattempo si può far molto per perfezionare il meccanismo della cooperazione. Con ogni probabilità si verrà alla creazione di una specie di diplomazia inter-imperiale, di corpi diplomatici accreditati di ogni Dominion presso ogni altro e presso la Metropoli, sì che in ogni parte vi sia al corrente dei problemi e dell'opinione pubblica d'ogni altra. Qualcuno ha suggerito anche Corti Arbitrali supreme. Non vi é nessuna difficoltà a che, in questioni di interesse puramente particolare, ogni Dominion possa firmare trattati con potenze estere; in tutte le altre deve intendersi con tutti gli altri e con la Metropoli. Un altro pericolo é quello nato dal ripetuto tentativo, specie da parte dei conservatori inglesi, di connettere la causa imperiale con l'istituzione di tariffe peferenziali a favore dei prodotti imperiali contro gli esteri. Ma pur questo é un pericolo in decrescenza. Specie dopo le elezioni del 1923, indette ad hoc, i Dominions devono persuadersi che, non solo la Gran Bretagna ha diritto in materia fiscale ad ogni libertà da essi goduta, ma ancora che la cosa é economicamente impossibile. Una preferenza "seria" ai prodotti coloniali implicherebbe altri dazi su grano e materie prime, che eleverebbero il costo della vita per le masse inglesi e il costo di produzione delle industrie inglesi a un livello tal che renderebbe alle masse odioso l'Impero e danneggerebbe il commercio d'esportazione di cui l'Inghilterra vive, col risultato di accrescere invece che ridurre la disoccupazione. A parte queste considerazioni puramente economiche, ve ne sono di carattere politico non meno importanti. L'Impero sarà tanto più saldo quanto più le relazioni economiche tra le varie sue parti saranno spontanee e nessuna parte avrà sia pur solo l'ombra di un pretesto per ritenere che conceda troppo e riceva troppo poco. I Dominions godono già di una immensa naturale preferenza a cagione della somiglianza di lingue, di leggi, di costumi e del fatto che contribuirono nulla nel passato e contribuiscono ben poco pur ora alla difesa imperiale ed alla comune organizzazione diplomatica. Inoltre l'Impero sarà tanto più volentieri tollerato dal resto del mondo quanto più sarà un esempio di libero scambio piuttosto che di monopolio economico. I modi migliori di consolidare economicamente l'impero sono quelli che la scienza offre per ridurre lo spazio e il tempo fra le varie due parti e quelli compatibili con una a un tempo cauta ed audace finanza di prestiti per lo sviluppo di risorse immense fin qui nemmeno scalfite in ogni parte ove sventola l'Union Jack. E al di sopra pur di questi gode di grande importanza una politica di comune legislazione commerciale e scolastica ed una politica intesa a favorire l'immigrazione inter-imperiale in confronto dell'emigrazione all'estero. La Gran Bretagna é sovrappopolata; i Dominions sono ancora assurdamente sottopopolati; occorre mirare - e già molto si fa in questo senso - a stabilire un certo equilibrio tra questa e quelli. Concluderemo questo paragrafo ricordando che il trattato anglo-irlandese del 6 dicembre 1921 e lo Statuto della Lega delle Nazioni sono fin qui i soli due documenti costituzionali della esistenza dell'Impero Britannico. Sopratutto lo Statuto della Lega delle Nazioni in quanto avvince la Gran Bretagna e i Dominions con legami eguali a quelli avvincenti tutti gli altri membri della Lega é un documento che esclude la possibilità che l'Impero possa perseguire scopi esclusivi antitetici con quelli della Lega stessa; e che garantisce che questa é il simbolo di direttive che saranno sempre più all'unisono con quelle del mondo britannico, pur se questo risultato non fosse garantito dalla impossibilità di trascinare in una guerra ingiusta una mole così ingente, discontinua ed eterogenea, nonché dall'esistenza di un trattato d'arbitrato tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Il fatto che la guerra non ha potuto esser vinta senza il concorso degli Stati Uniti, fatto espresso nelle disposizioni del Trattato di Washington, con cui quindi innanzi la supremazia navale viene egualmente condivisa dall'Impero Britannico e dagli Stati Uniti, conferisce virtualmente a questi una posizione arbitrale tra l'Impero Britannico e il resto del mondo, la quale basta a garantire - in aggiunta all'accennata comunanza di mentalità tra America e Dominions in quanto paesi nuovi e transoceanici - che l'Impero Britannico non oserà mai perseguire una politica egemonica e illiberale, la quale inevitabilmente schiererebbe l'America col resto del mondo contro di esso e con risultati fatali. E viceversa l'Impero Britannico gode di una posizione arbitrale tra l'Europa e l'America ove un improbabile imperialismo economico di questa si sviluppasse a scapito degli interessi europei. In realtà tutto accenna alla probabilità che la scissione del secolo XVIII tra il vecchio e il nuovo tronco del mondo britannico sia destinata ad apparire solo un episodio di guerra civile in uno sviluppo storico di sostanziale cooperazione tra questi due rami d'un medesimo albero. "I quali hanno un comune interesse a creare le condizioni di sicurezza necessarie al processo d'educazione richiesto a che tutte le altre nazioni arrivino, ciascuna nel modo più confacente al suo genio, allo stesso livello di maturità e civiltà politica conseguito dal mondo che parla la lingua di Shakespeare e di Milton e quindi al livello in cui ognuna potrà recare il suo massimo contributo alla Costruzione della Gerusalemme terrestre. Occorre quindi esser cauti nel profetizzar catastrofi e decadenze. I compiti che ancora attendono l'opera del genio britannico e che, per quel che ora é dato vedere, esso solo può assolvere, sono molti e visibili; e avere grandi visioni e tradizioni é già fonte non inconspicua di fede. L'IndiaAnche in Asia ove da quasi un secolo e mezzo esso sta attendendo all'impresa colossale di creare le condizioni dell'unità politica e dell'autogoverno dell'India popolosa e mistica, esso é lunge dal disperare e dal sentirsi o confessarsi esaurito. Può darsi che l'esperimento iniziato nel 1919 di introdurre gradualmente il regime rappresentativo nella terra in cui é più radicata la tradizione del dispotismo paternalistico fallisca e che in tutto o in parte si debba tornare al governo burocratico di ieri. Il mero aver preservato la pace e l'ordine interno in India durante l'ultima crisi mondiale, l'aver elevato l'India a compagine rappresentata nei consessi imperiali e mondiali; l'aver liberata tanta parte del mondo arabo dal giogo turco e gettate le basi d'un eventuale federazione panislamica è impresa rivoluzionaria dell'antico spirito dell'Oriente. Se un giorno verrà in cui l'Oriente e l'Occidente s'intenderanno e coopereranno assieme al bene comune, quel giorno sarà stato di non poco affrettato, sia pure attraverso molti errori dall'opera britannica durante l'ultima guerra. Nel giudicare dell'opera britannica in India occorre tener presente che nel corso dell'ultimo cinquantennio la scuola, la scienza igienica, l'agricola, l'industria, l'avvento del vapore, del telegrafo, del telefono, dell'elettricità, dell'automobile, della motocicletta, della stampa, della libertà di discussione hanno operato in India, nella società più tradizionalista del mondo, una rivoluzione terribile nelle idee e nelle abitudini di tutti; e l'India é un mondo di razze, di nazioni, di religioni. Il miracolo é che la scossa cagionata anche in India dalla grande guerra, non sia maggiore di quella che é. Oggi l'India é irremissibilmente sulla via della civiltà europea; senza la scienza e l'industria europea essa non potrebbe più da sé sostenere le sue popolazioni; almeno un terzo dei 320 milioni de' suoi abitanti morrebbe di fame. Il problema della politica indiana é quello di un graduale deferimento ad assemblee provinciali, responsabili a un corpo elettorale indefinitamente espandibile, delle funzioni fin qui compiute dalla efficiente burocrazia britannica; deferimento che presuppone che il Governo centrale, pur permettendo esperimenti sempre più pericolosi, può impedire gli irrimediabili e in ultima istanza correggere gli errori. E' il problema del saper cedere a tempo e del saper essere fermi ove é necessario resistere e se occorre reprimere e sopratutto del come trasformare una burocrazia imperante in una burocrazia che dirige col consiglio e con la fiducia che ispira e prepara i proprii eredi. Se or son cencinquanta anni uno avesse profetizzato ai Governatori della Compagnia delle Indie l'attuale Impero Indiano, il profeta sarebbe stato considerato un pazzo. Quando nel 1859 dopo il famoso ammutinamento l'Impero passò dalla Compagnia alla Corona britannica, Stuart Mill fece lugubri profezie di disastri. Abbiamo noi reali motivi di pensare che le attuali Cassandre siano per essere più veridiche delle passate? È un problema che si confonde con quello del decidere se la classe dirigente inglese, quella che in fondo da Westminster controlla Delhi, é ora più o meno politicamente capace che non sia stata fin qui. E' un problema che solo l'avvenire potrà decidere e di fronte al quale l'autorità dei pessimisti non é forse mezzo secolo od un secolo fa: é un pro-maggiore di quella dei Pangloss. Elites di libertàLa sola cosa che si può dire si é che in un paese in cui é sovrana un'opinione pubblica di lunga formazione storica di continuo rinnovata dalla più libera discussione e in cui la classe dirigente non é una asta chiusa ed ereditaria ma una élite di continuo reclutante nuove cellule delle classi sottostanti, questa ha più che altrove la probabilità di essere all'altezza delle nuove situazioni. La politica imperiale ed estera dell'Impero Britannico é insomma oggi più che mai dominata da esigenze ben definite: la necessità di provvedere con un commercio internazionale crescente, di cui solo all'incirca un quarto col mondo britannico, alla esistenza e al tenere di vita di una popolazione sempre crescente, di cui solo una metà al più potrebbe essere mantenuta dal suolo inglese; la necessità di provvedere alla sicurezza del traffici per terra e per mare mediante la politica navale ed aerea combinata con una politica di amicizia con tutti, di legami esclusivi con nessuno e di promozione di accordi tra gli altri; la convenienza di affrettare al più presto possibile in ogni parte dell'Impero l'avvento dell'autogoverno, perché questo é il modo men costoso e più sicuro di provvedere mediante la solidarietà tra popoli liberi alla difesa della comune libertà contro minaccie esterne; e la convenienza di far pesare moralmente e materialmente l'influenza del nome britannico a favore dei popoli liberi o lottanti per la libertà ovunque essi siano; e ciò per la stessa ragione. La necessità di moderare e reprimere moti di impazienza non toglie che questa sia la linea direttiva prevalente. Le stesse apparenti eccezioni - l'Irlanda e l'Egitto - confermano il nostro asserto. L'EgittoCirca l'Egitto é bene tener presente che, tecnicamente almeno, esso fu sempre considerato indipendente e che l'opera di Lord Cromer e Lord Kilchener, contribuì enormemente a creare le condizioni di una indipendenza reale. Le difficoltà nascono dalla circostanza che in pochi altri paesi esiste una così potente ed eterogenea colonia europea ed americana, con potenti interessi costituiti e che non si fida della capacità del Governo egiziano di proteggerla. Non se ne fidano gli Stati Uniti, non se ne fida la Francia, non se ne fida l'Italia. E non se ne fidano molti altri: Se se ne ritraesse del tutto all'Inghilterra subentrerebbe pronto qualcun altro. E l'Inghilterra é più di tutti interessata ad assumersi questa funzione protettrice per assicurarsi che il Canale di Suez, che é la via più breve per l'India, non caschi in mano di potenza capace di chiuderlo alle sue navi in tempo di guerra. L'IrlandaCirca l'Irlanda, la difficoltà era ed in parte é ancora l'antagonismo fra il Nord-Est e il resto dell'isola ed il fatto che l'Irlanda con le sue coste frastagliate offre ottime basi di lavoro ai sommergibili minaccianti le linee di navigazione tra l'Inghilterra e l'Occidente. L'Irlanda e l'Inghilterra formano un unico sistema strategico, le loro popolazioni sono ormai inestricabilmente miste. In queste condizioni la reluttanza nel concedere all'Irlanda una larga autonomia, nonostante fosse indubbiamente possibile lo schiacciare - a un dato prezzo - ogni resistenza é cosa perfettamente concepibile. La questione é se non fosse maggiore il pericolo del persistere a trascurare il peso dell'anglofobia irlandese in America e nel resto del mondo; se non fossevi la speranza di sradicarla con l'autonomia e se un atto di generosità da parte del più forte non varrebbe a cancellare tante tristi recenti memorie. L'esperimento ha già ridotta quasi a zero l'influenza anglofoba irlandese all'estero e ha già fatto fare grandi passi allo spirito di conciliazione nella stessa Irlanda. Questa ha già preso parte alla Conferenza Imperiale; é già membro della Lega delle Nazioni e in questi due fatti ha due grandi garanzie della sua nuova libertà, che é così non meno sacra e inviolabile di quella d'ogni Dominion e della stessa Inghilterra. L'esistenza dell'Impero Britannico ha reso possibile sia all'Inghilterra sia all'Irlanda di superare la angusta visione insulare, e di trovare in un tutto più vasto le garanzie dei valori comuni non meno che di quelli specifici. E' noto infatti che il tipo sul quale é concepito il Libero Stato d'Irlanda nel suo rapporto verso la Gran Bretagna é il Canada. Vi é quindi un senso in cui é lecito dire che il trattato anglo-irlandese del 6 dicembre é la più recente e maggior manifestazione della capacità, da parte della tradizione imperiale, di risolvere questioni insolubili dal punto di vista del mero principio di nazionalità. La politica EuropeaLa mole britannica é qualcosa di tanto unico nella storia, é così flessibile e proteiforme, ha superato già tante crisi ed ha già smentite tante profezie da rendere impossibile a chicchessia il predirne l'avvenire. Ma una cosa ci sembra incontestabile. Il suo punto più vulnerabile rimane in Europa. L'Inghilterra deve riuscire a restaurare una lunga pace e una diffusa prosperità sul continente europeo; tenersi estranea alle competizioni politiche continentali, non intervenirvi che come arbitra e dal punto di vista dell'interesse più generale e permanente, se vuole evitare che i Dominions se ne stacchino come già le colonie americane e si disinteressino del l'Inghilterra dal cui seno sono nati non meno che della vecchia e turbolenta Europa. E l'ingresso nella classe politica dell'ala più evoluta del partito del lavoro, i cui ideali sono più vicini a quelli dei paesi transatlantici é destinato ad allontanare questa eventualità col neutralizzare l'elemento estremo del vecchio conservatorismo e render più difficili alleanze esclusive in Europa. È ancora troppo presto per potere dire in modo sicuro il grado in cui la responsabilità del Trattato di Versailles e delle sue conseguenze economiche e degli indugi nel correggerle è dell'Inghilterra e dei suoi alleati ed associati. È per altro indiscutibile che, a mala pena il Trattato fu firmato, l'Inghilterra iniziò, sotto la pressione della sua crisi industriale, gli sforzi per correggerlo. Essa non esitò inoltre a proporre la cancellazione di tutti i suoi crediti a patto che le si cancellasse il suo debito americano e a patto che detta cancellazione segnasse la liquidazione delle conseguenze della guerra e l'avvento della pace. Di fronte al rifiuto di cancellazione da parte dell'America, non esitò a iniziare il pagamento del suo debito a questa e a mantenere la sua offerta di cancellazione de' suoi crediti, tranne che per la quota parte necessaria, assieme con la quota spettantele delle indennità tedesche, a pagare il suo debito all'America, sempre a condizione dell'assenso degli alleati a una pace reale. I suoi sforzi s'infransero contro la determinazione della Francia a esigere condizioni di sicurezza, rispetto alla Germania, che nell'opinione inglese solo seminerebbero cause di nuove guerre e impedirebbero la restaurazione economica tedesca; e contro l'appoggio, inizialmente almeno, dato dall'Italia alla tesi francese dei pegni produttivi. Nel momento in cui scriviamo questi sforzi sono stati ripresi in condizioni più favorevoli, con la partecipazione di un rappresentante americano e con il fervore del Partito del Lavoro salito per la prima volta al Governo. Gli auspici non furono mai più propizi e sia nel campo economico che nel politico, sia nel promuovere la riconciliazione e la ricostruzione, sia nel dare esempio di fedeltà a tutte le tradizioni liberali sue sotto la cui egida l'Europa crebbe, l'Inghilterra ha ripreso il suo posto di avanguardia. Può darsi che l'isola madre abbia oltrepassato lo zenit della sua potenza economica, sebbene insigni studiosi ne dubitino e sebbene sia anche possibile che l'attendano grandezze di anche più nobile natura ancor non tocche. E può darsi, sebbene pur questo sia dubbio, che la mole britannica presto o tardi si sciolga in una costellazione di stati indipendenti. Pur così la sua fama resterebbe imperitura ed essa può già dire: non omnis moriar. Ma é molto più probabile che essa rimanga come almeno l'altare e il sacrario della vivente cattedrale che le é cresciuta d'intorno e destinata ad essere il modello e il nucleo d'un anche più larga fratellanza di popoli intenta ad estendere su tutta la terra il regno della pace, del diritto e della libertà, esaltando gli umili e debellando i superbi, domani come ieri. CARLO ARIAGHI.
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