ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI TEDESCHEDA LUDENDORFF A MAX HÖLZSebbene i partiti non abbiano ancora finito di compilare le loro liste, si può già avere un certo quadro della lotta elettorale in Germania. Se si volesse trovare un titolo riassuntivo di questa preparazione si potrebbe dire: Les Dieux restent o piuttosto les Dieux reviennent. Con ciò non parlo dei noti parlamentari invecchiati nei ludi cartacei delle elezioni dei programmi e... dei discorsi, ma degli Dei veri dell'antica Germania imperiale che recano ora il loro splendore un poco sciupato nella rappresentanza del popolo mediante le schede che preferirebbero abolire. Così all'estrema destra si presenta come capolista Ludendorff che da qualche tempo ha cambiato il mestiere del generale in quello di tribuno. L'antico Generalquartiermeister, purissima incarnazione del militarismo, del più ristretto ed esclusivo militarismo, è certamente il tipo più antipatico dei ci-devant kaiseristi. I suoi critici lo accusano di non aver visto mai che quella sola fronte alla quale egli si trovava. E' certo che non ha capito la psicologia essenzialmente democratica della grande guerra. Non ha capito neanche che l'esercito tedesco del '18, esercito di anziani quarantenni, non era più lo stesso di quello dei giovani del '14. Ma a parte la sua attività militare, Ludendorff ha ripetutamente dimostrato in politica la sua incapacità assoluta. È stato Ludendorff il prosecutore ostinato delle idee più fantastiche come un'insurrezione in India o la conquista dell'Asia del sud e dell'Africa del nord-est. È stato Ludendorff a lasciarsi sedurre dalla politica dell'industria pesante verso la Francia e il Belgio. È stato Ludendorff l'iniziatore e il solo responsabile della politica fatta verso la Polonia e dei trattati di pace con la Russia e la Romania. È stato Ludendorff autore della guerra dei sottomarini. Sempre e soltanto Ludendorff. Poiché i cancellieri, i ministri, il Reichstag, il Kaiser stesso non avevano più alcuna influenza di fronte allo Stato Maggiore che faceva tutto; e persino promuoveva alle più alte cariche dello Stato. Tornato dalla Svezia ove era fuggito durante la rivoluzione con un paio di occhiali bleu e sotto un falso nome, Ludendorff ha scritto tre grossi volumi stupidissimi, in cui ingiuria il suo esercito che ha avuto un milione e mezzo di morti, accusa gli ebrei, gli ultramontani di aver provocata la guerra, la sconfitta, la rivoluzione; dà la colpa a tutti quanti tranne che a se stesso. Quest'uomo senza cultura e senza visioni generali è il degno duce dei Deutsch-Völlkischen tra ex-ufficiali illusi e squilibrati, antiebrei dei bassi fondi dell'intelligenza, carrieristi e condottieri di ventura. Questo partito nato da una fusione tra i socialisti nazionali di Hitler e la Deutsch-Völlkischen Freiheitspartei di Von Gräfe, antico deputato conservatore - partito con una ideologia molto confusa fortemente influenzato dal fascismo, che vuol ristabilire la vecchia Germania, ma senza la "servitù dell'interesse" e sopratutto senza ebrei, marxisti e ultramontani, se il linguaggio parlato da centinaia di assassini organizzati per gran parte nelle sue società segrete non fosse tutt'altro che romantico. Accanto a Marte scende nel campo di battaglia, dal monte Ida anche Nettuno. I tedeschi-nazionali presentano in una circoscrizione l'ex grande ammiraglio Von Tirpitz, che era stato prescelto come duce del direttorio che doveva rovesciarne le istituzioni repubblicane dopo il colpo di Hitler. Il Tirpitz gode di una certa fama anche nell'ambiente moderato perché nei suoi "ricordi" accusa atrocemente la politica indecisa e confusionaria del vecchio regime. Innegabilmente egli, conservatore di vecchio stampo, è molto più intelligente, colto ed esperto di Ludendorff. Ma se Ludendorff ha la massima colpa della falsa direzione della guerra, Tirpitz è il colpevole della politica prebellica che con la costruzione della flotta, sua opera personalissima, veniva a creare inquietudini in Inghilterra, senza preoccuparsi mai della Russia sempre più ostile per la politica tedesca in Oriente e per l'appoggio incondizionato dalla Germania dato alle avventure austriache. I tedeschi-nazionali del resto sono una specie di Massimalisti di destra, trovandosi in una perpetua incertezza se debbano dirsi un partito rivoluzionario o conservatore. Tra i suoi variopinti elementi si trovano agrari, industriali, piccoli borghesi, Junker, vecchi conservatori, professori liberali, e persino un'ala sinistra che sogna una politica di tipo unionismo inglese. Gli ex-ministri imperiali come Hergt e Helfferich si sforzano di navigare attraverso tutte queste correnti, da un lato con la speranza di prender parte ad un prossimo ministero, dall'altro col timore della concorrenza dei Deutsch-Völkischen. In un dubbio eterno si trovano anche i tedeschi popolari, i quali furono definiti, quando ancora si chiamavano nazionali liberali, il partito del disco girevole: È il partito dell'industria e rispecchia perciò appunto la lotta tra industria pesante, favorevole in politica alle correnti estreme e la più moderata industria della seconda lavorazione. Stresemann, ex-sindaco di una parte dell'industria di seconda lavorazione, appartiene all'ala sinistra e nell'ultimo congresso del partito è rimasto vincitore sui destri. Una parte di questi è andata coi tedeschi nazionali. Ma la vittoria di Stresemann è stata una vittoria tutt'altro che definitiva, e il ministro della riconciliazione colla Francia deve fare una lotta elettorale con una propaganda abbastanza reazionaria in favore della vecchia bandiera e con forti accenni contro i socialisti che pure hanno preso parte al suo primo Gabinetto. Non si sa bene se i tedeschi popolari siano un partito di Centro o di Destra. Questa incertezza sussiste anche un po' riguardo al vero e proprio centro, i cattolici. Questi, come una volta i popolari italiani, sono gli arbitri di tutte le situazioni parlamentari, ma ancora non si sa se, uscita dalle elezioni una Destra rafforzata, non prenderebbero parte a un gabinetto reazionario, di cui si prepara ad essere il capo il cattolico Stägervald, leader dei sindacati bianchi. Il presidente del partito, Marx, l'attuale cancelliere, è in fondo un uomo debole e, dopo l'assassinio di Erzberger, non ci sono all'ala sinistra altre persone autorevoli che l'ex cancelliere Wirth, non ancora ristabilito da una grave malattia. Oggi si deve riconoscere che il partito fa le elezioni con un programma assolutamente repubblicano. Ma chissà che i cattolici, capaci di tutto anche in Germania, non cambino domani i loro atteggiamenti. Il Centro presenta candidati proprii per la prima volta anche in Baviera, dapo aver rotto tutti i ponti coi popolari bavaresi, il partito di Von Kahr, che senza la malattia del suo leader Heim - gran demagogo del resto anche lui - forse non si sarebbe così completamente compromesso in una politica più reazionaria di quel che non desiderassero da principio gli stessi promotori. V'è disorientamento pure tra i democratici, una parte dei quali guarda sempre ai tedeschi-popolari, dove sono seduti i colleghi banchieri e industriali. Nella circoscrizione del defunto Naumann, vero idealista della democrazia, presentano il grande industriale Von Siemens, mentre un'altra parte è di autentici ed entusiasti repubblicani democratici come Erkelenz, leader dei sindacati democratici e Preuss, creatore della costituzione repubblicana, il quale tuttavia nel passato Reichstag non aveva un posto. I democratici dopo le prime elezioni della rivoluzione hanno sempre più perduto terreno e continueranno a perderlo anche questa svolta. In quanto ai socialisti non riescono a coprire, se non con difficoltà i gravi dissidi che li travagliano. La maggioranza è indubbiamente rivoluzionaria e un congresso di rappresentanti locali voleva buttare a mare presso a poco due terzi degli ex deputati. I "Bonzi" del partito e dei sindacati lo hanno saputo impedire, benché non fossero più nella condizione di presentare un uomo come Noske. Saranno nelle liste socialiste quindi tutti gli uomini conosciuti della vecchia maggioranza. Scheidemann, Wels, uno dei due presidenti del partito, Loebe, ex presidente del Reichstag, David, Bernstein, Wissel, Landsberg, l'ex ambasciatore a Bruxelles, Leipart, presidente della Confederazione generale del lavoro, accanto agli antichi indipendenti Breitscheid, Hilferding, che non era ancora nel Reichstag perché soltanto da poco tempo ha cambiato la sua cittadinanza austriaca in quella tedesca e i più radicali Crispien, l'altro capo del partito, Dissmann, presidente dei sindacati dei metallurgici, Toni Sender e l'ex leader dei comunisti Paul Levi. Mancherà invece la bella testa di Adolfo Hoffmann famoso come Francesco Barberis per le sue burlesche interruzioni in un tedesco sempre perfettamente sgrammaticato, che ha rifiutato una candidatura perché i dirigenti riformisti di Berlino lo hanno degradato da capolista e relegato in un posto inferiore e dubbioso. Non si sa ancora se Kautsky accetterà una candidatura. È possibile che col prossimo congresso il partito si trovi in piena crisi specialmente perché mancherà, dopo l'assassinio di Haase, l'autorità di un capo capace di conciliare e sintetizzare le varie tendenze. Liste proprie avrà infine il piccolo resto degli indipendenti dei quali è capo il bel temperamento del giovane settantenne Ledebour. Nelle nuove elezioni, contemporaneamente all'Estrema Destra, per la quale si prevede una rappresentanza di circa trenta seggi, aumenteranno anche i rappresentanti comunisti. L'aumento è dovuto in parte a una vera estensione della loro influenza, in parte al fatto che sui candidati comunisti si riverseranno i voti di buona parte degli ex indipendenti che non hanno preso parte alla fusione coi maggioritari, e non sono neanche rimasti nel piccolo partito di Ledebour. Non si può dire tuttavia che i comunisti stessi siano tra loro perfettamente d'accordo. Nell'ultimo congresso, concesso segretamente pochi giorni fa, l'ala destra capeggiata da Clara Zetkin e da Brandler (influenzati da Radek) ha ricevuto una prima sconfitta dai sinistri influenzati da Zinoviev e capeggiati da Maslov e da Fritzi Friedlaender. Il risultato di questa vittoria dei putschisti è la candidatura di Max Höltz, romantico poverello che ora paga con i lavori forzati a vita il suo tentativo di portare i masnadieri di Schiller sulla scena politica. Dubbio è perciò se la vecchia Zetkin sarà tra i rappresentanti comunisti. Si può dire insomma che in Germania tutti i partiti sono in crisi. La Germania repubblicana non ha ancora trovato una forma stabile alla sua vita sociale. Quale sarà il quadro del nuovo Reichstag? Non facciamo i profeti di un fatto che si saprà fra pochi giorni. Ma si può dire con sicurezza che la Sinistra uscirà indebolita, tuttavia non tanto che le organizzazioni della Social-democrazia, superato il periodo dell'inflazione non possano impedire una vera sconfitta. È possibile che si salvi un Governo più o meno di centro, con o senza i socialisti. Ma è anche possibile che nei quattro anni del prossimo Parlamento nasca un Governo con una partecipazione dei tedeschi nazionali. Invece non crediamo in nessun caso alla probabilità di un sostanziale cambiamento della politica estera: gli stessi tedeschi nazionali di fronte alla realtà dovranno conservare le vecchie direttive, anche se con più lirismo e con più rumore agli occhi dei proprii seguaci. Nella politica interna si può invece prevedere un orientamento più reazionario che continuerà in qualche esagerazione l'atteggiamento o piuttosto la mancanza di atteggiamenti del defunto Reichstag durante la sua agonia che durò press'a poco metà della sua vita. Procopio.
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