LA VITA REGIONALE

I torinesi di Carlo Felice

    Torino nel 1830 era poco più che un grosso villaggio. Me lo fa notare il mio vecchio amico dottore, mostrandomi la sua collezione di stampe. Eccone una, non molto fine di fattura, ma esatta ed elegante, che nel mezzo mostra in poche parole le felici condizioni degli stati del la Sacra persona che Re Carlo Felice reggeva.

    Per i viali alberati sorti sugli antichi bastioni passeggiavano in silenzio ragazzi e soldati oziosi, e le fanciulle guardavano dalle finestre. Piazza Vittorio era, da un lato, l'estremo confine della Capitale; non più chiusa dalla bella porta del Guarini, ma già saviamente arricchita della chiesa della Gran Madre, a compiere lo scenario della collina.

    Dall'altra la città non giungeva pur anco al Po, e prati sulle due rive piene di arenaiuoli affacendati, bianche di bucati al sole. Il viaggiatore annoiato poteva, in breve giro raggiungere gli altri termini cittadini: Porta Nuova, Porta Susina, e Porta Palazzo, laggiù nello sfondo.

    Qui una fedele burocrazia attendeva gli ordini illuminati del Principe; là abitavamo i nobili: della loro gretta ma solida nobiltá fanno oggi ultima e pietrosa testimonianza le loro case allineate; pochi passi più in giù lo scarso esercito di Sua Maestà faceva le sue pacifiche prove ed il gesuita passeggiava guardingo.

    Nulla mostrava che questo povero paesuccio, in così breve immagine raccolto, si preparasse a grandi avventure. Una folla stanca di guerre e di rivoluzioni, rinchiusa nella piccola vita, desiderosa di pace e di abdicazioni, amica di quei reggitori "qui étant des Péres de leur peuple ont autant d'enfants que de sujets", viveva contenta del suo piccolo re che le toglieva il grave peso di libertà

    Napoleone l'è andait in Russia

    Pianteie l'erbù dia libertà

    E chisà quando lo rivedremo

    E chisà quando ritornerà.

    Vennero poi giorni diversi; si dovettero fare i conti con il "partito antisociale", con un cattivo spirito "le mauvais esprit est l'esprit de la révolution, l'ennemi de Dieu et des Rois, qui prend toutes le couleurs, toutes les devises pour pervenir à son but, pour bouleverser les Etats. Chez nous, il s'est paré du beau titre d'Italien". Si dovette conquistare la riluttante Italia, e si perse il titolo di città rapitale. Poi si fondarono industrie, giunsero d'ogni parte genti nuove.





    Concentrica alla vecchia cittadina di Carlo Felice si costruì un'altra città che dalla prima imparò lingue e abitudini di moderata compostezza, e il "temperato e prudente carattere che distingue le genti subalpine" ma che venne su in fretta, tutta animata di una modernità, né troppo appariscente né vana. Vi presero stanza più presso al centro o verso le colline gli industriali e i commercianti, ed in grande cerchio attorno pei borghi che confinano con la campagna, dove le donne già portano gli zoccoli e le case sorgono anonime fra i prati stenti, la grande folla operaia.

    Nell'antica capitale rimase la piccola borghesia, i discendenti dei sudditi fedeli, la gente che non si muove: negozianti e studenti, professori e impiegati. Le vie attorno al palazzo di città sono, come furono sacre ad ogni commercio minuto e svariato; nel deserto rione nobiliare verso il Po le belle case perdono gli intonachi ingrigiti, e nessuno guarda, dalle doppie vetrate, nelle strade solitarie,

    Un melanconico odor provinciale, una freddezza di cuore, una modesta abitudinaria debolezza, nella vecchia Torino senza re. La nuova Torino le é indifferente o piuttosto sconosciuta, il rumore delle officine é tollerato solo perché è lontano; ma il tumulto degli scioperi odioso perché turba le ordinate consuetudini. Un certo buon senso e misura piemontese fanno ancora a molti preferire Giolitti a Mussolini; ma se non fosse per questo, poiché vi é qui ristrettezza di idee piccoli traffici, media coltura, e miserie, il fascismo dovrebbe prosperando fiorire.

    Così all'incirca dicevo con l'amico; ed egli mi faceva notare come le elezioni ultime fossero state un bell'esperimento dimostrativo della reale esistenza di questo stacco fra le due città. E per darmene "il senso quasi fisico" mi mostrava, a comprova una pianta di Torino sulla quale la sua sfaccendata pazienza aveva segnato, una per una, le duecentotredici sezioni elettorali, indicandole con colori diversi secondo la percentuale dei voti che esse avevano dato alla lista Nazionale. Vidi allora, o meraviglia!, riapparire tutta azzurra sulla pianta la vecchia città di Carlo Felice, amica oggi, se pur non entusiasta, del fascio, chiusa nelle sue quattro porte, limitata nei suoi limiti angusti, come nella vecchia stampa, disegnata e distinta. Fuori, nettamente separato, un gran cerchio rosso, più fitto, lungo la Dora, continuo tutto attorno, da Sassi al Pilonetto.





    Neppure i nuovi quartieri dei ricchi hanno dato molti voti al listone; la classe operaia intera ha mostrato la sua bella indipendenza.

    La piccola borghesia soltanto ha votato Mussolini: Mario Gioda ben a ragione nei manifesti elettorali chiedeva voti ai veri bicerin. Essi anche oggi sono stanchi dell'albero della libertà, temono il maivais esprit, odiano gli "antinazionali" per le stesse ragioni per cui odiavano i nazionali, gli "antisocialisti". Questa gente aspira inconsciamente alla placida vita paesana sotto il buon Re Carlo Felice; non sa che farsene dell'Italia e della politica; e poiché manca ormai un paterno re torinese, spera nel romagnolo come in un salvatore dalla politica, dal patriottismo, dalla modernità.

    "O beato dispotismo!" esclamerebbero anche essi come esclamava un nobile ministro di casa Savoia, paghi dell'unico diritto che questi avrebbe concesso, e che risparmia invero molta fatica: "Il diritto dei popoli, il primo diritto dei sudditi, é di essere ben governati".

    Ma, ahimè, su questo campo varrebbe assai meglio di Mussolini, Solaro della Margherita.

c. l.

Case coloniche e case operaie in Sicilia

    L'argomento é vecchio e dibattuto; ci sembra però utile continuare ancora a ribattere, non perché si possa finalmente d'un tratto scuotere la sonnolenza delle popolazioni siciliane, ma perché la lotta delle idee resti sempre ferma sulle sue basi. L'Italia, é vero, ha progredito molto; ma i contadini e gli operai del meridione, e specie della Sicilia, non hanno raggiunto ancora quel grado di benessere che godono già invece in gran parte quelli del settentrione. In Sicilia non si hanno quasi affatto case coloniche e case operaie ed il fenomeno, per quanto possa a prima vista sembrare di scarsa importanza, fa invece sentire il suo peso nell'economia nazionale e, quindi, nella politica del paese.





    La mancanza di case coloniche in Sicilia è una necessaria conseguenza del permanere del latifondo che insidia ormai da secoli gl'interessi economici dell'Isola. Gl'isolani lavorano piuttosto in America, dove si guadagna e si vive meglio, ed in Sicilia territori vastissimi sono quasi del tutto disabitati, specie nell'interno dove il paese é montuoso e disseminato in parte di miniere di zolfo.

    I centri rurali sono assai lontani gli uni dagli altri.

    Molti hanno lamentato l'effetto deleterio delle grandi proprietà e, sopratutto, del sistema economico-amministrativo sotto il quale le grandi proprietà si sono cristallizzate; e, a dir vero, qualche latifondo é stato diviso e gabellato (1), come si dice volgarmente, in lotti: si noti però che la gabella, sebbene migliori le condizioni dell'agricoltura, perché l'affittuario ha minori difficoltà da incontrare, pure non fa che un assai piccolo passo verso la rigenerazione economica del Paese. Il mezzo più idoneo sarebbe invece l'introduzione del sistema della mezzadria sul tipo di quella diffusa in Toscana, dove ogni contadino ha la sua casetta colonica circondata dal podere che egli stesso coltiva con tutte le sue cure e le sue premure. In Sicilia una tale organizzazione rurale non si conosce quasi affatto, perché i cosidetti borghesi, non tanto forse per intransigenza, quanto per un certo spirito tradizionale, non si sono mai curati di sollevare le condizioni economiche e morali della Sicilia attraverso il miglioramento delle povere economie dei lavoratori dei campi.

    In Toscana il territorio é tutto diviso in poderi; ogni podere ha il suo mezzadro, che é il capoccia della famiglia colonica: oltre ad un certo numero di prestazioni diverse, egli dà al padrone una metà dei frutti, in natura. La casa colonica, di cui é sempre fornito il podere, è composta dell'abitazione, di una tinaia e di una stalla. Accanto c'è una capanna pei foraggi e una concimaia. In questo modo il contadino vive bene, si affeziona al podere, lo coltiva con amore e lo sfrutta in modo da averne il doppio, o magari il triplo, di quello che esso non rendesse quando non era ancora generalmente diffuso il sistema della mezzadria.

    Si pensi ora per un momento quello che non darebbe la Sicilia, sebbene solo in parte assai ubertosa, ove i terreni, anziché gabellati, venissero invece dati a mezzadria per lo meno là dove le condizioni climatiche ed ambientali lo permettono: la ricchezza della Sicilia sarebbe subito quanto meno quintuplicata e si arresterebbe in certo qual modo il fenomeno emigratorio che spopola troppo le campagne.





    È dunque necessario che si continui a lottare perché i grossi proprietari intendano una buona volta questi bisogni vitali della Sicilia. Non basta che qualche buon passo si sia fatto in varie contrade delle provincie di Palermo e Messina; bisogna dov'è possibile dividere la regione in poderi che si reggano a mezzadria; bisogna dare ai contadini le loro case coloniche, strapparli così all'urbanesimo e avvinghiarli alla terra, per il loro benessere e quello del paese.

    Quando poi la coscienza collettiva comprenderà che il fatto economico più vantaggioso per tutti é la divisione della proprietà dei campi agli agricoltori e quando i contadini, prima mezzadri, e cioè agricoltori, si saranno messi in grado di acquistare le terre, allora potremo avere, in un lento e graduale passaggio dalla mezzadria alla proprietà divisa, sempre più rigogliose le attività delle popolazioni siciliane e quindi sempre più grande e benefica la prosperità generale.

***

    Passiamo ora alla questione delle case operaie.

    Il problema, se non si presenta complesso e complicato, non é certo men grave. Notiamo, intanto, che solo nelle provincie settentrionali e in alcune centrali d'Italia le case operaie sono belle e numerose. Anche in Sicilia gli operai cominciano a guadagnar bene; però, in generale, come da per tutto del resto, non portano a casa, per la famiglia, il corrispettivo intiero del loro lavoro che viene depositato quasi completamente nelle osterie.

    Le famiglie degli operai vivono generalmente in tuguri luridissimi e soffrono la fame, a meno che non vi domini la corruzione.

    Per le case coloniche tutto dipendente quasi esclusivamente dai proprietari, ché vani saranno sempre gl'interventi diretti dello Stato; ma quanto alle case operaie dobbiamo rilevare l'assoluta noncuranza del Governo, che dovrebbe e potrebbe intervenire con buoni risultati. Si dirà che il Governo non può educare, ma si potrà ribattere che lo Stato deve educare e che la sistemazione economica e morale degli operai, come quella dei contadini é opera santissima di educazione civile.





    Nel Belgio il Governo ha sempre aiutato in tutti i modi la "Cassa generale di risparmio", la quale ha voluto rendere gli operai proprietari delle loro case, ipotecando quasi intieramente il salario a beneficio delle loro famiglie. Il sistema é questo: l'operaio contratta con l'apposita sezione della Cassa di Risparmio l'acquisto o la costruzione di una casa, assieme ad un'assicurazione sulla vita, cosicché paga ogni anno, oltre la nota di rimborso, anche il premio di assicurazione le tariffe sono minime e le case, di cui alcune società assumono la costruzione, sono edificate secondo le norme dell'igiene. Se l'operaio giunge al termine stabilito, poiché il suo impegno come assicurato ha lo stesso termine di quello come debitore, egli resta completamente padrone della casa. Se invece muore prima, il capitale di assicurazione va a scomputare il resto da pagare per la casa ed i suoi legittimi eredi ne acquistano la libera proprietà. Il Governo belga, favorendo una simile istituzione, ha creato il benessere di quasi tutta la classe degli operai, i quali, attratti dall'interesse immediato di una buona casetta propria, piuttosto che alle osterie si dedicano completamente alla famiglia, con grande vantaggio della morale e del Paese intiero.

    In Italia siamo ben lontani da tutto questo e in Sicilia, poi, si parla di case operaie come si parlerebbe dei canali di Marte. In Sicilia tutto é da farsi. Lo Stato non cura la legislazione operaia se non quando ve lo costringano i tumulti di piazza sempre soffocati, mai prevenuti; lo Stato non ha mai promosso un Istituto che dia ai buoni operai siciliani la casa dove si ristorino i corpi e si rinfranchino le anime (2).

G. NAVARRA CRIMI
Domande gravi cui, naturalmente, non é facile rispondere. Ad ogni modo, basta per noi aver precisato il significato della gabella siciliana. Occorrerà piuttosto avvertire che in Sicilia vi sono due specie di gabelloti, (e non "gabellotti", come scrivono comunemente quelli che hanno studiato la Sicilia di seconda mano): il primo, chiamato anche speculante, prende in gabella per subgabellare; l'altro prende in gabella i fondi ma li coltiva direttamente o ne dirige personalmente la coltivazione. Vedi su questo punto: Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia. - Relazione sulla Sicilia (Lorenzoni) - Tomo 1, pag. 234.