NOI E LE OPPOSIZIONI

    È giusto ciò che scrive Santino Caramella: dieci opposizioni non riescono ad opporre altro che due parole al fascismo: libertà e democrazia; liberalismo e democrazia e viceversa. Ma, se é giusto, come rilievo di fatto, non vedo, in linea politica, che cosa mai avrebbero da dire di diverso, o come il Caramella vorrebbe, di nuovo. Liberalismo e democrazia non sono frutti fuori stagione in Italia, né vecchie parole per esprimere idee consumate, per la buona e semplice ragione che in Italia (parlo del Regno d'Italia) libertà e democrazia non sono mai esistite né in atto né in potenza e liberalismo e democrazia non hanno mai avuto valore politico attuale o, comunque, moderno.

    Mi fa meraviglia che il Caramella si meravigli di sentir risuonare nell'aria vecchie canzoni. Vecchie, certamente, per lui, per Monti, per qualche altro: per pochi altri. Ma nuovissime per la maggioranza assoluta degli italiani. Mi sembra, anzi, che le opposizioni - senza volerlo, forse - siano state bene inspirate quando, invece di lanciarsi alla scoperta di qualche nuova formula che servisse di antidoto al veleno fascista hanno accettato la lotta sul terreno che il fascismo medesimo proponeva; e come questo parlava a tutto spiano di antiliberalismo ed antidemocrazia si sono messe a ripetere per tutti i toni che lo Stato italiano é liberale e che il popolo italiano é democratico.





    Gli oppositori intelligenti ed in buona fede, cioè i veri oppositori, debbono sapere benissimo che né l'una affermazione né l'altra risponde a verità. L'organizzazione dello stato italiano - dallo statuto albertino, alla legge elettorale politica - non è quella di uno stato liberale; e le aspirazioni di quei ceti che, fino a ieri hanno tenuto, nella politica attiva, la rappresentanza della democrazia erano sostanzialmente antidemocratiche. Protezionismo, monopolismo, accentramento, sono la negazione della democrazia: ora tutti sanno che proprio queste tre forme erano l'apice dei desideri "democratici" dei partiti italiani democraticissimi.

    Il fascismo nega - nella sovranità parlamentare - il segreto della monarchia italiana; che é quello di essere, come del resto le vicende del Risorgimento imposero che fosse, una monarchia rappresentativa e non una monarchia costituzionale; e praticando fieramente il protezionismo, il monopolismo e l'accentramento realizza il più vasto esperimento di democrazia diretta che sia mai stato tentato in Italia. Le contingenze politiche obbligando Mussolini a combinare insieme i due sistemi, senza possibilità di convenienti mascherature e di delicati trapassi, hanno portato all'unico possibile risultato: la dittatura plebiscitaria.

    Per la ragione logica, intima ad ogni lotta politica, i veri oppositori dovranno ora "creare" il vero liberalismo e la vera democrazia italiana. È certo che se le due parole dovessero restar nient'altro che parole il governo fascista avrebbe facilmente ragione delle opposizioni. Ma non é possibile che ciò sia. Le opposizioni agiscono oramai più che su un terreno politico, su un terreno di antitesi storica: il rivolgimento delle coscienze, la crisi morale nella quale il Caramella vede - ed io convengo con lui - la vera opposizione le muove risolutamente alla ricerca delle nuove basi e, diciamo anche, dei nuovi metodi di azioni. Fino ad oggi gli sconfitti sono i liberali ed i democratici fiancheggiatori e collaboratori. E la vecchia canzone della libertà e della democrazia ha annoiato oramai - in bocca loro - perfino i compagni di viaggio elettorale.





    Ma gli altri si sforzano di imparare la nuova canzone; tanto nuova che pochi provano a cantarla e che nessun organetto la suona al canto delle vie! E pure, proprio questa é la canzone che bisogna imparare!

    Le parole sono vecchie é vero; ma tutto ciò che l'opposizione potrà dire e fare sarà, necessariamente, nuovo! Tocca ad essa dar vita, per la prima volta, ad una coscienza costituzionale e liberale; ad esse tocca il tracciare le linee di una organizzazione delle libertà; cioè di una organizzazione democratica della vita italiana. Intanto siamo già lontani, se Dio vuole, dal tempo delle combinazioni e della "pappa fatta". Essere oppositori vuol dire aspettare e lavorare, lavorare ed aspettare. Sacrificio ed esperienza di sacrificio. Altre due parole che non significavano nulla e cominciano ad aver qualche significato. Ed essere oppositori significa anche esser obbligati a rivivere la storia del popolo italiano e dei suoi istituti politici. Anche se quest'opera debba avere le lacune e le insufficienze delle dottrine elaborate nel tumulto e tra le difficoltà dell'azione, non sarà per ciò meno opera formativa delle coscienze italiane.

    Libertà e democrazia. Vecchie canzoni nuovissime. Tra i molti che le sapevano o credevano di saperle a memoria, ce ne sono rimasti ben pochi che provano a riecheggiarne il motivo. E cantano, in fondo, una altra canzone. Poco importa se pure credono che sia sempre la stessa e la più vecchia. Pur che restino persuasi che é, ancora, la più bella di tutte.

    Del resto non mi pare che il Caramella sia nel vero quando trova che le opposizioni si impuntino alla "funzione squisitamente politica dello stato legale". Non fosse altro per fare intendere cosa sia e in che consista questa funzione sono già andate più in là. E' parlando che molta gente riesce a spiegarsi. Non nego che molti oppositori pronunciassero le parole di libertà e democrazia come motivi verbali in una lotta politica. Ma si sono accorti che le due parole esprimevano un'idea. E chi ha un'idea ci si affeziona e la difende. Per la prima volta in Italia l'opposizione difende un'idea. Ringraziamo Iddio, caro Caramella, ringraziamo Iddio.

MARIO FERRARA.




    Bisogna fare sin d'ora un rilievo storico preciso sulla natura e sulla genesi delle opposizioni al fascismo.

    Di fronte alla marcia su Roma nacquero immediatamente almeno due antifascismi. Il primo era la resistenza dei battuti dal colpo di Stato: l'antifascismo, per intenderci, dei vecchi democratici e liberali che erano stati ministri o ministeriali nel dopo guerra e dei filofascisti delusi.

    L'impostazione di questi oppositori era squisitamente parlamentare. Essi non sentivano una repugnanza di natura verso i vincitori, erano assolutamente alieni dal lavorare per un'altra generazione, provavano sopratutto ira e dispetto perché i loro calcoli erano stati sventati e si vedevano sfuggir di mano il potere. Era uno stato d'animo generale che persino Salandra e Giolitti condividevano.

    Non si trattava di oppositori, ma di disorientati. Nessuno si rendeva ragione della situazione storica che veniva a sboccare nel fascismo, si illudevano di trovarsi di fronte ad un fenomeno passeggero, che si poteva vincere con l'astuzia, con cui era opportuno trattare, collaborare, mettere delle pregiudiziali per negoziarle.

    Uno dei capi dell'opposizione, corteggiato da Mussolini perché si decidesse alla conciliazione, faceva rispondere così: si sciolga la milizia nazionale, si ristabilisca la legalità e poi potremo trattare, collaborare, magari sacrificarci. Una risposta assolutamente mussoliniana. E infatti la critica dei giornali e degli uomini che il nostro Ferrara difende era tutta una critica tecnica, una collaborazione effettiva, che si sforzava di determinare un programma perché Mussolini lo dovesse poi accettare, accettando anche gli uomini momentaneamente banditi.

    Nessuno dei così detti democratici e liberali aveva capito che Mussolini non si poteva legare con i programmi, che egli avrebbe tradito tutti gli accordi, e dominato tutte le competizioni sul terreno dell'astuzia; che occorreva smascherarlo con un'intransigenza feroce preparando con l'esempio una situazione storica in cui l'effettiva lotta politica rendesse impossibili i costumi del paternalismo e le dittature plutocratiche mascherate di dittature personali.

    Questo era il vero antifascismo, era la vera politica dell'opposizione. Ma nessuno ci contraddirà se affermiamo che soltanto la Rivoluzione Liberale seppe porsi sin da principio su questo terreno. Non ci fu nei primi mesi altra opposizione così disperata e inesorabile al regime e a Mussolini. Combattevamo Mussolini come corruttore, prima che come tiranno; il fascismo come tutela paterna prima che come dittatura; non insistemmo sui lamenti per la mancanza della libertà e per la violenza, ma rivolgemmo la nostra polemica contro gli italiani che non resistevano, che si lasciavano addomesticare. Offrimmo una diagnosi della immaturità economica italiana che si accompagna e determina l'immaturità della lotta politica e la scarsa dignità personale.





    Se questi motivi, riguardati dai più come un paradosso, sono ora diventati luoghi comuni, se la Rivoluzione Liberale che voleva essere solo una piccola rivista clandestina di pensiero, è ora letta e discussa dalle opposizioni liberali e democratiche, noi non abbiamo altra colpa che di averli elaborati e ripetuti sino alla noia.

    È vero quindi che molti liberali e democratici di vecchia maniera sono venuti introducendo nell'abitudine e negli schemi antichi qualcuno dei nuovi concetti della rivoluzione liberale ai quali accenna Ferrara.

    È vero che se prima invocavano la libertà per poter patteggiare e giocare Mussolini con l'astuzia, hanno finito per vedere al disopra di questa libertà-metodo una libertà come valore assoluto e dignità umana e principio di lotta politica e di formazione dei partiti.

    Il conservare la diffidenza cui accennava Caramella verso questi nuovi convertiti é perfettamente legittimo. E prima di tutto coerente con le nostre premesse se appena si pensa che il nostro antifascismo ha sempre rifiutato le piccole considerazioni tattiche, i piccoli giochi personali. Se il fascismo é il prodotto di una crisi storica deve rimanere ferma la necessità di una critica e di una scelta tra gli stessi antifascisti. Noi rifiutiamo di far causa comune con tutti i nemici del regime, e non pensiamo di batterlo con le coalizioni e le crisi ministeriali, ma con la soppressione delle radici che lo hanno generato.

    Anche se la nostra dichiarazione potesse venire fraintesa noi insistiamo a dire che combattiamo in Mussolini, ingigantito, il vizio storico che rese possibili in Italia i fenomeni Depretis e Giolitti.

    Certo i vecchi liberali e democratici non possono accettare integralmente questo linguaggio. Per quelli stessi che giovanilmente e ammirevolmente rifiutarono ogni accordo e ogni complicità col fascismo bisogna chiarire che la loro resistenza presente é una liquidazione e una condanna del loro stesso passato ministeriale e trasformistico. Soltanto con questo esame di coscienza noi li possiamo accettare compagni della nostra lotta rivoluzionaria. Non si può trattare della difesa di un passato, del rimpianto di una posizione perduta: non si può trattare di ripetere le vecchie canzoni.

    Il fascismo ha avuto almeno questo merito: di offrire la sintesi, spinta alle ultime interferenze, delle storiche malattie italiane: retorica, cortigianeria, demagogismo, trasformismo. Combattere il fascismo deve voler dire rifare la nostra formazione spirituale, lavorare per le nuove élites e per la nuova rivoluzione. Il fascismo é il legittimo erede della democrazia italiana eternamente ministeriale e conciliante, paurosa delle libere iniziative popolari, oligarchica, parassitaria e paternalistica: Orlando e De Nicola erano nel listone con pieno diritto e in perfetta parità di spirito.

    Quando l'opposizione parla di democrazia e di liberalismo deve sapere che lavora per il futuro, contro corrente; deve sapere che il fascismo é il governo che si merita un'Italia di disoccupati e di parassiti ancora lontana dalle moderne forme di convivenza democratiche e liberali, e che per combatterlo bisogna lavorare per una rivoluzione integrale, dell'economia come delle coscienze.

LA RIVOLUZIONE LIBERALE