UOMINI E IDEEDifesa del Santo UffizioDieci anni or sono la condanna di don Ernesto Buonaiuti avrebbe suscitato molto clamore. Durante un certo periodo il clero che usciva dalle sacrestie e si mescolava più che poteva alla vita comune é stato di moda; i predicatori eran diventati conferenzieri, i teologhi professori, i confessori consiglieri segreti, i parroci campagnuoli ciclisti; e la miglior ambizione d'un sacerdote pareva fosse quella della benevolenza universale, della quotidiana popolarità. Non più di tanto significarono i modernisti italiani - presero infatti a emblema una rinnovata foggia di cappello. A chi augurava una specie di promiscuo abbracciamento, di cordiale indulgenza pacificatrice fra Chiesa e Società che sembravano scisse, il pontificato di Pio X é apparso come un ritorno di barbarie, come una crudele e pazza violenza ai tempi e agli spiriti per opera d'un gretto fanatismo che veniva a offuscare le speranze della nascente luce. Come pochi anni di storia abbian convinto dell'inanità di quei sogni idillici e della resistenza naturale dei mondi che, combaciando, avrebbero dovuto l'uno nell'altro trasformarsi, è problema che può apparir chiaro solo all'anima di Papa Sarto, la quale ormai non viene più accusata se non nel segreto di qualche sua vittima tuttora inquieta. La condanna d'oggi, in tempo di raccolta tristezza ma d'interna pace per la Chiesa, é forse informata da un senso più sereno. Non c'è cattolico che le si ribelli, non c'è cattolico che si senta capace di giudicare secondo il cuore suo la suprema e legittima autorità. Si può compatire il Buonaiuti e comprenderlo. Ma non parteggiare per lui, quasi in nome del suo caso si avesse a giudicare della maggiore o minore cristianità della Chiesa, quasi si potesse farlo simbolo d'una rivolta intima ai poteri che si ritengono sacri, e testo di rettitudine o di giustizia. Ma la condanna che deve servire d'ammonimento, trascende la persona del colpito e si rivolge a tutte le coscienze con elementare chiarezza. È condannato il superficiale atteggiamento di quanti credono a una casuale e esterna riprova data dalle ricerche e ipotesi scientifiche alle verità rivelate, e anche solo la curiosità della ricerca che si scompagni dal sentimento della necessità della fede. È condannata quell'apologetica di cui ognuno si sentirebbe capace, quell'attiva e indiscreta propaganda fuori dalle giuste sedi e dalle debite forme che si riduce a sminuzzare e a falsificare per troppo precisi e meschini adattamenti il dogma, a sbriciolare l'organamento logico e la potente struttura della religione. È condannato lo spirito di propaganda e di missione che infatua le persone più loquaci e meno attente e fa scambiare la soddisfazione dell'amor proprio con la conquista delle anime. È condannata l'accettazione senza ritegno e senza riserve delle esigenze temporali, per cui si é presi e sbattuti dall'aria dominante e - come dice quest'esempio - oggi, s'immettono nella propria fede, quasi a legittimarla, espressioni e persuasioni sociali, attivistiche, faustiane. Chi non ha molte volte dubitato, chi non ha tante volte sacrificato a idoli vani, a iddii incerti, griderà allo scandalo o sarà preso da sgomento. Ma la Chiesa é fatta per rassicurare, per assolvere i fedeli. Se riaccoglierà don Ernesto Buonaiuti nel suo seno, speriamo che lo accolga persuaso della virtù del silenzio e della profonda necessità degli esempi. Tra i quali primeggia la rinuncia personale e la sottomissione. Non c'è punto bisogno che il professor Buonaiuti vesta l'abito talare; ma non c'è bisogno neppure che il sacerdote ci parli, in un'aula della Sapienza, di Ugo da San Vittore. U. M. DI L.
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