DOPO LE ELEZIONI

    Nel pensiero dell'on. Mussolini le elezioni dovevano essere la prova sperimentale dei suoi sistemi totalitari. Per giungere a risultati di plebiscito fu predisposto il congegno elettorale. Il periodo della preparazione della lista nazionale attestò in grado decisivo le attitudini dell'addomesticatore.

    L'on. Mussolini aveva due vie logiche da scegliere: mantenere in vita la vecchia Camera che, in sostanza, era una Camera giolittiana disposta a servire (riproducendo la situazione del '15) perché già addomesticata, oppure fare le elezioni di partito, con una lista tutta fascista, dando pieni poteri a Giunta e a De Bono. Naturalmente non scelse né l'una via né l'altra e diede i pieni poteri a Giunta e a De Bono per far riuscire non una lista fascista ma una lista di blocco. Che De Nicola, Orlando, Salandra debbano la rielezione al manganello, che con tutti i loro discorsi di costituzionalità e di democrazia rimangano complici della pressione fascista, ecco il capolavoro del mussolinismo.

    Una opposizione seria dovrebbe capire che questo é il punto vulnerabile del regime. Il mussolinismo é più violento del fascismo, é più illegale perché si nasconde dietro la legalità delle forme. Se il fascismo fosse soltanto dittatura si farebbe presto a liquidarlo con le barricate: ma la sua forza é specialmente presidiata dall'esistenza di un consenso. Ora Mussolini deve la forza a Farinacci ma il consenso alla propria ambiguità.

    Le elezioni di Salerno sono un fatto grave non tanto perché il governo vi abbia esercitato violenze inaudite quanto perché i seguaci dell'on. Amendola, che in provincia hanno la maggioranza, le subirono. Elettori addestrati alla lotta politica sanno opporre violenza a violenza, difendere con la forza la propria dignità. Nel 1919 a Bitonto e a Molfetta i salveminiani risposero alla pressione ammazzando Ungaro Nicola, il capo dei mazzieri del'13.





    Ma se Giovanni Amendola scrivesse oggi Il ministro della mala vita non ne otterrebbe probabilmente neanche un successo librario. Perché la violenza di Giolitti era un fatto eccezionale e piccante, ridotto ad alcuni casi di vendette personali, significative di una qualità politica deteriore ma quasi indispensabile di cui Giolitti non mancava: la capacità di odiare. Le violenze di Giolitti riguardano pochi nomi: Giretti, Salvemini, Galimberti. Elencare le violenze mussoliniane invece ha pochissima importanza perché esse sono un sistema del regime: implicano responsabilità totali, derivano dalla complicità dei cittadini, tant'è vero che sono localizzate in una zona molto più vasta. La pratica della non resistenza al male é una malattia non meno grave del politicantismo nel nostro paese.

    Il 70 per cento al governo era assicurato una volta che Mussolini era riuscito a fabbricare il listone con le lusinghe, con le minaccie, con la corruzione, creando l'ossessione del dogma della patria e raccogliendo la eredità di tutti i ministerialismi.

    Le velleità di rinnovamento del Mezzogiorno coltivate da alcuni fascisti come Padovani e Lanzillo non valsero a nulla contro il trasformismo di Mussolini, pronto ad accettare tutti i gruppi padroni delle situazioni locali. La funzione di un fascismo coraggioso nel Sud sarebbe stata di rifiutare tutte le alleanze, di combattere tutte le posizioni elettorali del giolittismo, di creare con uno stato d'animo di palingenesi inisteriale, un'atmosfera di ribellione contro le cricche di Colosimo, di Fera e di Orlando. Invece i comm. Maurizio Maraviglia e Michele Bianchi non aspiravano che a sostituirsi a Colosimo nell'ufficio di compari e di paraninfi e a Fera, come distributori di impieghi; temettero (gli antiparlamentari!) che il programma intransigente fosse per dare al fascismo non più che il 10 per cento degli elettori e finirono per affidarsi al senso e alle manovre del Duce-supergiolitti. Così il metodo di Mussolini fu: mazzieri e patto Gentiloni, lo spettro della violenza nell'apparente pacificazione, e la pratica quotidiana dei blocchi e delle corruzioni.





    Il risultato più evidente della vittoria ministeriale dunque é la sconfitta del fascismo. La marcia su Roma é stata per nulla. Le elezioni del'24 sono identiche a quelle del'21: allora il fascismo fu utilizzato nel blocco nazionale per creare una maggioranza Giolitti: lo stesso programma, a tre anni di distanza, riesce senza incertezze a Mussolini, scolaro più abile del maestro. Nel'21 come nel'24 le camicie nere fanno da mazzieri, i combattenti e le medaglie d'oro lavorano come muli di servizio del dogma della patria, la Confederazione dell'Industria fa le spese a patto che Olivetti, Mazzini, Benni, ecc. diventino insostituibili presso il dittatore. La proporzionale sventò il piano di Giolitti come lo avrebbe turbato a Mussolini: il sistema Acerbo ha compiuto il quadro, e l'avrebbe compiuto, si badi, in modo analogo il collegio uninominale che dà parimenti gli elettori in mano al governo. Si insiste su questo punto perché vogliamo che d'or innanzi una delle pregiudiziali di qualunque opposizione seria sia la richiesta della proporzionale.

    Tenendo presente l'ultima esperienza la storia d'Italia si vede sempre più rettilinea: una dittatura economica di ceti plutocratici, non abbastanza forte per diventare dittatura politica (l'ultima volta che lo tentò, con il fascismo, non fu più fortunata delle altre), e tuttavia ministeriale sempre perché sempre padrona del governo attraverso ambigue manovre; in politica per l'immaturità generale e per il peso inerte del Sud una dittatura demagogica, burocratica e paterna che controlla i cittadini persino nei mezzi di sussistenza e può costringerli pacificamente a essere ministeriali. La proporzionale portando alla politica le masse socialiste e popolari segnava il principio del tramonto delle due dittature. Il solo effetto sensibile della marcia su Roma é stato l'abolizione della proporzionale. Così la deviazione del dopo-guerra é stata corretta e l'Italia torna in minorità politica.

    Quando diciamo che Mussolini é il nuovo Giolitti, più abile e meno serio, vogliamo indicare questa situazione storica, in cui gli effetti della immaturità politica si complicano per la immaturità economica. Perciò la base della dittatura giolittiana come di quella mussoliniana é nell'Italia centrale e meridionale, dove il fascismo era ancora infante. E per l'appunto si può dire che le elezioni rappresentano la sconfitta del fascismo e la vittoria di Mussolini.





    Il fascismo é stato sconfitto in Italia settentrionale dalle opposizioni (specialmente socialcomunista e popolare). In Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Venezia Giulia, le opposizioni prevalgono per 70.000 voti (più di 1.400.000). Per Mussolini sono invece propizi i venti africani. Mussolini vince nel sud e nel centro con 3.350.000 voti circa contro meno di 1.100.000. Basta la più generica geografia per spiegare la nostra politica.

    Tuttavia contando i voti dei partiti di opposizione, chi ha creduto come noi a quel principio di lotta politica che si avvertì nel'19 ha il diritto di accorgersi che non fu un illuso e può interpretare il risultato delle elezioni come la prova che esiste in Italia una minoranza aristocratica degna di chiamarsi antifascista. Gli operai del Nord, hanno saputo battersi. Al posto di Bombacci hanno mandato in parlamento Gramsci.

    Le parole che scrivemmo nel numero del 12 febbraio scorso non sono state smentite.

    "L'idea della diserzione di fronte alle violenze fasciste ci sembra disonorevole. I partiti che hanno qualche serietà e qualche tradizione devono scendere in campo, ognuno al suo posto, forti della propria intransigenza, non per conquistare dei seggi, ma per mostrarsi degni di combattere. Niente leghe, niente complicità. E' l'ora del bilancio, dell'esame di coscienza...

    A Montecitorio anche queste scarse pattuglie potranno acquistare il valore di avanguardie del futuro se sapranno non patteggiare con l'addomesticatore. I primi oppositori di Napoleone III furono cinque. La lotta contro Mussolini non sarà meno lunga né meno difficile. Gli uomini di cinquant'anni che vogliono realizzare devono scoprire il loro giuoco, inserirsi nella storia, diventare mussoliniani.

    L'antifascismo é una questione di aristocrazia di nobiltà, di stile, é una dignità che si acquista con le rinuncie e coi sacrifici. Solo le minoranze provate e perseguitate hanno dei buoni diritti."





    È chiaro che i partiti proletari e il partito popolare impostarono su questa pregiudiziale la lotta: ossia seppero combattere senza illudersi di realizzare, per sola fedeltà alle promesse. Che esista ancora un'Italia continentale ed europea, che Mussolini non sia riuscito a renderci tutti saraceni é un risultato positivo.

    Purché i partiti resistano: non saremo noi a contestare al fascismo la sua maggioranza. Noi ci accontentiamo modestamente di un futuro che forse non vedremo.

    Le elezioni ci danno un fascismo addomesticato che non era nei nostri voti. Mussolini democratico e indulgente sarà un disastro per la nostra educazione politica: ma, tanto é l'Italia non é paese di tiranni se non nello stile più paesano e giocondo. Un vantaggio dalla faccia bonaria di Mussolini lo avremo per l'adesione a lui di tutti i falsi oppositori, di tutti gli antifascisti conservatori, disposti a servire durando l'ordine e la costituzione. L'opposizione che chiedeva al fascismo di essere legale e costituzionale ci ha sempre fatto ridere. Tanto meglio se invece di averla tra i falsi amici la potremo classificare tra gli avversari. Noi non fummo mai così stolti da contare la monarchia tra le forze dell'antifascismo. Ora che il mussolinismo non si potrà più distinguere dalla monarchia una delle chiarificazioni indispensabili é avvenuta.

    Se ci avviamo verso l'idillio e verso la pacificazione, se stiamo per assistere al ripetersi della tranquillità del decennio giolittiano (con dannunzianismo e psicosi bellica in peggio) noi vogliamo notare già mentre l'era nuova si apre che non crediamo a questa pace, che ci viene come soppressione della lotta politica.

    Il compito delle opposizioni nel prossimo decennio - mentre il movimento operaio si verrà maturando - deve essere quello di esasperare la lotta, di non venir meno alla intransigenza, di provocare il regime senza concedergli tregua. Bisogna avere il coraggio di non collaborare neanche alla Camera con la critica, magari a costo di iniziare un nuovo implacabile ostruzionismo.

    L'opposizione non ha il dovere di pensare in Parlamento all'ordine e alla ricostruzione. Per la ricostruzione la via rettilinea é un'altra: la conquista dei comuni con lo scopo di creare, sia pure a lunga scadenza, il dissidio tra i poteri locali e il centro. Ecco un programma di lavoro per tutta una generazione.

p. g.