CONTRIBUTO ALLA STORIA D'ITALIALa Consociazione Repubblicana del Circondario di Lugo (Romagna) pubblica un ebdomadario: La Vedetta. C'è dentro tutto: il contrassegno elettorale del Partito Repubblicano, la vanga e l'edera, il pellegrinaggio alla tomba dell'apostolo, le biografie di circostanza dei candidati del partito. Vi si dichiara che "la monarchia non é degna di reggere l'Italia". Fermata così, in prima pagina, la mole dei principii inconcussi, si passa, in seconda pagina, alla mozione degli affetti. La natura romagnola, ancora corrusca dello splendore satanesco delle ribellioni magnanime, diventa bonaria e pacioccona. I testi mazziniani sono sostituiti con la cuciniera dell'Artusi. Il foglio repubblicano pubblica con compiacenza un resoconto della attività dei romagnoli di Milano. Grandi cose: i romagnoli di Milano non sono meno di diecimila. "Essi desideravano da un pezzo di incontrarsi, di fraternizzare in un luogo loro, caratterizzato da native impronte folkloristiche". L'hanno, finalmente, trovato: Corso Porta Romana, 42. Ed ecco il grave e rebarbativo organo della Consociazione Repubblicana del Circondario di Lugo descrivere la intima piacevolezza dei trattenimenti dei romagnoli di Milano: "Certe serate che si annunciano sobrie e serene si tramutano spontaneamente in riti pantagruelici, proprio nell'ora in cui la metropoli sonnecchia, i tranvai riposano nelle rimesse ed i passanti si fanno radi per le vie. Sono, appunto, le due di notte: ora giusta per il commiato. Ma un certo quale appetito stuzzica i soci a ripensare alle patrie tagliatelle fatte in casa. Siccome il cuoco del circolo é un forlivese puro sangue e un cuore grande così, ecco che egli insinua nella conversazione questa proposta: "Se loro signori desiderano assaggiare le tagliatelle, io in mezz'ora faccio la "sfoglia": fra tre quarti d'ora la minestra é servita in tavola". I soci rispondono con un evviva unanime e il banchetto viene apprestato, non senza invidia da parte degli assenti che all'indomani reclamano di gustare alla lor volta il festino. In conseguenza viene indetta un'altra cena per la quale si prenotano 30 o 40 buongustai, mentre i partecipanti, all'ultimo momento, risultano il doppio, con grave imbarazzo del cuoco e con disappunto dei solidi mangiatori che di fronte all'inatteso aumento dei commensali, si vedono diminuire le porzioni. Poche sere fa intorno alla tavolata del sodalizio si raccolsero 120 mangiatori, uno più fiero dell'altro e tutti schietti, fragorosi come istrumenti musicali. Non parlavano che il vernacolo, non mangiavano e bevevano che specialità della loro regione. Tra un boccone e l'altro si lanciavano frizzi con i vecchi soprannomi di scuola, con i modi di dire in voga a Ravenna, a Forlì, a Faenza, a Cesena, a Lugo. Le famose burle di un tempo tornavano a galla nella conversazione. Bandito ogni spunto politico. Non il più pallido screzio. Tutti amiconi con le braccia al collo. Grazie ad una mirabile suggestione collettiva, a poco a poco scomparivano. Pareva che i quaidretti panoramici della regione comune, sparsi per le pareti della sala, si ampliassero a divenire reali. I commensali si illudevano di rivedere in tutta la loro vivezza la Pineta che stende le ali verdi verso la spiaggia di porto Corsini, la bruna e snella torre di Forlì, il porticato pensile di Faenza, la fortezza di Cesena, i colli di Bertinoro, le sinuosità del Lamone, la Rocca di Lugo. Nel mezzo di queste visioni, campeggia l'emblema della Romagna, dipinto sull'ampia cappa del focolare: la cavêa dagli anëll, la ferrigna cavea conficcata sul timone per fermare il giogo dei buoi. Intorno al simbolo brilla a lettere d'oro il verso pascoliano: "Romagna solatia, dolce paese...".Il trapasso è rapido: dai severi principii politici che dividono, alla sfoglia che riconcilia, alla Romagna solatia che capita a proposito per temperare, di un raggio di poesia, i rutti di una gagliarda digestione. Probabilmente, i soci del Circolo di Porta Romana, in quei momenti, con le tagliatelle davanti, o gli agnellotti all'uso di Romagna, hanno - come il loro cuoco - "un cuore grande così": se fascisti, acclamano socio d'onore l'on. Bergamo; se repubblicani, sono pronti ad offrire la presidenza onoraria all'onorevole Mussolini, Sono "tutti amiconi con le braccia al collo". Tutti di Forlimpopoli, tutti fratelli nell'adempiere al rito sugoso della grande "magnazza". Ma i bravi romagnoli di Milano non dimenticano ciò che la patria attende da loro. Sono cittadini italiani, boia d'una Madona, e faranno tutti il loro dovere, il sei aprile: ognuno ci ha le sue idee, la sua fede di ribelle, andranno a votare. Lo annuncia l'organo della Consociazione Repubblicana del Circondario di Lugo, con queste parole: "In occasione delle prossime elezioni, la famiglia romagnola si spopolerà un poco: molti suoi membri si recheranno alle loro città per esercitare il diritto di voto. Per l'indomani, 7 aprile, tutti i romagnoli di Milano hanno già fissato di trovarsi a colazione in un ritrovo di Cesena. Alla sera via per Cesenatico, sul mare, a cenare col pesce fresco. Poi torneranno alla città di adozione carichi di specialità indigene e riprenderanno il ciclo delle visite reciproche". Voi lo vedete: tutto serve, per fare la "magnazza". La lotta politica in Romagna; colazione a Cesena, migliaccio di maiale; cena a Cesenatico, filetto di sogliola al Sangiovese, o calamaretti in gratella: e poi cibarie per le ribotte a Milano. Negli intermezzi, giuramenti sulla fede dell'Apostolo che dorme a Staglieno o sulla grandezza del ministro che regge e ricostruisce l'Italia: con qualche coltellata (ma molta meno di quello che si creda comunemente). Condite tutto di romanze verdiane e di bestemmie, e servite caldo. È il piatto di stagione. G. A.
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