UOMINI E IDEE
Libero Tancredi
Massimo Rocca non è mai stato anarchico. Fu individualista; il che non è la stessa cosa. Di individualisti ve ne sono di infinite specie, ma si possono ridurre a due categorie tipiche. Vi sono quelli che sbraitano "Me ne strafotto dell'umanità". "Il mio Io è l'Unico" ecc. e si logorano i polmoni e fanno della fame, mascherando con pose neroniane e con rimasticature nietzschiane e stirneriane, un esasperante idealismo e un cuore tenero. Costoro sono, in fondo, brava gente. Capace di pagarti la cena quando sei in bolletta. Incapaci di far la spia o di rubarti il paletot quando li ospiti. L'altra categoria è quella degli arrivisti, borghesi nel senso peggiore della parola. Poveri, soffocati dalla loro mediocrità, pieni di voglia di vivere, finiscono ladri, spie o giornalisti greppaioli. O finiscono padroni, commendatori, uomini di governo. Libero Tancredi appartiene a questa categoria. È stato mantenuto anni ed anni dagli anarchici, come "intellettuale". Con Il Novatore fece il revisionista, in America. Attaccò platealmente gli esponenti più integri e coerenti dell'anarchismo, svisò fatti ed idee con l'astuzia di uno Scarfoglio di provincia. Sempre in bolletta, trovò ospitalità tra gli anarchici, sempre indulgenti. Ma finì per stancare anche loro. Perché faceva l'individualista anche quando gli pagavano il pranzo. Questo fu il colmo.
Una volta, ad esempio, ad un anarchico romano che da parecchi giorni gli pagava i pasti in trattoria, Libero Tancredi faceva quotidianamente le sue prediche stirneriane, ripetendo: "Tu mi paghi il pranzo perché sei debole. Io sono forte..." L'anarchico ascoltava, con deferenza. Perché un uomo che ha fame non va preso alla lettera. Ma un giorno dichiarò all'ospite: "Mi hai convinto. Voglio diventare forte anche io". E aggiunse, rivolgendosi al cameriere che porgeva il conto : "Per il signore fai un conto a parte". Tancredi vide che l'anarchismo cominciava a ribellarsi all'anarchia. E cercò di rimpannucciarsi come pubblicista. Ma la sua cultura di manualetti Sonzogno non gli apriva molte strade né tali da scorazzarvi da dominatore. Tancredi, libicista, nel 1914, tentava di ritornare in grembo all'anarchismo. Vestendo il saio del pentito e con un ramicello d'olivo nella destra, rea di tutte le eterodossie possibili ed immaginabili, tentò l'ingresso al Congresso anarchico di Firenze che, poi, non si tenne. Il 31 luglio di quell'anno scriveva al Comitato ordinatore:
CASA EDITRICE SONZOGNO 31 Luglio 1914. Ore 9
14 - VIA PASQUIROLO - 14
MILANO
LA SCIENZA PER TUTTI
Al Comitato ordinatore del Congresso di Firenze.
Ho esitato sinora a scrivere la presente, per un'infinità di motivi che voi comprenderete. Veramente l'annunzio stampato su "Volontà" secondo cui potevano prendere parte tutti coloro che accettano la rivoluzione contro lo Stato e il capitalismo - e io l'ho sempre accettata "contro tutte le forme di sfruttamento e di autorità!" - mi apriva le porte.
Ma c'è voluto l'interessamento di amici - fra cui Mario Gioda - per persuadermi ad intervenire. Essi sperano che il congresso possa servire anche di spiegazione fra compagni e di mezzo di pacificazione. Lo credo anch'io, perché da vicino ci si comprende meglio e si misurano meglio le parole; del resto, il motivo della mia animosità é sempre stato quello di non volermi voi - sin dal 1906 - considerare come compagno, negandomi tutti i diritti, pur pretendendo i doveri.
Comunque io sono pronto ad intervenire, e stendere la mano a tutti coloro che vorranno stringerla, al fine di perdonare e farsi perdonare, ponendo una pietra su tutte le questioni personali, e con promessa di non risollevarle mai più. Soltanto nel caso che voi crediate che la pacificazione vada a mio favore, io sono pronto a sottomettermi ad un ampio giury, che esamini i miei torti e le mie ragioni.
Credo che l'ora attuale non permetta di entrare, anche volendo, nel campo anarchico con secondi fini. Del resto, ho una posizione che mi pone al disopra d'ogni sospetto d'arrivismo: sono direttore della rivista "La Scienza per Tutti" con 250 lire mensili. Mario Gioda mi avvisa che furono accettati due suoi argomenti da discutere. Gli anarchici e i sindacati, guerra e militarismo. Mi propongo di interloquire sul primo, e prego di lasciare a me la relazione sul secondo. La mia tesi è meno eterodossa di quanto credete, ne avrete trovato dei campioni negli articoli dell'Avanti! firmati Altavilla o Mario Guidi, che sono miei. Forse ne comparirà uno in questi giorni, sulla guerra vicina che forse manderà in aria tutto. Ma speriamo di no".
Così spero pure di spiegarmi fraternamente su Tripoli; a proposito di cui io sono condannato per quello che non ho mai detto, o meglio che mi ha fatto dire il delegato Balestrazzi e che io ho smentito più volte, senza che nessuno se ne accorgesse.
Manderò entro oggi il franco d'adesione, perché rappresento solo me stesso.
Non vi nascondo che colla presente ho voluto dimostrare a quei compagni - Malatesta compreso - che vorrebbero la fine di una lotta ormai decennale che il responsabile non ne sono io. Volete finirla per sempre? Ve ne offro l'occasione. Altrimenti favorite dichiararlo in pubblico su "Volontà". La presente vi sarà trasmessa da Gioda : non arriverà entro oggi ma non è nella dilazione di un giorno che si può fondare un pretesto di ripulsa. Comunque, il vaglia di 1 lira vi giungerà spero a tempo.
Saluti cordiali. Vostro Massimo Rocca.
(Libero Tancredi).
Libero Tancredi, respinto dagli anarchici, andò alla "Perseveranza" e cercò di diventare Massimo Rocca. Ma è rimasto Libero Tancredi. E gli anarchici hanno avuto la soddisfazione di vederlo a capo dei consigli di competenza del Governo fascista, commendatore, amicone di Mussolini. Una liquidazione maggiore non la potevano sperare.
C. B.
Gentile contro Gentile
Taluno di noi, che aveva passati i vent'anni quando scoppiò la guerra, può ormai considerarsi tra i vecchi: troppo tardi, infatti, e come fuor di stagione ha conosciuto "giovinezza, giovinezza!". Gli sia dunque concessa la consolazione dei vecchi: quella di ricordare.
Ricordo che studiavo allora, e con passione, filosofia, e che Croce e Gentile furono miei maestri veri, in contropposto ai maestri d'ufficio, che dalle cattedre liceali ed universitarie ostentavano di ignorare codesti scocciatori e demolitori di vecchi idoli. E ricordo d'avere raccolto dal Gentile questo insegnamento: che non ha senso il distinguere in "materie" ciò che si insegna, ma che si insegna filosofia, si educa cioè a pensare filosoficamente non solo nelle lezioni intitolate "di filosofia", ma in quelle di storia, di lettere, in tutte, se chi insegna ha spirito filosofico; e, se no, non si trova filosofia neanche nelle "ore" cosidette di filosofia.
Dicevano, Croce e Gentile: filosofia è storia, filosofia è pensiero, filosofia è metodo. Perciò non si può, infine, pensare - non si può esser uomini - se non si ha una certa, più o meno svolta, più o meno chiara filosofia. Quindi la famosa negazione della laicità intesa come neutralità vuota, indifferente... E così il maestro - concludeva il Gentile - avrà sempre una sua fede, una sua filosofia, che sarà il fuoco ed il centro del suo insegnamento.
Oggi, che l'insegnamento della dottrina cattolica è stato rigidamente introdotto, da Gentile ministro della P. I. nelle scuole elementari, non mi stupisce udire i cattolici lamentare che il Gentile non sia abbastanza ortodosso, o che limiti troppo timidamente le sue innovazioni ortodosse alle scuole elementari. Quello che mi stupisce è non udire alcuno dei tanti e tanto verbosi gentiliani, moltiplicatisi in questi ultimi anni come le mosche, non udirne uno solo a svolgere o almeno rimasticare more solito le teorie del maestro, e dire : - Ma come può bastare che ci sia un ortodosso maestro di religione, che dà lezione nelle ore dedicate alla religione, mentre in tutte le altre ore, parlando di storia, d'italiano, di diritti e doveri, di tutto lo scibile, il maestro potrà essere uomo di una sua fede qualsiasi, anche ortodossa? O dove va a finire l'unità sistematica del pensiero e dello spirito? Se l'insegnante di religione deve essere chierico, e timbrato e vidimato in tutte le debite forme dal Vescovo, non capisco perché tutti i maestri non debbano essere altrettanto autenticamente ortodossi. Risorge dunque la superatissima distinzione tra le "materie" d'insegnamento, filosofiche e non filosofiche, formali e materiali, o - Dio ne scampi! - addirittura tra il Pensare e il Pensato?
Io, se fossi Gentile, non saprei che rispondere a un così incomodo discepolo, e borbotterei fra i denti: - Io non sapeva che tu laico fossi.
La faccenda è che noi, gentiliani avanti lettera, gentiliani non fanatici, gentiliani in partibus infidelium, gentiliani senza pappagallismo e con indipendenza d'idee, povera gente che ebbe rapporti del tutto intellettuali con i libri del filosofo Giovanni Gentile, vissuto in tempi anteriori all'era fascista, e non rapporti di carriera e di tessera con S. E. il Ministro Gentile, noi poveri minchioni eravamo, siamo forse, saremo se ci pare, seguaci di certe idee che Gentile professò; noi, visibilmente distinguendo la pratica utilitaria e professionale dalle filosofiche speculazioni (in senso latino, etimologico, contemplativo) siamo fedeli a certe idee, che possono chiamarsi gentiliane o no, poco ci importa. Siamo più papisti del papa! E perciò, commenterebbe Giusti, bisogna darci l'arsenico!
Un filosofo non è un politico... E se, riconoscendo questa antinomia, questa incompatibilità di carattere, gridassimo: "Bravo, il politico Gentile!"? Ma sapete bene che quell'opinione... inattuale la professava Benedetto Croce, filosofastro attaccato a quelle distinzioni che Gentile combatte, come un residuo d'astrattismo, col suo attualismo totale.
LUIGI EMERY.
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