Inchiesta sull'industria italiana

L'industria laniera nel Biellese

    La industria laniera biellese rappresenta un gruppo così omogeneo nell'insieme dell'industria italiana, ha caratteri proprii talmente spiccati e d'altra parte vive così staccata dalle altre industrie che esaminarne i caratteri economici e, vorrei dire, psicologici può essere interessante anche per una ricerca di carattere storico-politico.

Le origini

    L'industria sorse nelle piccole vallate degli affluenti della Sesia. Era una regione industre da gran tempo, sufficientemente ricca, che aveva coltivato prima la industria della carta e quella tessile della seta, poi aveva conosciuto ferriere e produzioni di armi. L'industria della lana vi si mantenne per molto tempo casalinga e rudimentale sino a che, ora é un secolo, un piccolo industriale di Valle Mosso, il Pietro Sella, importava tra molte difficoltà e incredulità i primi telai meccanici dall'Inghilterra ed alcune macchine per filare la lana cardata.

    L'industria sorse così nella Valle Mosso, si diffuse nelle vallate circostanti, fu per opera di Maurizio Sella, nipote di Pietro e padre di Quintino Sella, portata nella valle del Cervo ove si trova il capoluogo del circondario. Fu industria dapprima domestica, ma si rafforzò colla pazienza e colla tenacia di piccoli industriali, con uno spirito di risparmio spinto sino al sacrificio, col continuo investimento dei capitali guadagnati nell'industria che li aveva prodotti, sicché cacciò dalla valle del Cervo, dello Strona, del Crosa, dell'Elvo, mulini, cartiere, filande, ferriere, impiegò le acque delle alpi nelle tintorie nei lavaggi, i salti dei torrenti per muovere macchine, frastagliò i colli di lunghe pezze di panno poste a tendere e ad asciugare, elevò alti camini fumanti sull'altopiano che degrada verso la nebbia della pianura.

    Ed un ritmo più intenso fu dato all'industria dalla introduzione della lavorazione di lana pettinata fatta, dopo molti insuccessi, da profughi del Lombardo-Veneto tra il 1850-1855.





Lo sviluppo

    Così il Biellese aveva trovato la sua industria. Paese fittamente popolato e dove la popolazione esuberante per quello che la poca terra coltivabile poteva rendere aveva dovuto per secoli emigrare ogni inverno verso i paesi del piano, l'industria della lana che sfruttava condizioni locali non facilmente ottenibili altrove (acque di assoluta purezza, torrenti a regime abbastanza regolare) si adattava ottimamente ad esso. Ciò spiega perché il gruppo biellese della industria laniera, il più giovane tra i gruppi italiani, sorpassasse presto per importanza e novità di impianti, per capitale e mano d'opera impiegati, altre regioni ove l'industria della lana aveva sede da secoli e che più si attardarono prima di rinnovare completamente il macchinario ed i metodi di lavoro.

    Certo lo sviluppo non fu continuo; ebbe arresti e crisi anche gravi, la industria del pettinato parve imporsi nettamente a quella del cardato, poi negli ultimi anni questa si riebbe modificando in parte le sue lavorazioni, la guerra infine rafforzò la posizione economica della industria biellese che alla vigilia vedeva profilarsi all'orizzonte i segni di una grave crisi.

    Per l'industria laniera biellese, meno appariscente forse di altre industrie in cui negli anni scorsi si volsero gli occhi dei catoni italiani in cerca di inchieste, ma non meno largamente beneficata dal periodo bellico, la guerra volle dire produzione facile, abbondante, lavoro in pieno con mercato già assicurato, e rimunerativo aumento continuo di prezzi degli stok in magazzino. Abbandonate le produzioni fini dalla lavorazione difficile e costosa, tutti i fusi del biellese prillarono sotto il grosso filato della tinta uniforme, tutti i telai batterono isocroni il grossolano panno di guerra, le acque di tutti i fiumi biellesi ove scaricano i canali delle tintorie si tinsero tutte di verde.





La potenzialità attuale

    Nel biellese sono ora concentrati (sono cifre ufficiali del 1918 ma per le ragioni che diremo attendibili ancora oggi) i due quinti dell'industria laniera italiana. Su 800 opifici 240, su 62 mila operai impiegati nell'industria circa 28.000, su 44 mila HP 17.500. Tale concentrazione industriale se pone in via assoluta il Biellese alla testa dei gruppi lanieri italiani non é però tale da far considerare il Biellese come il gruppo più moderato ed organico. Infatti il gruppo vicentino prima della guerra possedendo soltanto 28 stabilimenti vi concentrava quasi 10 mila operai (il 15% degli operai di tutta Italia) con un numero medio di operai di 380 per stabilimento, mentre nel Biellese tale numero scendeva a 105. Anche la percentuale dei fusi di pettinato sui fusi totali (il pettinato é in genere lavorazione più moderna e più fine di quella del cardato) era maggiore nel Vicentino che nel Biellese e le notizie relative all'impianto di motori per gruppi di macchine confermavano esse pure la maggiore modernità degli impianti veneti rispetto a quelli piemontesi.





Caratteristiche del gruppo biellese

    Tale regresso relativo, non adeguato alla floridezza finanziaria della industria, é dovuto in gran parte al fatto che l'industria biellese non ha saputo fino ad ora assurgere alle forme ed alla mentalità della grande industria. Sui 244 stabilimenti biellesi ve ne sono 125 i quali impiegano meno di 50 operai ciascuno, avendo perciò la dimensione della piccola industria, e soltanto 7 stabilimenti impiegano più di 500 operai. Il predominio della piccola e media industria rispetto alle imprese di dimensioni maggiori non é punto dovuto a condizioni speciali dell'industria che raggiunga troppo presto il limite dei costi crescenti (all'estero e specie in America la grande industria laniera é la sola padrona del mercato), ma al fatto che nel Biellese l'impresa industriale non ha superato ancora la forma di organizzazione famigliare. Quasi tutte le ditte, anche le maggiori, sono gestite sotto forma di società collettive o di accomandite semplici nelle quali é investito tutto il patrimonio di una famiglia, e di quella sola, ed in una industria nella quale il capitale impiegato può calcolarsi almeno in 400 milioni il numero di Società Anonime non giunge a 10, nessuna delle quali vede quotate in borsa le proprie azioni! Una tale organizzazione, primitiva dal punto di vista giuridico, senza quasi legami colle banche e con le altre industrie ha mantenuto all'industria biellese un carattere severo ed alieno da competizioni politiche e da investimenti pericolosi; ma può rappresentare un grave pericolo in un momento di crisi perché essa non può contare che sulle proprie forze per superarla.

    L'industriale biellese é rimasto ancora l'uomo che vive nella fabbrica e per la fabbrica, che è cresciuto bambino in mezzo alle macchine e che da quei giuochi ha appreso il suo corredo tecnico, é rimasto un po' sempre colla mentalità del montanaro inurbato che diffida degli avvocati, pericolosi azzeccagarbugli, degli ingegneri, teorici presuntuosi, dei chimici, complicati incompetenti, che erge, contro la teorica competenza di tutti, il suo passato di lavoratore senza tregua che unisce alla lunga pratica l'interesse delle cose proprie. Non vi é, si può dire, industriale biellese che non abbia visto sorgere ed ingrandire la fabbrica che é sua, che delle macchine con cui lavora non abbia assistito al montaggio, non abbia seguito, aspettante e pensieroso, le prime prove di rendimento.

    Ora tutte queste qualità hanno moltissimo giovato per far sorgere l'industria laniera biellese, ma é da chiedersi se esse bastino a mantenerla, ancor più se esse possano bastare per il futuro.





L'industriale biellese

    Nella sua fabbrica già sorta, nella fabbrica già approntata per il lavoro l'industriale biellese é nel suo regno. Si sente tanto legato alla sua fabbrica da non staccarsene neppure quando, ricco, lo potrebbe facilmente. Esso può essere rimasto ancora un uomo semplice e laborioso del quale sarebbe difficile cercare la coscienza politica o vaste direttive economiche, ma non ha certo portato in giro alterigia pescecanesca per le stazioni balneari di lusso e per gli hotels dei luoghi climatici. Non ha abbandonato colla ricchezza né abitudini severe di lavoro, né semplicità di vita, dirige la sua fabbrica che ha oggi 100 telai colla stessa tenacia e nello steso modo col quale suo padre guidava 4 telai in uno stanzone senza luce sotto la spinta d'una roggia da mulino. Persino la distribuzione topografica dell'industria sembra reagire ad ogni pensiero di accentramento e di concentrazione. Si arrampicano pei colli, si adagiano in pianura, lungi da stazioni ferroviarie, serviti da strade non facili, piccoli paesini di case basse che si raccolgono intorno ai camini di una fabbrica come nel medio evo i borghi campestri si stringevano intorno ad un castello feudale o ad un campanile di pieve; si sente in questi paesi il ritmo vivace proprio delle terre che conoscono solo la vita dell'industria, ma sembra di avere dinnanzi cellule, vivissime e ricchissime cellule, ma disorganizzate cellule di una grande industria. Si ha l'impressione che l'organizzazione attuale abbia dato tutto quello che può dare, che, attraverso gli sforzi di tre generazioni, abbia spinto il sistema della media industria al massimo rendimento, tanto che ulteriore cammino non possa essere percorso.





L'industriale e gli operai

    L'industriale biellese si sente in fondo più vicino e più legato ai suoi operai di quello che non si senta vicino al mondo di commercianti e di banchieri, di avvocati, di finanzieri, e di tecnici a cui le dimensioni raggiunte dalla sua industria tendessero a spingerlo. Egli é in sostanza un ardito, un tenace, un fortunato, un abilissimo operaio. Da questa sostanziale unità di spirito e di coscienza tra industriali ed operai, da questo paternalismo della industria proviene la debolezza delle organizzazioni sindacali laniere nel Biellese e la mancanza di vivaci forme della lotta di classe. Non soltanto in questo momento gli operai sono completamente disorganizzati, ma anche durante il periodo di vigore della F.I.O.T. la organizzazione operaia non ha saputo attuare una politica autonoma e propria. Come abbiamo mostrato, la mancanza di una classe industriale degna di tal nome si é ripercossa nella industria biellese rendendo più difficile e fino ad ora impedendo l'acquisto da parte della massa operaia di una coscienza autonoma di classe. Fino ad ora l'operaio biellese é stato il cooperatore ora volenteroso ed ora brontolone di quell'operaio arrivato che é l'industriale, specie il piccolo ed il medio industriale, ma di fronte a questo non ha portato abitudini, sentimenti, aspirazioni diverse.





Il rinnovamento del materiale e la direzione delle fabbriche

    Questi sembrano per ora essere i due punti più oscuri della industria laniera biellese. Dalla guerra in poi ben poco si é rinnovato dell'antico materiale che ormai comincia ad essere addirittura vecchio. Non solo, ma essendosi le fabbriche sviluppate a poco a poco ognuna ha per ogni macchina un campionario di tipi diversi tanto per il sistema quanto per la produzione. Da ciò non soltanto un impiego di mano d'opera che con altre macchine più nuove potrebbe essere diminuita, ma anche la necessità di fabbricare tipi di tessuti e di filati che tutte le macchine di uno stabilimento siano capaci di compiere. Questo doppio fatto contribuisce a rendere maggiori i costi di produzione e ad avviare la produzione italiana verso i tipi più scadenti di panni che possono essere prodotti da tutte le macchine.

    Anche i più grandi stabilimenti, tra cui notevole quello Rivetti che impiega 1500 operai ed estende la sua influenza dalle imprese di elettricità (Elettricità Alta Italia, Industrie Elettriche Piemontesi) ai magazzini di vendita al pubblico (La Rinascente), non hanno dopo la guerra rinnovati i loro impianti in proporzione alla loro potenzialità attuale. Si nota invece che sono spesso medie industrie in via di accrescimento quelle che acquistano macchinario più moderno e che, ampliando la loro attrezzatura, curano di rendere più armoniche le proporzioni fra i vari reparti.





    Il pericolo dipendente dal mancato tempestivo rimodernamento degli impianti é reso più grave dal sistema di direzione tecnica ed amministrativa attuato in tutte le fabbriche del Biellese. Abbiamo detto come l'industriale biellese diffidi dell'impiego di tecnici specializzati e come, in tutte le forme possibili, cerchi di mantenere nella famiglia del proprietario la direzione effettiva dell'industria. Si vede in taluni stabilimenti lavorare alla direzione dei vari reparti, con coesione e concordia rara e notabile, un industriale ormai avanti negli anni, circondato da quattro o cinque dei suoi figliuoli e figliuole. Tale ordinamento famigliare ha giovato non poco durante il periodo di continuo sviluppo e di continua ascesa dell'industria quando per ogni figlio che entrava alla fabbrica si apriva spesso un nuovo reparto di cui metterlo a capo. Ma é evidente che legare la fortuna di una fabbrica alle vicende interne della famiglia del proprietario non può essere a lungo cosa possibile. Da un lato per dirigere le industrie si richiedono sempre maggiori cognizioni tecniche che gli industriali biellesi, che hanno cominciato bambini a vivere la vita dell'officina, non hanno avuto tempo e modo di procurarsi, dall'altro la coesione e la unità di indirizzo non possono ottenersi per parecchie generazioni di seguito, come per molte generazioni veramente discendono le virtù di iniziativa, di capacità, di sacrificio, di pazienza tanto più necessarie in questi industriali in quanto tali doti devono tener luogo di tutte le conoscenze tecniche.

    Non solo, ma la crisi psicologica di questa direzione famigliare delle fabbriche, che nel regime della grande industria e del capitalismo induce un lembo di organizzazione patriarcale, non può che essere prossima. La generazione che attualmente é nel vigore delle forze o nel declinare della virilità e che ha in mano la direzione delle fabbriche, é nata quando la industria era in piena crisi di sviluppo; é stata educata alla parsimonia severa del risparmiatore, è entrata giovinetta nella officina non vasta a compiere il tirocinio, ma anche a compiere un lavoro di cui era evidente la necessità assoluta. La generazione invece che cresce adesso è nata che la ricchezza era già fatta ed assodata, non ha messo piede bambina nella officina dove la sua opera non era più direttamente richiesta e perciò cresce senza quelle virtù di lavoro e di sacrificio della vecchia generazione e senza avere acquistato tale un corredo di studi da poter sostituire quelle virtù.

    Il fenomeno non é punto da addebitarsi a colpa della nuova generazione, ma esso é insito nel sistema stesso di direzione famigliare delle fabbriche che non consente la scelta dei futuri dirigenti se non in un campo troppo ristretto ed omogeneo.





Previsioni

    Come si vede, l'industria laniera biellese ha un fondo forte e sano, non difetta di capitali né di maestranze ed ha impianti che richiedono cure e sacrifici, ma che possono essere portati a livello di quelli dei paesi concorrenti. Anche il consumo dei prodotti finiti si può prevedere abbastanza costante e la nostra industria basta in via approssimativa al mercato interno, il più sicuro, perché negli ultimi due anni le quantità di tessuti importati e di quelli esportati si sono, come peso, equivalsi. Ma anche dalle importazioni si nota la tendenza della nostra industria a fabbricare prodotti meno fini e meno costosi. Infatti i 22.000 quintali di tessuti importati nei primi nove mesi del 1923 furono valutati 175 milioni, mentre i 23 mila quintali esportati nello stesso tempo furono computati solo 85 milioni. Ora questo fatto può far ritenere che, con l'aumentare del potere di acquisto dei paesi esteri (Europa centrale ed orientale) ove la nostra merce é diretta, la richiesta si sposterà verso generi più fini a danno della nostra esportazione.

    Quanto alle previsioni commerciali per il futuro é da notare che la industria laniera ha potuto nei 1921 evitare una crisi di superproduzione solo per gli scioperi che, riducendo in quell'anno la produzione complessiva, hanno permesso di vendere le merci immagazzinate e che anche attualmente per effetto dell'aumento dei prezzi delle lane greggie, cui non potrebbe senza troppa contrazione del consumo seguire un aumento proporzionale di prezzi nei prodotti finiti, le prospettive sono dichiarate incerte dalla stessa Associazione Laniera Italiana. Ciò induce a credere che, cessate le condizioni particolarmente favorevoli della guerra, una serie di crisi di importanza varia possa successivamente colpire l'industria laniera che sembra aver trovato un limite di espansione difficilmente sormontabile.

    Occorre che a queste crisi si preparino serenamente e virilmente gli industriali aumentando le dimensioni e quindi la resistenza delle singole imprese, migliorandone il macchinario per ottenere costi di produzione più bassi, svincolando le direzioni tecniche e amministrative delle imprese dalla cerchia famigliare dei proprietari, avviando in una parola l'industria laniera al regime della grande industria.

V.




Programma d'inchiesta

    Con questo saggio Rivoluzione Liberale comincia un'inchiesta che vorrebbe essere organica e completa sull'industria italiana. A questo lavoro tutti gli amici sono necessari. E' un'opera che deve essere condotta avanti per indagini locali, sulla scorta di osservazioni e di pratica personali e ognuno dovrebbe portarci il suo studio e la sua esperienza.

    Si tratta di vedere in quali climi l'industria italiana riuscì a imporsi, come vinse le difficoltà naturali, quali difetti la travagliano. Tutte le nostre simpatie sono per le libere iniziative che risalgono al sacrificio dei singoli, e alla genialità di uomini che non dovettero ricorrere all'aiuto del politicantismo. In questi casi, accanto ai dati statistici e tecnici, la psicologia del protagonista, lo studio dei costumi che la nascente industria alimentò intorno a sé, e delle trasformazioni economiche sociali, spirituali prodottesi nei ceti interessati possono svelarci i segreti dell'equilibrio sociale e darci i più esaurienti schemi di fisiologia economica e politica. La statistica qui si alternerebbe al pittoresco.

    Soltanto questa indagine potrà dirci con quale preparazione intima l'Italia si avvia alla vita moderna e entro quali limiti si sia già formata una classe di capitalisti non avventurieri, né parassiti. Di tale compito Rivoluzione Liberale si assunse implicitamente l'impegno con la impostazione stessa che diede allo studio intorno alla presente immaturità italiana economica e politica, immaturità che non deve escludere altre speranze per il futuro.