Lettere dalla RomagnaVigilia elettoraleL'ombra del Card. AlberoniChe s'approssimi la campagna elettorale in Romagna lo si vede dalla politica dei lavori pubblici che il Governo del forlivese on. Benito Mussolini fa, ad imitazione di tutti i governi che si sono succeduti dall'instaurazione dello Stato pontificio delle Legazioni ad oggi. La Romagna, specialmente la Bassa Romagna Ravennate, ha sempre vissuto a spese dell'Erario, prosciugando contemporaneamente le sue paludi e le casse dei varii Stati. Meriterebbe la pena di fare la storia delle bonifiche romagnole, per trarre da essa utili insegnamenti sul carattere dei sudditi d'oltre Rubicone di Santa Madre Chiesa, e per tentare il computo della spesa di costo d'ogni ettaro di terreno prosciugato in 300 e più anni di lavoro! Ne salterebbero fuori certamente cifre sbalorditive, oltre l'amara constatazione che per nulla il costume, sia dei dominatori che dei dominati, é cambiato. La politica iniziata dal card. Alberoni circa 200 anni fa e poi proseguita dai varii Cardinali-Legati e prefetti, é ancora la sola adatta per il governo dei romagnoli, i quali non chiedon di meglio che di lavorare, gavazzare e urlare la loro (verbosa) ribellione fra i boccali delle "cameraccie" ora chiamate anche circoli o fasci. Dalla plebe che nei giorni di sagra s'accalcava attorno alla carrozza del Cardinale per riceverne "i graziosi doni della Sua carità", agli organizzati di oggi che da Roma aspettan la manna degli immancabili lavori pubblici, la differenza non é sostanziale, ma solo di forma, e può tutt'al più riguardare il costume, non la vita, la morale o la politica che assolutamente non c'entrano, perché tutto, sinora, dal pane alla libertà, é stato gratuito e non sudato frutto di una dolorosa conquista. Delle 161 e più ribellioni, che, secondo il Pani-Rossi, dal '896 sino al 1860 sarebbero avvenute negli Stati del Papa, e le altre avvenute più tardi in Romagna, ad unità compiuta sino ai nostri giorni, non una (se ne togli l'agitazione agraria del 1910 pel possesso delle macchine trebbiatrici) ha avuto carattere vero e proprio di una rivoluzione, ma bensì quello di "camore" da calmarsi coll'offa delle "grida" quando la carestia infieriva, e dei lavori pubblici allorché (tutti gli inverni!) v'era la disoccupazione. Il sistema doganale pontificio assurdo, secondo il quale ogni Comunità doveva provvedere ai propri bisogni senza ricorrere all'aiuto di nessuna altra e senza poter che con molti stenti esportare il soprapiù che veniva prodotto dentro le sue mura, più l'azione corruttrice dei "paterni favori" avevano creato profondi solchi tra città e città, l'una dell'altra invidiosa e delle fortuite prosperità e degli anzidetti favori, così che le conseguenze di questa azione corruttrice si possono ancora ritrovare nel diffuso campanilismo dei romagnoli, e nella loro incapacità di sorpassarlo e di sorpassare la limitata cerchia del confine provinciale per sentirsi parte d'un organismo più vasto: sia esso la Nazione, o sia esso lo Stato; all'istesso modo che anche ai più intelligenti fra essi riesce difficile liberarsi dell'incanto del mito giornalistico-garibaldino della "Romagna ribelle e generosa" sempre all'avanguardia di ogni movimento e perciò sempre in grado di dar delle lezioni alle altre regioni, come se i fatti che da tale errata credenza sono derivati non dovessero, anziché far inorgoglire i romagnoli, farli arrossire di vergogna, per l'onda di ridicolo che da essi zampilla. La repubblica di RoncofreddoIntendiamo riferirci alle famose repubbliche romagnole di... Roncofreddo e della "settimana rossa" di nenniana, mussoliniana e piroliniana memoria: lampanti esempi d'incapacità da parte dei romagnoli (e vorremmo aggiungere repubblicani a cui tale incapacità é segno distintivo), di fondersi nella più ampia corrente dello spirito nazionale, per assurgere ad una visione meno gretta e campanilista della vita politica. Sembrerà una cosa strana il fatto che i protagonisti maggiori della "settimana rossa" siano stati quei repubblicani, socialisti rivoluzionari della corrente mussoliniana, e anarchici, che appena un anno dopo sono pure stati i fautori più accesi dell'intervento ed a guerra finita gli iniziatori dei fasci; ma é un fenomeno spiegabilissimo quando si pensi che tanto i repubblicani che gli anarchici sono gli eredi (inconsapevoli) e del campanilismo pontificio e del federalismo ferrariano-giacobino, il cui spirito angusto ed i cui sistemi faziosi di lotta ancora conservano, per uno strano destino e per una tardiva vendetta del gesuitismo da cui li derivano. (Anche lo spurio rivoluzionarismo socialista del Mussolini di allora può essere compreso nelle anzidette categorie, rappresentando meglio una sterzata verso l'ideologia e i metodi dell'anarchismo, che una ortodossa concezione marxista della lotta politica). La lotta sostenuta nel 1910 dal Partito Socialista per il possesso delle trebbiatrici fu la sola battaglia che lo spirito di classe dei socialisti seppe sostenere contro gli interessi e l'ideologia piccolo-borghese dei mezzadri (clericali a Faenza e repubblicani a Forlì, Cesena, Ravenna); e l'inevitabile sconfitta che ne seguì fu la prima sconfitta che la coscienza unitaria (e monarchica) della massa operaia romagnola subì; per lasciare esclusivamente padrona del campo l'azione corruttrice del paternalismo giolittiano, il quale non trovò grandi difficoltà al suo trapianto e al suo innesto in Romagna, poiché non ebbe bisogno d'altro che di riprendere l'apparentemente interrotta tradizione del paternalismo pontificio, così caro ai romagnoli solo per burla anticlericali, per far resuscitare il latente regionalismo campanilista e per fare ritornare le masse operaie, dallo stato di civiltà e di dignità cittadina in cui la lotta di classe le aveva portate, al lazzaronismo rivaroliano dei "fedeli sudditi" accalcatisi attorno alla carrozza del "benigno" Cardinal-Legato. Ora, il sindacalismo fascista é fondato su queste basi e su quelle masse. Nessuna meraviglia quindi se i piccoli e grandi ras devono assai spesso abbandonarsi ad atteggiamenti ed a richieste che i loro amici - nemici fascisti - agrari dicon chiaramente di non poter approvare: - é nella logica stessa delle cose il dualismo, e non sarà un male se per un'allegra vendetta della storia, dallo stesso paternalismo rampollerà più vigorosa la lotta di classe, che già sin da oggi, dal dissidio Grandi (on. Marchese di Bagno!) - Baroncini, chiaramente si delinea. Ad un uomo padrone assoluto d'una vasta plaga agricola qual'è il Baroncini, poco può importare una misera medaglietta; sicuro come é che le masse lo seguiranno ovunque egli vada, purché continui ad ottenere loro un pane meno magro di quello che gli agrari di Ferrara somministrano agli avventizi agricoli, costretti a lavorare per un salario che va dalle 4 alle 8 lire al giorno. Provvidenze elettoraliNon stupirà quindi se, essendo giunta l'eco dei loro "clamori" sino a Roma, da Roma "benignamente" si provvede mediante l'elargizione di mezzo milione "per l'erezione in economia dei lavori di rialzo e ringrosso degli argini del Po di Goro, località Froldo Saconia nel Comune di Mesola" e l'assicurazione che altri lavori del genere saranno pure "prestissimo iniziati" (vedi il Giornale d'Italia del 19 febbraio); oltre a quelli speciali che per più di 4 (quattro!) milioni il Governo ha stabilito per la sola provincia di Ravenna forse quale splendidissimo presente che il neo deputato avv. Frignani, sarà tenuto a fare ai suoi organizzati-elettori nell'imminenza delle elezioni! (vedi la ravennate Santa Milizia del 16 febbraio). C'è da credere che anche questa volta i "generosi" lavoratori delle Legazioni troveranno molto delicata la cura dell'onor. Presidente del Consiglio, mai immemore delle sue "gloriose origini romagnole" e "voteranno compatti la lista del Fascio", senza per ombra pensare che la presunta delicatezza loro usata fa parte di tutto un vasto sistema di corruzione demagogica; poiché anche altre regioni, avvezze a sistemi analoghi a quelli adoperati in Romagna dal paterno Governo del Papa, sono state oggetto della stessa cura e della stessa attenzione presidenziale. Gli esempi della Calabria e delle Puglie, valgon la pena d'esser citati? In conclusione noi vediamo oggi in Romagna la lotta impostata su due cardini, con l'enorme massa del bracciantato schierata sotto i gagliardetti dei sindacati fascisti, da una parte; e l'esercito della piccola borghesia agricola e cittadina, schierato sotto le bandiere recanti lo scudo crociato e l'edera dall'altra parte. Ognuno vede che non é il caso di illudersi sulla quantità e qualità della prima, massa eternamente fluttuante da un partito all'altro, ed a cui non é dato uscire dalla sua secolare minorità che in virtù d'un autoctono e violento fatto rivoluzionario; quanto é invece da osservare e da riporre fiducia sull'altra, poiché é evidente che la sua ideologia politica é fondata sulle solide basi dell'interesse e delle realtà, e perciò appunto aliena dalle improvvisazioni dei retori. Non é improbabile che l'esigenza decentratrice che animosi seguaci di Sturzo e di Zuccarini tentano insinuare nella coscienza conservatrice dei mezzadri romagnoli, possa trovare un addentellato nel loro mai smentito campanilismo, che se é stato sino ad ora latente, non é perciò detto che domani possa anche apparire violentemente alla luce ed imporsi nell'inevitabile riesame che avverrà allorché il problema istituzionale che, colla legittimazione della Marcia su Roma e colla riforma elettorale, la Monarchia ha improvvisamente fatto risorgere, dovrà essere risolto. Più che quella degli altri partiti, gli odierni "ludi cartacei" in Romagna potrebbero mettere a dichiarata prova la maturità politica del partito repubblicano, il quale potrebbe uscirne vittorioso e rinnovato solo se, abbandonato il vuoto anticlericalismo giacobino di eredità papalina e i ricordi (gloriosi, quanto volete, ma passati) dell'interventismo sapesse riagitare le vecchie e pur nuove esige della repubblica e del federalismo e sfruttare la magnifica opportunità che l'insipienza, dinastica gli ha novellamente (e forse per l'ultima volta!) offerta. ARMANDO CAVALLI.
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