SAVELLIIl 20 gennaio di quest'anno, a Genova, le elezioni per le cariche locali dell'Associazione Nazionale Combattenti diedero luogo a un putsch: la lista dell'Italia Libera, presentatasi in minoranza con tre nomi; della lista di maggioranza proposta dal Consiglio uscente caddero in minoranza i tre esponenti fascisti, Lantini compreso. Non ci volle molto a parlare di "fatto politico" e di "affermazione eccezionale": tirava un vento di fronda da non dirsi. Naturalmente gli eletti della lista scorbacchiata si dimisero "per solidarietà" e "per chiarire l'equivoca situazione" e la sezione di Genova passò sotto tutela. Il gruppo dell'Italia Libera, che già da un pezzo aveva suonato la diana con la lettera di Zanotti Bianco, esaltò la propria soddisfazione morale. Il 20 febbraio esce il "listone" per la Liguria: vi fa buona mostra di sé il candidato Savelli Rodolfo, professore di filosofia, combattente, decorato, presidente della Federazione Ligure dei Combattenti componente del Consiglio Nazionale dell'Associazione": la cui anima irrequieta trova finalmente la soluzione del suo enigma. Ma dal 20 gennaio al 20 febbraio, é un altro enigma. Un po' di storia, se non vi dispiace. Perché Savelli é lui il supremo moderatore dei Combattenti genovesi, lui che dirige il loro giornale, lui che quando due o tre anni fa, se ne parlava come di un "piccolo" movimento, rispondeva alteramente che il loro sforzo era di "chiarire un problema politico"; e che "non bisogna essere empiristi nel giudicare la storia: perché la storia é idealistica". Ma non la storia esteriore di questo caso episodico, val la pena di fare: sarebbe, appunto, empiristico. Che serve raccontare di Savelli socialista, sindacalista, salveminiano, interventista, combattentista? Una evoluzione più naturale di così non é possibile citare. Che serve parlare della sconfitta elettorale dei Combattenti nel'21, quando Savelli cedette le sue preferenze a Rizzo, cioè al direttore della Cooperativa Garibaldi? E del suo proposito, dopo la sconfitta, di fondare anche a Genova qualche cosa come il Partito d'Azione sul programma di quello sardo e molisano, siamo troppo poco empirici per far parola. Lo stesso silenzio copre ormai nella tomba il "gruppo democratico" di Savelliana creazione, che nel 1921 trovava modo di approvare l'occupazione delle fabbriche con molta eleganza di circonlocuzione. No: lasciate piuttosto ch'io vi presenti Savelli, vent'anni fa socialista hegeliano, oggi in politica "romagnolo" (veramente é marchigiano: ma la distanza é poca e il sangue é generoso lo stesso): cioè un uomo a cui il Duce stringe la mano e batte la spalla, e lo chiama "Rodolfo". Nessuno a Genova, città apatica per la filosofia politica, città scettica verso i ciun "idealistici", ha mai tanto lavorato a metter su circoli e conventicole e riunioni di cultura politica: nessuno ha mai tanta battuto le circonvallazioni, a monte e a mare, ammaestrando socraticamente i giovanotti sulla spiritualità della prassi: nessuno ha mai fatto tanta professione di disinteresse e di idealità: come Savelli. Ma nei tempi puramente "culturali" si potevano già notare più d'una cosa: per esempio, una simpatia irrefrenabile per le prodezze di Giulietti (romagnolo, per Dio!); per esempio, in un articolo sull'Azione, una fantasia romantica sui tavarisch che caricavano senza pietà, a spron battuto, su Varsavia; per esempio, in un altro articolo, il "realistico" consiglio di usar "maniera forte" coi comunisti; e altri esempi ancora. E nei primi tempi "elettorali" l'instaurazione di un profondo metodo polemico che passerà alla storia col nome di Savelli: quello di chiamare gli avversari o "vecchio amico" o "giovane amico", a seconda dei casi: col quale appellativo ogni differenza era risolta, a vantaggio dell'amico di mezzo, cioè di Savelli medesimo. Ma intorno a quest'uomo, e in parte per merito suo, i Combattenti crebbero su sul serio, con un'accolta di giovani pieni di volontà, qualcheduno anzi di buona educazione salveminiana. Avevano metà della maggiorana in consiglio comunale; l'infelice sorte toccata nelle elezioni del'21 non li scoraggiò. Continuarono a pubblicare più o meno regolarmente il loro giornaletto settimanale (che Savelli definiva pomposamente "il più grande del mondo", un po' per ischerzo e un po' credendoci sul serio, alla bontà del giornale): e l'anno scorso ne fecero l'organo dei combattenti di Liguria e di Lombardia. Di fascisti, fino al'22, si parlava a Genova per modo di dire: il campo era aperto. Savelli se lo lavorò bene, contegnosamente: accanto alla sua Associazione sorsero delle Cooperative, che le crearono, indirettamente, una base economica, e una "politica pesante", con grandi imprese in appalto. "Tutta Genova" andava in sollucchero per quest'opera squisitamente politica; era un idillio di vecchi e di giovani amici. Non per niente Savelli fu uno degli "epuratori" della Combattenti, a Genova e a Roma. Varda che zogia! Senonché... nell'agosto del'22 i fascisti presero il porto di Genova. Silenzio savelliano. Appena, qualche motto sul decrepito cooperativismo che il Sindacalista del 1904 aveva per primo combattuto. Settembre 1922: l'uomo, che in conservazioni private non esitava a paragonarsi modestamente a Gaetano Salvemini dichiarando di avere, si, infinitamente messo di scienza. ma... molto maggior "senso politico", e in conformità di questo aveva creduto morto il fascismo dopo le fucilate di Sarzana, e ancora seguendo il medesimo filosofeggiava sull'inserzione nella storia: quest'uomo intonò un leggero, leggerissimo antifascismo: per lo meno, ne fu sospetto. Sperava in un ministero liberale appoggiato sui Combattenti! Sicché nelle giornate del radioso ottobre i fascisti gli occuparono la sezione di Genova, vi iscrissero nuovi soci di loro conio a centinaia, e vi piantarono le tende con un Direttorio di proprio gusto. Allora, si, il senso politico di Savelli fu svegliato davvero: allora, si, cominciò l'avventura. Perché, una volta che gli fu restituita, con un "pacifico" accordo la sua sezione, si guardò bene dal perderla: unica roccaforte di cui potesse disporre, di fronte al fascismo delle sezioni di provincia. E fu, per un anno e più, fino ad oggi, lunga la serie dei compromessi, delle concessioni, delle palesi ambiguità, degli sforzi perché i soci antifascisti non gli prendessero la mano e gli guastassero la frittata. Bisognava "valorizzare il movimento": una valorizzazione che somiglia a... quello che prende gli schiaffi. Oggi un colpo al cerchio e domani un altro alla botte: oggi una puntarella antifascista, domani l'esaltazione della rinata romanità: tutta la raccolta del suo ebdomadario, in quindici mesi dalla marcia su Roma, é fatta di questa musica. Motivi tematici: mussoliniani si, fascisti no; il fascismo rinsanguatore dell'idea liberale, impersonata nella A. N. C.; abbasso le violenze, evviva la maniera forte; il metodo fascista é un fatto contingente, la sapienza del Duce é un valore eterno; inginocchiamoci davanti alla storia che passa; "fascistae boni viri, Farinaccius mala bestia"; oggi é nata la nuova passione del popolo italiano; ecc. Nei giorni della votazione della legge elettorale, Savelli fece il gran passo: andò da Mussolini, co' suoi sozi del consiglio centrale, a testificargli la loro grande fiducia: "un fatto politico di primissimo ordine". Ma con gli amici, a quattr'occhi, diceva "di esserci andato come un toro al macello"; che lui, poveretto, si rammaricala di dover scendere dal mondo delle idee nella realtà contingente: ma grandi erano le responsabilità sue come capo del combattentismo ligure e bisognava tenerne conto, abbandonando il cielo platonico della filosofia... per un momento. La discesa nella realtà contingente significò questo: a Genova, uno schiaffo al mese, da parte dei Fascisti, alla Federazione Combattenti: politica dei ripari, medicine spirituali di liberalismo ai mormoranti, amichevoli spiegazioni per i vecchi e i giovani amici; a Roma, ubriacature di sole mussoliniano, trionfi oratori, condotta "squisitamente" politica: dalla sagra dei combattenti il 24 giugno all'ultimo consiglio nazionale. Con tutto questo, la situazione non era tranquilla. Troppe beghe succedevano fra combattenti e fascisti: troppa necessità stringeva di mordere i ras: troppo liberalismo romano e romagnolo infiorava il suo organo ebdomadario, perché Savelli fosse sicuro del fatto suo, e della sua politicità crismatica. L'estate scorsa cominciarono le lettere aperte e le proteste dei dissidenti, liquidate col solito tono sprezzante verso i "giovani amici": mentre ad altri cari giovani amici si appoggiava quasi esclusivamente un semipacifico modus vivendi col fascismo locale. Ma da un lato i fascisti, dall'altro moltissimi combattenti cominciavano a vedere Savelli come un pruno negli occhi: tutti capivano ormai l'insanabile equivoco della posizione di questo apparente Amleto in diciottesimo jèsus della politica ligure, e la contraddizione di cui egli viveva, alla giornata. Il Lavoro lo attaccò: e Savelli rispose con altera insolenza, in terza pagina: mentre in prima pagina sfrecciava sdegni liberali contro lo squadrismo. Il 20 gennaio, quel giorno stesso che gli andarono male le cose elettorali, i fascisti bastonavano Gonzales e Canepa: Savelli, o chi per lui, deplorò la violenza che "rivalorizzava degli svalorizzati"; mentre si guardava bene dal metter le cose a posto per il putsch fascista alla Combattenti di Milano. La conclusione, a fine mese, era che Savelli, sulle corna di tutti, non sarebbe entrato nella lista governativa. Ma ai primi di febbraio da Genova si passa a Roma: defenestrazione di Arangio-Ruiz, nuova epurazione con languori mussoliniani, Savelli in testa. Non bastava: ed ecco il "professore di filosofia" (ma non di storia né di economia politica!) nel liceo di Novi Ligure, stendere ad pedes l'offerta votiva: un articolone sulla Tribuna, che celebra il discorso dell'Augusteo come "un'acquaforte" e così via. Apoteosi del "mussoliniano non fascista": il posto nel listone è assicurato: sarà certamente uno dei capi dell'opposizione addomesticata in seno alla maggioranza, ad uso e consumo del Duce per le sue questioncelle con Farinacci e Baroncini. Savelli ritorna a Genova, e racconta a qualche amico che "i fascisti non lo vogliono nel listone, Mussolini sì: lui però gli ha fatto qualche riserva, per il discorso all'Augusteo!". Intanto, nel suo giornale, ha già pubblicato un articolo sulla propria entrata nel listone, dove comincia subito a far l'oppositore ad uso e consumo... Questa é, "vecchio amico" Savelli, la vostra istoria, spiacevole al narratore, graziosa per gli uditori. Il mondo delle idee é rimasto ancora un palmo e mezzo al di sopra del cielo! SANTINO CARAMELLA.
|