LE ORGANIZZAZIONI DI "STATALI"

    Si narra che non molto tempo fa cinque impiegati governativi, membri di non so che giunta di non so che organizzazione di "statali", rei di aver in una circolare agli organizzati parlato di amarezze e di delusioni causate da recenti riforme, siano stati dal loro superiore ministero sottoposti a processo disciplinare e invitati a difendersi dall'accusa di aver seminato il malcontento fra i loro colleghi e suscitato fra di essi propositi di insubordinazione e di indisciplina: per le giustificazioni degli incriminati il processo disciplinare non avrebbe più avuto corso, ma in compenso i redattori e compilatori del bollettino di quella stessa associazione avrebbero ricevuto l'intimazione aperta di cessare da quella loro ingrata e sgradita bisogna, se non volevano incorrere in qualche non lieve punizione.

    Il fatto, insignificante per sé in un paese come il nostro, è qui ricordato solamente come documento della lotta che il governo attuale, diretto in questo dall'alta burocrazia romana, ora più che mai dominante in Italia, conduce contro le antiche organizzazioni di impiegati e di salariati statali: lotta che nello stesso tempo e negli stessi modi e cogli stessi intenti è condotta contro le organizzazioni di impiegati e di salariati di Enti pubblici locali, i quali negli ultimi tempi si erano venuti sempre più assimilando, e giuridicamente ed economicamente, ai loro colleghi dipendenti dallo Stato.

    Non è chi non intenda che questa lotta contro le Associazioni di statali e assimilati, è parallela a quella, ben più vasta e clamorosa, che il fascismo prima, il governo poi hanno iniziato e vanno alacremente proseguendo contro le Associazioni di lavoratori dipendenti delle industrie e delle aziende private: e non è chi non veda, medesimamente, che questa davvero maravigliosa offensiva se, immediatamente e dichiaratamente, si propone come fine la restaurazione della dignità dello Stato e della disciplina sociale, essenzialmente e remotamente mira allo scopo, a cui sono intese dalla fine della guerra in qua tutte le forze reazionarie mondiali, di far pagare ai molti (ai meno ricchi e ai poveri) le spese della guerra e dei risarcimenti ai danni conseguenti alla guerra.





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    Se però la Crociata bandita contro le Associazioni di operai privati trova noi di "Rivoluzione Liberale" francamente dissenzienti dal Governo e dal Fascismo e risolutamente favorevoli agli operai stessi, non possiamo dissimulare che la sorte delle varie associazioni di statali e di assimilatati non riesce a commuoverci soverchiamente.

    Le ragioni di questa nostra scarsa simpatia per le organizzazioni di impiegati e di salariati dello Stato e degli Enti pubblici sono parecchie: di queste ne esporremo oggi qualcuna.

    Anzitutto queste Associazioni, accogliendo i concetti di lotta di classe, di organizzazione e di resistenza e innestandoli sul ceppo refrattario del ceto borghese e semiborghese, da cui si reclutano gli statali, e applicandoli ai rapporti fra dipendenti dello Stato e Amministrazione statale, hanno singolarmente travisato e deformato questi principi, e presentando ai loro aderenti lo Stato unicamente nell'aspetto del padrone esoso e sfruttatore, han trasformato i dipendenti dello Stato in altrettanti nemici dello Stato, trasmutando così quelle che erano idee di disciplina e di responsabilità in altrettanti fomiti di anarchia, di indisciplina e di insubordinazione. Né si obietti o s'insinui che lo stesso è accaduto anche nella fabbrica o nell'azienda agricola per ciò che concerne i rapporti fra operai e datori di lavoro: perché nel caso dell'azienda l'operaio ha di fronte il padrone o chi per esso, l'organizzazione operaia ha di fronte l'organizzazione padronale: forze concrete sono opposte a forze concrete e il trasmodare dell'una o dell'altra trova subito un limite ed una correzione nelle necessità economiche sociali e politiche; mentre invece nel caso del conflitto fra Amministrazione pubblica e dipendenti la forza concreta e bruta della massa dei dipendenti, trova di fronte a sé una squisita astrazione giuridica ed etica, o, se vogliamo, un organo massiccio, lento, irresponsabile o, peggio ancora, siccome l'astrazione "Stato" se si concreta si concreta nell'individuo "dipendente dallo Stato, il dipendente in veste di organizzato e di organizzatore, in veste di ribelle e di suscitatore di ribellioni, trova di fronte alla sua associazione e alla sua "agitazione" nessun altro, in ultima analisi, che il dipendente in veste di funzionario, cioè nessun altro che se stesso. Dal quale paradosso ognuno intende che sorta di complicazioni e di danni possan derivare per la comune dei cittadini e dei contribuenti.





    Altra ragione della nostra diffidenza è questa. Le Associazioni fra impiegati e salariati dello Stato sorte sugli inizi con l'intento giustissimo e rispettabilissimo di ottenere dallo Stato per i proprii soci uno "stato giuridico" cioè, in sostanza, un contratto di lavoro stabile, ragionevole e decoroso, ben presto degenerarono, come forse è fatale che avvenga in Italia, in cricche oligarchiche, o, se si vuole, camorristiche, tendenti ad assicurare ai dirigenti immunità e lucri di vario genere, ai gregari privilegi, impunità, favori spiccioli e minuti, che non avevan più nulla a che fare con lo "stato giuridico" o col "contratto di lavoro" e che, tradotti in aumenti di spese o in diminuzioni di "resa", eran poi tutti scontati dall'erario pubblico, cioè dai milioni di contribuenti estranei alle pubbliche amministrazioni. E poi successe che, avendo ogni organizzazione maggiore o minor voce in capitolo a seconda del maggiore e minor numero dei proprii aderenti, le associazioni di "statali" a poco a poco aprirono le loro porte e cercarono di inquadrare anche gli impiegati di enti pubblici, comuni, provincie, enti morali ecc., oppure, estendendosi il contagio dell'organizzazione, le prime associazioni di statali generarono o suscitarono, per figliazione o per imitazione, altri consimili sodalizi di impiegati di Enti pubblici: inutile dire che specchio per attirare i dipendenti di Enti pubblici nelle file delle Associazioni di statali, o presame per tenere insieme questi dipendenti nelle novelle associazioni autonome, non poteva esser altro che il proposito e la promessa di assicurare a questi più trascurati fratelli quei privilegi di cui, beati loro, i fratelli maggiori delle amministrazioni statali già "godevano" da un pezzo: equo trattamento, riduzioni ferroviarie, trattamento di quiescenza, vacanze, stipendi, salari, e via dicendo: il proposito cioè e la speranza che tutti gli impiegati di comuni, di provincie, di enti morali, di società esercenti pubblici servizi, ecc. diventassero o prima o poi, effettivamente o implicitamente, altrettanti impiegati o salariati governativi. Anche qui lasciamo pensare ad ognuno che razza di disastro abbia finito con il rappresentare per le finanze e per la stabilità dello Stato e per l'autonomia degli Enti locali l'opera di queste associazioni di cui andiamo parlando.





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    I fatti a cui siam venuti accennando eran già accaduti o preparati prima della guerra, negli anni che vanno dal '902 al '914; la guerra trova queste associazioni già tutte sorte o almeno abbozzate, il dopoguerra rinforza i quadri anche di queste associazioni e infonde anche in queste associazioni quello spirito, che adesso si suol chiamare "spirito bolscevico". Ho detto "anche queste associazioni" volendo dire che si produsse per le organizzazioni di statali lo stesso fenomeno di enfiagione e di esasperazione che si ebbe nelle leghe e nelle federazioni di operai delle aziende private: ma subito devo aggiungere, a costo di ripetermi, che fra i due fenomeni corse una differenza evidente ed essenziale.

    I lavoratori delle aziende industriali ed agricole accorrendo sotto le bandiere delle loro leghe e dando sfogo alla loro esasperazione nei modi che tutti sappiamo, svolgevano la loro azione nel campo delle libere competizioni di classe, pagavano di persona perdendo o rischiando di perdere giornate di paga, impiego, aumenti, urtavano contro la resistenza più o meno elastica di altri individui singoli o collettivi; se interessi disturbavano disturbavano interessi contenuti in limiti topografici e sociali relativamente ristretti; e, finalmente, erano nell'azione loro animati - e giustificati - da un proposito rivoluzionario, cioè, oltreché demolitore, ricostruttore e rinnovatore.





    Invece i dipendenti statali ed i loro assimilati, inquadrati nelle loro associazioni, abbandonandosi anch'essi alle agitazioni che contraddistinsero il periodo 1919-1921, esercitavano la loro attività sovvertitrice in un campo che è per necessità sottratto a quelle tali leggi delle competizioni di libere forze e di liberi interessi, nel campo dell'amministrazione di Stato e dei pubblici servizi; "agitandosi" non pagavan di persona e non arrischiavano nulla, perché gli stati giuridici, le "piante stabili" li proteggevano contro ogni pericolo, e, per quanto si scappricciassero a far ostruzionismi, scioperi bianchi, scioperi rossi, scioperi tricolori, sapevano, o speravano, di non incorrer in gravi e immediate sanzioni, anche perché risultava loro che gli incaricati di proporre e di far eseguire, eventualmente, quelle sanzioni erano anch'essi della "manica", erano anch'essi del "fronte unico", erano anch'essi, insomma, degli "agitati" se non addirittura degli agitatori. Trattandosi poi di pubblici dipendenti, cioè di gente preposta direttamente o indirettamente a dei pubblici servizi, gli effetti di queste agitazioni avevano ripercussioni ben più vaste delle agitazioni di liberi operai, e a tali effetti non si sottraeva nessun ceto e nessuna regione, anzi più vi erano esposte le zone lontane dai grandi centri e più ne pativano i ceti più attivi o più umili. Finalmente questi dipendenti tutti o quasi tutti, nell'agitarsi che facevano o per proprio conto o per ordine delle loro organizzazioni, non avevano, mai, almeno espressamente, almeno programmaticamente, un movente rivoluzionario, ma sempre, al momento buono, si affrettavano a dichiarare che le loro "rivendicazioni" erano di carattere, innocentemente "economico", e che dalle loro "manifestazioni" esulava il fine politico.

    Per cui, a conchiudere, si può dire: primo, che a creare quello stato d'animo di irritazione e di intolleranza succeduto a quello "bolscevico"e convenzionalmente chiamato "fascista", assai più che i moti popolari ed operai che vanno dai tumulti per carovivere all'occupazione delle fabbriche, hanno concorso le esorbitanze degli "statali", dagli scioperi dei servizi pubblici alle agitazioni contro le leggi riformatrici dei ministeri Nitti Giolitti; secondo, che il più grande sproposito commesso dal partito socialista italiano dal suo nascere fino ad ora fu quello di avere sempre appoggiato in tutte le loro rivendicazioni gli "statali", mettendo a disposizione di essi le forze del proletariato libero, e sacrificando in ultima analisi questa superba accolta di forze libere e "liberali", agli appetiti indiscreti di quelle associazioni, tipicamente piccolo-borghesi e profondamente "aliberali".





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    Per cui, ripetiamo, scarsa commozione in noi quando udiam parlare di persecuzioni contro organizzatori e organizzazioni di "statali" e propensione a considerare tali persecuzioni un po' come non immeritato guiderdone di tante malefatte. Ma, detto questo, noi dobbiamo affrettarci a fare un'altra considerazione.

    Al di là e al disopra delle antiche organizzazioni di statali e di "perequati", le quali ci interessano mediocremente, ci stanno le persone dei dipendenti dallo Stato, fra cui il nostro paese conta molti fra i suoi più fedeli e più preziosi servitori, e oltre le persone e gli interessi e gli affetti degli impiegati e salariati stanno gli interessi delle Amministrazioni e dei servizi, cioè gli interessi più gelosi della respublica (stato patria), che noi poniamo in cima dei nostri pensieri.

    Ora è risaputo che attraverso le organizzazioni di statali si vengono a perseguitere gli statali stessi, e che negli statali si colpiscono spesso le loro idee e il loro passato politico, e che dagli statali, specialmente dai più umili, si richiede, sotto forma di falcidie economiche e di diminuzioni giuridiche, quel concorso alla restaurazione dell'erario, che ad altri membri della burocrazia civile e militare non sempre si richiede, e che quasi mai si è richiesta ai ceti più ricchi e più fortunati. Ora è risaputo che dalla sfiducia, dalla demoralizzazione, dalle angustie, dalle angoscie dei servitori dello Stato e del Pubblico, nessun beneficio è mai venuto né alle Amministrazioni né ai servizi, né, in ultima analisi, allo Stato, alla Patria. Ed è risaputo che una siffatta seminagione di risentimenti non ha mai alla lunga recato altri frutti che di tossico e di pianto per tutti e per tutto. Ed é appunto ripensando a ciò che noi, pur con le premesse e le riserve che abbiamo fatte, non possiamo e non vogliamo disinteressarci del tutto delle sorti degli statali, i quali, spiantate le loro organizzazioni, abolite le loro garanzie giuridiche, si trovano ora allo stesso punto in cui erano venticinque anni fa, timidi e inermi zimbelli del talento dei loro capi e dei capricci dei politicanti, che premono sui loro capi.





    Come possono gli statali, impiegati e salariati, uscire da tali distrette? La salvezza è ancora là: nell'organizzazione. Ma questa volta chi riprenda a risolvere praticamente il problema dell'organizzazione e della difesa degli "statali" dovrà far bene tesoro della lezione del pessato. Il quale passato sopratutto questo ci ha insegnato: che le organizzazioni di statali, le quali si professano neutre, apolitiche, e si propongono di "curare solamente gli interessi economici e giuridici, dei loro aderenti", sono alla fin dei conti, la rovina dei loro soci e finisce che non curano nessun interesse vero e reale né degli statali né dello Stato: nei momenti delle vacche grasse non sono che delle pompe che prosciugano le casse dello Stato senza né inondare né inumidire le tasche dei loro soci, e nei momenti delle vacche magre sono delle finzioni, a cui nessuno crede e di cui nessuno tien conto.

    E devono a questo punto gli statali guardar bene in faccia la verità e pigliar il toro per le corna. Ogni "statale" ha una duplice personalità: quella del "funzionario" e quella del "cittadino": in quanto funzionario, lo statale è, insomma, un soldato, ed anche per lui legge suprema e norma d'azione ha da essere la gerarchia e la subordinazione. Ciò posto ha da parere assurdo allo "statale" stesso che un "funzionario", un soldato in quanto tale e come tale, si "organizzi", si associ, per che fare se non per criticare l'opera dell'Amministrazione, per discutere l'opera dei capi, e, quindi per infirmare quel principio di autorità che solo può reggere l'immane edificio di una amministrazione statale? Quindi gli statali stessi dovrebbero da sé, senza che venga una legge ad imporlo, rinunziare alla facoltà di organizzarsi come statali, di creare organizzazioni proprie, neutre, apolitiche, di categoria e simili.

    Ma accanto al "funzionario" c'è nello "statale" anche il "cittadino", il quale, come tale, non può e non deve rinunziare a nessuno dei diritti elementari del "cittadino", fra cui supremo quello della libertà di avere un pensiero politico, e di esprimerlo e di sostenerlo, anche inscrivendosi a quelle associazioni che hanno per iscopo di elaborare e diffondere idee e teorie politiche, cioè ai partiti politici. E siccome la distinzione che ho fatta, è possibile farla così in astratto, in un articolo di rivista, ma nella realtà la distinzione non esiste, e il cittadino trascina dietro con sé anche lo "statale funzionario", così se lo statale, anzi se gli statali entrano, o in pochi o in molti, in un partito politico è naturale che essi in quell'ambiente si ricerchino e si ritrovino e discutano anche dei loro interessi di dipendenti dello Stato, ed é naturale che della forza del partito in cui militano cerchino di valersi per tutelare questi loro interessi, che non sono interessi generici di "cittadini", ma che sono interessi specifici di "statali".





     - E allora non è la stessa cosa? Le associazioni di statali escluse dalla finestra non tornano a entrare per la porta?

    Non é la stessa cosa: qui non è più l'Associazione apolitica, la quale cura gli interessi dei suoi affigliati, considerando questi interessi per sé soli, avulsi dal complesso degli interessi di tutta la nazione: qui non è più l'Associazione unica la quale fa valanga di tutti gli appartenenti a quella tale amministrazione, e, per tener insieme tanti elementi, non può far altro che buttarli continuamente all'assalto delle casse dello Stato; qui sono se mai vari gruppi che si formano nei partiti e che per necessità di cose, sono obbligati a coordinare ed a subordinare gli interessi loro a quelli del paese, o per lo meno, sono obbligati a considerare il problema della loro carriera, della loro amministrazione, del loro servizio, come uno dei problemi tecnici e politici che il loro partito tratta o deve trattare, e devono di questo singolo e specifico problema additare o accettare la soluzione che é indicata dal sistema di idee del loro partito. Dal punto di vista degli interessi dello Stato l'assalto di gruppi divisi e spesso discordi sarà meno temibile e pericoloso; dal punto di vista degli interessi dello "statale" anzitutto l'opera di studio o di critica che egli compie, svolta all'ombra di una fede politica e in seno ad un partito organizzato, sarà, se non altro, meno soggetta a risentimenti di capi ed a sanzioni disciplinari, in secondo luogo l'ausilio delle forze del partito poste a disposizione di quegli stessi interessi, nel caso che il partito intenda impegnarsi perciò, sarà qualcosa di più serio, di più sicuro, e di più stabile che non l'ausilio di una associazione neutra, senza anima, senza sapore, e senza colore.





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    Io non so se quel ch'io dico avrà l'approvazione dei amici amici - e colleghi -statali; quello ch'io so è che per ora, dalla parte del governo, l'aria spira in direzione affatto opposta.

    Condizione indispensabile perché possa avvenire quel che io dico é che nel paese sia libera l'attività e la lotta politica, e che dallo Stato tutti i partiti, i quali non escan da certi limiti, siano trattati alla stessa stregua; veda il lettore se questa condizione si avvera nel paese nostro. Condizione indispensabile perché possa avvenire lo "smistamento" degli statali nei vari partiti politici è che le supreme autorità governative e burocratiche non si occupino delle idee politiche dei loro dipendenti e badino solo alla loro capacità e allo zelo che dimostrano nel loro ufficio: veda il lettore se si avveri nel paese nostro anche questa condizione.

    La sapete, é vero, la formula del giuramento imposta agli statali tutti? Eccone qui la parte centrale: "dichiaro che non appartengo e prometto che non apparterrò ad associazioni e partiti la cui attività non si contemperi con i doveri del mio ufficio". E l'avete letto, è vero, il R. Decreto 30 dicembre 1923, all'art. 64? "si incorre alla revoca dell'impiego... per mancata fede al giuramento"; e all'articolo 65?: "Si incorre nella destituzione... per pubblica manifestazione di propositi ostili alle vigenti istituzioni"; e all'art. 66?: "si incorre nella destituzione per qualsiasi condanna riportata per delitti... contro la patria".





    Basta questo, io credo, per mostrare che aria tira di lassù: aria di apoliticità assoluta: altro che "smistamento nei partiti politici". E le conseguenze di queste... satire da panettiere sono già visibili nei campi delle organizzazioni: la Confederazione del Lavoro, a cui aveva aderito il Sindacato Ferrovieri, si trincera più saldamente che mai nella sua "apoliticità"; sindacati professionali aderenti a questo o a quel partito si struggono come neve al sole; persino certe sezioni o gruppi di sindacati nazionali costituiti fra "statali" si sciolgono e rientrano in grembo alle antiche federazioni, che hanno riaffermato or ora a caratteri di scatola la loro "apoliticità"; i convegni che si susseguono a Roma riconfermano più che mai il principio dei sindacati di operai e di padroni "misti" e quindi, per forza, "apolitici"; poi verrà il parlamento del lavoro in cui avranno diritto di sedere, si capisce, solamente i rappresentanti dei sindacati "misti" e delle associazioni provatamente "apolitiche"; e sarà il trionfo della "competenza" e del "tecnicismo"; e sarà il fallimento dell'abborrito politicantismo; e finché le vacche saranno magre e ci sarà in alto qualche castigamatti allora tutti questi "apolitici" staranno queti, ma appena le cose accenneranno a mutarsi, e si avrà, se si avrà, il pareggio, e la lira si sarà rivalutata, se si rivaluterà, allora vedrete, amici, che corsa, allora vedrete queste cagne di associazioni apolitiche, fatte studiose e conte dall'astinenza e dalla dieta, che razza di volata; e vedrete, avanti a tutte, buone prime, quelle degli "statali", e sentirete che salassi all'erario, e che giri di torchio di nuovo a tutti i contribuenti. E allora, lo stato, magari ancora fascista, dovrà raccomandarsi, mi per di vederlo, e pregare a mani giunte i partiti politici che gli vengano in soccorso e lo difendan dall'assalto delle cavallette della "apoliticità" e della competenza.

    Ma i partiti politici saranno tutti morti, tutti spariti, e allora chi si leverà a difesa degli intessi supremi della res publica contro l'assalto degli egoismi e dei particolarismi associati e riscaldati nel seno del malcauto governo paterno?

AUGUSTO MONTI.