ECONOMIA PARASSITAIl concetto marxista della derivazione dei rapporti politici da fenomeni di natura economica va inteso o corretto in un senso che escluda ogni rigoroso determinismo e fissi invece connessioni di carattere irrazionale assai più complesse e vorrei dire misteriose. L'attività economica sarebbe la materia che cerca nella politica la sua forma; fenomeno rozzo e sfuggente che si tenta di conoscere attraverso leggi di approssimazioni meccaniche e su cui l'opera del politico, mobile, sensibilissima, libera, si esercita come su un terreno di sperimento per sorprendere l'istante in cui riuscirà ad affermare il suo dominio spirituale. Riesce perciò ricca di notevoli significati la osservazione comune che l'opera del politico, volontà libera ed indipendente, debba tuttavia incontrarsi con la presenza di condizioni obbiettive favorevoli, o, secondo la frase più generica degli idealisti, inserirsi nella storia. Anzi solo a questo punto si potrebbe riprendere con frutto il vecchio discorso della coltura che si richiede nel politico. Queste pregiudiziali spiegano il nostro scetticismo verso le troppo abusate disquisizioni sulla crisi economica e sui modi di risolverla. Se la parola decisiva spetta, senza appello, al politico l'indagine economica non ci darà lo specifico infallibile, ma appena dei punti di riferimento. Tutto il valore della tecnica si deve esaurire nel suo carattere di strumento e di coefficiente. L'uomo di Stato starà attento al Consiglio dell'economista, ma lo subordinerà agli altri fattori storici. Il merito della più seria economia liberista consiste essenzialmente nella franca rinuncia al giudizio conclusivo: l'economista rimane fedele al suo limite scientifico, suggerisce criteri di buona amministrazione, espone i risultati della sua esperienza isolata e ristretta secondo ipotesi e astrazioni quasi matematiche, o secondo misure semplicemente descrittive. L'economia constata l'esistenza di un problema finanziario, burocratico, monetario, offre l'anatomia dei processi di produzione della ricchezza in un determinato momento storico; ma la sua osservazione resta sul terreno delle promesse e dei sintomi. L'istituire tra questi fatti una gerarchia e una coordinazione é già il compito dello storico e del politico. L'osservatore realista deve studiare come si comportano rispetto a questi sintomi e ai problemi le varie forze dell'equilibrio sociale. Volendoci riferire ad un esempio il problema del pareggio del bilancio che é il punto più sensibile della crisi economica non può essere risolto con le riforme tecniche perché é un problema di contribuenti: e per chiare ragioni se non altro psicologiche, si riferisce più alle spese che alle entrate. Non riesce difficile constatare attraverso i tormenti degli economisti l'esistenza di una più grave questione di coscienza tributaria. Il problema tributario fu in circostanze economiche e sociali analoghe alle nostre l'occasione di cui l' Inghilterra approfittò sette secoli or sono per darsi istituzioni parlamentari. Il Parliamentum (prima commune cocilium regni) nacque in Inghilterra non come istituto parlamentare, non come teatro di lotte politiche di partiti ma come strumento pratico diretto ad impedire le dilapidazioni a danno dei baroni. Questi si sentivano contribuenti, si sentivano Stato, classe politica, tanto che imposero al Re un vero e proprio contratto bilaterale che fu il iundamentum libertatis Angliae in quanto consolidò la vita economica del paese indipendentemente dalle ingerenze politiche. Il sistema bicamerale ebbe un senso profondo in Inghilterra perché la Camera dei Lords dovette esercitare una specifica funzione finanziaria, che venne poi cedendo alla Camera dei Comuni a mano a mano che la ricchezza affluiva alle classi medie intraprendenti. In Italia lo Statuto, che era stato un frettoloso espediente piemontese nel '48 non risolse, ma fece appena balenare il problema. In Italia il contribuente non ha mai sentito la sua dignità di partecipe della vita statale: la garanzia del controllo parlamentare sulle imposte non era una esigenza, ma una formalità giuridica: il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato; non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L 'imposta gli é imposta. Il Parlamento italiano, derivato, attraverso la Carta francese e la costituitone belga, dal modello inglese esercita il controllo finanziario come esercita ogni altra funzione politica. Così il problema della pubblica amministrazione era stato risolto in Inghilterra con la creazione di una burocrazia non numerosa ferreamente sottoposta alla direzione dei lords insigniti di cariche direttive onorifiche. In Italia il problema della burocrazia non é più solubile dal momento che per fare gli Italiani abbiamo dovuto farli impiegati, ed abbiamo abolito il brigantaggio soltanto trasportandolo a Roma. C'è dunque un tentativo non mai interrotto nella legislazione italiana per far diventare la piccola proprietà un fatto universale, per costringere tutti a questa legge: le classi nullatenenti (primi gli impiegati) partecipare alla piccola proprietà attraverso il parassitismo a spese dello Stato; tanto sotto la legislazione riformista quanto sotto quella fascista. Per la mancanza di capitalisti seri e per i forti squilibrii nella distribuzione della ricchezza non si ebbe nessun tentativo di metter chiaro il problema nel Parlamento. Quando Salvemini propose il rimedio principe: rifiutare votazioni di nuovi tributi che non fossero preceduti dal licenziamento di impiegati inutili nessuno ne discusse sul serio. I pochi capitalisti agguerriti preferirono ricorrere a metodi perfettamente filibustieri e dove la corruzione dei capi del riformismo non bastò armarono gli squadristi per far prevalere i proprii interessi oligarchici. In tutti i casi la loro tattica preferita é di farsi pagare in dazi doganali e sussidi, ciò che devono elargire in imposte. L'operaio e l'agricoltore usano non avvedersi di questo ultimo anello della catena per cui il beneficio iniziale torna a ricadere su di loro. Mancando di iniziativa coraggiosa hanno bisogno di delegare, anche a proprio danno, allo Stato, la funzione di allontanare l'imprevisto e il pericolo. La nostra economia é così arretrata e lontana dai modi squisiti che la pratica del capitalismo ha creato per il controllo e per la continuità della praxis politica che lo stesso Lanzillo parlando di riforma costituzionale non ha esitato a dichiarare che al potere legislativo bisogna togliere il controllo finanziario. Si tende a fare del potere esecutivo un'azienda che si dirige e si controlla da sé, dividendo tra i più vicini partecipanti le rendite ed i canonicati. A questo concluderebbero le critiche mosse alla democrazia! Qui é evidente che la crisi economica si riassume nelle scarse attitudini degli italiani all'autogoverno, che le fantasie antiparlamentari favorite dal fascismo teorizzano nel modo più sconsolante e inconscio. Lo spettro del bilancio può riescire l'indice di tormenti più laboriosi che soltanto il tempo e le rivoluzioni future riusciranno a coronare. Senonché con questa speranza siamo addirittura nei limiti della profezia. Bisogna che nuove condizioni di maturità economica preparino le aristocrazie adatte a sostituire il Governo degli impiegati di Colombino, di Rossoni e di M. Bianchi. Solo con la coscienza di questi fini la rivolta antiburocratica e l'invocazione alle iniziative regionali potranno migliorare il nostro costume politico. ANTIGUELFO.
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