UOMINI E IDEE
Il calderone piccolo-borgheseUn amico democratico ci scrive: "Voi puntate su una borghesia inglese che da noi non esiste. E puntate anche su un proletariato liberale che egualmente non esiste. Può essere che venga su, non nego; ma é cosa lunga e perciò solo anche aleatoria. Io amo stare - e si può politicamente non farlo? - più sul sicuro. Questa piccola borghesia c'è; ed é la sola unica e variegata classe operante politicamente anche se economicamente debole. Fuori del calderone piccolo borghese si lavora a vuoto e non si suscita nulla". Dal calderone piccolo borghese nessun cuoco riuscirà a trarre qualcosa di diverso dal fascismo o dal giolittismo. Retorica e politicantismo saranno vizi inguaribili di un'Italia incapace di vita industriale moderna. La piccola borghesia é la classe degli impieghi, la classe cortigiana, provinciale, pronta alle esaltazioni patriottiche e sportive; costretta dal pauperismo a transigere sulla dignità, attaccata disperatamente a stipendi di fame, ministeriale per sistema, salvo a non credere sul serio a nessun ministero. Si possono trovare tipi variopinti, esempi complessi e discordi, sottoclassi e derivazioni della piccola borghesia ma l'apoliticità, l'immaturità politica, l'esaltazione cortigiana, il parassitismo, sono le caratteristiche costanti di grassi ceti che hanno conosciuto la vita moderna soltanto nelle forme più goffe dell'americanismo sportivo. Lavorando nel calderone piccolo borghese si lavora per un altro fascismo. Non é possibile ricavare di più, con questo materiale umano, di quello che ricavò Giolitti. E oggi un'opera di continuità amministrativa e di riconoscimento delle esigenze dei nuovi ceti, come quella di Giolitti, fallirebbe nell'atmosfera di esaltazione e di irrequietezza creata dalla guerra. La mentalità della piccola borghesia si rivelò più ridicola e più stolida che mai nell'infatuazione per la politica dei combattenti. Non ci fu disoccupato o cervello vuoto, in questi anni, che nelle organizzazioni dei combattenti non abbia trovato il suo posto di perfetto italiano. E sui combattenti si fondano per machiavellismo anche quegli antifascisti, come il nostro amico democratico, che vogliono rimestare nel calderone piccolo borghese. Creerebbero un secondo fascismo. Certo nessun paese offre questo nostro squallido esempio di politicantismo che specula anche su un dovere compiuto. Bisogna avere il coraggio di non stare sul sicuro. Qualcosa fuori del calderone può nascere: anche se non sarà subito borghesia inglese e proletariato liberale. Se al fascismo e ai fanatici del combattentismo sta il rimestare a noi si conviene il precisare idee e interessi. E la politica italiana non avrà un ritmo di serietà prima che siano nate le avanguardie del movimento proletario e borghese. Anche se queste forze saranno una minoranza basteranno per rompere il blocco dei parassiti e costringerli a differenziarsi secondo responsabilità precise. C'è un criterio infallibile per distinguere tra gli italiani d'oggi le persone serie dai politicanti; gli antifascisti dai futuri collaboratori di Mussolini: questi tendono ai blocchi e ai fronti unici, giocano a fare i patrioti, moderano gli spigoli dei loro programmi: per i primi il motto d'azione non può essere che la lotta contro l'unanimità, la resistenza inesorabile, l'intransigenza di fronte a nemici ed amici. Il piatto di lenticchie dell'on. MedaBisogna congratularsi col P. P. I. per l'esclusione di Meda dal parlamento. Ecco un segno preciso di una volontà di chiarificazione inesorabile; importante come il manifesto per le elezioni e come l'intervista anticlericale di Sturzo alla Stampa. Giustizia della storia! Non si offendono le doti di Meda come poligrafo apologetico del cattolicismo pratico, come avvocato e come uomo di equilibrio e di buon senso se si asserisce che egli fu uno dei peggiori responsabili del fascismo. Non si vuol colpire la sua persona onesta e bonaria di manzoniano e di professionista milanese. Dio ce ne guardi! Filippo Meda, parliamo francamente, ora che Mussolini lo farà senatore, riuscì, insieme con De Nicola, la vittima delle aspettazioni che altri si formava di lui. La guerra e il dopo guerra furono singolari nel creare delle fame blande, innocenti, non cercate. Uomini come Orlando, Bonomi, Meda, Boselli, Facta, a cui nel periodo giolittiano si poteva pensare di offrire un sottosegretariato o il ministero delle Poste (fu indulgenza, non ancora smodata, di Giolitti mandarli alla Giustizia e ai Lavori Pubblici!) si trovarono, a causa delle sorti singolari che subivano le figure di primo piano come Giolitti, Nitti, Sonnino, Bissolati, presidenti e candidati alla presidenza per il fatto solo di non essersi compromessi per meriti speciali e di non essere pericolosi per nessuno. Oggi si cede al vezzo di deplorare Barberis e Bombacci deputati e non ci si avvede che erano segni ben più preoccupanti di pazzia collettiva la candidatura di De Nicola alla presidenza, per le simpatie che egli si cattivava come testa vuota e donnina facile, o l'improvvisa scoperta che il tecnico De Nava poteva riuscire la risorsa del giorno. Se l'Italia fosse stato un paese serio avrebbe potuto avere col partito popolare un esperimento anticipato e caratteristicamente latino di laburismo al potere. Senonché... il Mac Donald del P. P. I. era Filippo Meda, e F. Meda teneva studio d'avvocato a Milano. Gli uffici di avvocato e di deputato si possono utilmente sommare con la sola sorpresa di trovarsi moltiplicati gli incassi. Se il deputato é stato per qualche tempo ministro o presidente della Camera la moltiplicazione ancora se ne giova. Ma non si può conservare questa linea. Non giova diventare leader e ministro insostituibile. Bisogna sacrificare una delle professioni. Quasi tutti i parlamentari italiani del dopo guerra trovatisi a questo partito, scelsero di non sacrificare lo studio legale. Fu una nobile prova di modestia, un riconoscimento generoso delle proprie abitudini patriarcali, del proprio spirito parco, ordinato e provinciale. Che onesti sudditi, che ufficiali modello si potevano cavar fuori da questi uomini nelle felici amministrazioni del Lombardo-Veneto e del bel regno di Franceschiello! E avrebbero lasciato beatamente la politica a Radetzky. Non si può dire che la linea di condotta di F. Meda, uomo di probità riconosciuta, corrisponda a un calcolo di utilità personale; le cose sono assai più gravi: é in questione l'istinto italiano del poligrafo, dell'uomo di bella e varia cultura, dell'apolitico che sente la politica secondo i costumi dell'accademia, che ignora i problemi delle forze in giuoco e dell'intransigenza ideale. Messe le cose in questi termini bisogna spingere la sincerità fino in fondo: e la direzione del P. P. I. ha ragione di accorgersi che i discendenti di Esaù non sono fatti per la politica. Per una scuola operaia"Il concetto volgarizzatore delle biblioteche popolari - scrive Guido Santini nei Diritti della Scuola del 27 gennaio, - ne fa veramente archivi di nozioni da travasare a caso. Non già che le nozioni siano disposte a caso tra loro dal bibliotecario o dai suoi collaboratori. Sono anzi ordinatissime. È il loro ordine, il loro insieme, che, in chi lo riceve, né presuppone lavoro di critica seria dei problemi, né provoca un ulteriore e fecondo lavoro di svolgimento. E se il lavoro non c'è né prima né dopo ma si limita a ricevere un ordinato quadretto di scienza, si tratta proprio di un vero travasamento, che, per l'indeterminata curiosità di chi riceve e l'indeterminato scopo di chi offre, avviene propriamente a caso. Ma come! Il tirocinio di disciplina che la dura realtà impone a chi deve vivere di scienza vogliamo sottrarlo a coloro che con la scienza intendiamo d'elevare a un disciplina superiore? Bisogna tornare al concetto che la scienza non é che lavoro, e che perciò il lavoro solo può acquistare valore di scienza, anche il lavoro manuale. Se il vero é lavoro, colloquio straziante dell'uomo con la realtà eterna, quest'abboccamento può avvenire in qualunque condizione, perché in nessuna l'uomo é come campato in aria. Perciò la scienza deve educare il popolo a cercare l'eterno nel proprio lavoro manuale, e non deve dargli per soluzione di questo problema l'universalità di un diverso lavoro. Le biblioteche popolari non possono essere altro che un nuovo ramo delle biblioteche serie; biblioteche di lavoro". Una critica del concetto di cultura popolare, quale fu inteso sinora in Italia, non sarebbe chiara se non si convertisse in un processo alle psicologie da cui scaturì il vecchio movimento socialista. Si consideri la figura di Prampolini nobile simbolo delle aspirazioni e degli ideali dominanti: vagheggiava l'apostolato con entusiasmo tolstoiano; il culto della scienza (intesa come nei secoli dell'ancien régime, con spirito aristocratico e quasi dilettantesco quale ricchezza di nozioni e disinteresse di ricerche) tranquillamente accordato con l'amore per le plebi. Il socialismo turatiano, in ciò che ha di più bello e di più generoso, é identico con lo spirito dell'intelligenza russa. Nulla di marxismo: quando i comunisti torinesi nel 1919 tirarono in campo Marx li si trattò da eretici, da cinici, da dialettici esasperati ed esasperanti. Divulgare la cultura era tutto: poche epoche si conobbero (almeno in Italia, dove alla scienza cortigiana stette sempre di fronte un popolo barbaro) di così ingenuo illuminismo, di così onesta dedizione agli interessi delle classi umili. I capi socialisti (tutti della media borghesia) volevano avvicinarsi al popolo, andare al popolo, ch'essi intendevano come plebe bisognosa di ricevere il dono sinora interdetto del sapere. Le Università popolari in cui questi sogni si incarnarono furono la più bella caricatura delle università borghesi. Per la cultura generale degli operai vi si parlava di Beethoven e delle macchie lunari, di Kiu Youen poeta cinese e della "mammina" di Rousseau. Va sans dire che gli ascoltatori addomesticati di queste conferenze si trovano ora tutti nelle corporazioni sindacali e probabilmente sono fascisti convinti. Pensare che i socialisti inorridivano quando noi dichiaravamo di preferire gli operai che la domenica vanno a bere il litro! Bisogna rifarsi da capo se si vuol creare un tipo di scuola proletaria, di scuola operaia. Niente concerti di musica classica, ma, se occorre, incominciare, per la cultura musicale, da Bandiera rossa e dai canti popolari. L'arte degli operai come di tutti i primitivi, non può essere che applicata - per quel che riguarda l'ispirazione. Per gli egiziani il punto di partenza era il sarcofago, per i cristiani le catacombe, per essi sarà la fabbrica. Nell'architettura della fabbrica c'è posto per la poesia e per la politica, per la filosofia e per la tecnica. Tutti i congegni dell'industria moderna diventano accessibili all'operaio se glie li fate vedere dalla sua macchina senza corsi di matematica e di astronomia. Attraverso la sua esperienza cotidiana di lotta di classe gli potete far intendere tutte le teorie del commercio, dell'equilibrio economico, del realismo etico. E non ci può essere la scuola operaia, ma le scuole operaie, la scuola della Fiat, la scuola degli operai della seta, la scuola dei manovali. Anche il popolo ha le sue aristocrazie, e non lo si può trattare senza riguardi come un caos indistinto. Senonché per questa scuola, nella società presente, chi ammaestrerà i maestri? Gentile usurpatoreHa detto Marinetti: "Il mio amore devoto per il fascismo e la mia amicizia per il grande e caro Mussolini mi impongono di dichiarare francamente che la Riforma Gentile é assurda, passatista e antifascista". Marinetti ha ragione e Mussolini ha torto quando lo contraddice. La riforma Gentile é reazionaria più che fascista. Le due cose si possono distinguere. La reazione fascista ha un colore latino, sovversivo, futurista. Gentile ha imposto un abito lugubre, clericale, bigotto, un dottrinarismo saraceno. Anche tra gli uomini c'è una bella differenza e Marinetti africano internazionale potrà sempre vantare diritti ben più seri di precursore e di interprete autorizzato che un ex-professore, se non altro perché fu compagno al Duce nell'ora della sventura. L'arte di Marinetti è tutta una preparazione alla marcia su Roma; arte di commesso viaggiatore, di oggetti sportivi, di squadrista rumoroso, di studente sovversivo. Mussolini é riuscito perché l'esperienza di Marinetti gli ha aperto la via: fu Marinarti il primo a dare il tipo di un movimento milanese, a mostrare come si crea, come si improvvisa. Marinetti preparò l'élite dell'Italia ministeriale di oggi: Carli, Settimelli, Bottai, Bolzon, ecc. Soltanto a Milano si acquista il senso della realtà, si fa della politica anche col romanticismo; si utilizza il repubblicanismo tendenziale per servire la monarchia. Marinetti bandiva da corso Venezia il culto della velocità e del progresso, dello sport, del coraggio, della guerra solo igiene del mondo. Questa era la psicologia del primo capo della prima rivoluzione fascista: una fantasia africana di immagini torbide e lussuriose sotto la faccia tosta più imperturbabile; un romagnolo bisogno di espansione sotto il cipiglio severo e sentenzioso. Precursore dell'uomo del dopo guerra, dell'uomo della spedizione punitiva: di queste figure così squallide di eroi ai quali manca possibilità di confidenza e intimità: che predicano la violenza esterna per paura della solitudine, per paura di dover fare i conti con sé stessi. La maschera e il cipiglio dovrebbero nascondere l'aridità. Tutti hanno in mente le incarnazioni più solenni e terribili di queste classiche figure del fascismo. Ma a Marinetti bisognerà sempre tornare per trovarne la genesi. Gentile non é abbastanza dinamico, non é abbastanza sovversivo. C'è solo un altro uomo in Italia che superi Marinetti nella sfrontatezza e nella monotonia dell'improvvisazione e che abbia come lui la compromettente e ineducata abitudine di pensare in pubblico. E il pensare in pubblico esclude in questi casi il pensare in privato. Nessuno saprebbe dare torto a Marinetti. La storia é stata ingiusta e ingrata E Gentile é un usurpatore. Il ministero della P. I. non spettava a lui. L'ironia di GiolittiQuando Giolitti fece approvare alla Camera la riforma elettorale mussoliniana giurammo a noi stessi di non discutere più i suoi atti in sede politica, sembrandoci che egli ragionasse ormai sul... terreno elementare degli istinti c dei sentimenti più personali. Era inutile parlare del Giolitti vecchio quando ci trovavamo davanti Giolitti giovane in camicia nera. Invece il vecchio ci smentisce. A ottant'anni ha trovato la forza di una ribellione, di una silenziosa protesta da sovversivo. Considerate il tono in cui ci presenta la sua lista: Soleri Marcello, ex-combattente, ex-ministro, deputato uscente. Villabruna Bruno, ex-combattente, deputato uscente. Artom Eugenio, avvocato, ex-combattente. Cantono Ceva Giovanni, mutilato di guerra. Poco mancò che a Luigi Ambrosini non aggiungesse in perfetto stile ufficioso la designazione "illustre letterato"! Queste elezioni saranno la tomba dei combattenti: diventano tutti deputati! Il governo fascista oltraggia la guerra e i decorati, li riduce a strumenti elettorali, li inizia per i bassi servizi di Montecitorio. È evidente che coi sistemi di Mussolini si prepara la rivolta contro gli ex combattenti, il linciaggio delle medaglie d'oro. Il solo nome che oggi saprebbe trascinare le masse, muoverle per un significato ideale é Misiano e i comunisti furono ben poco coraggiosi rinunciando a presentarlo! Ma il segno più audace di questa liquidazione del combattentismo come politicantismo viene da Giolitti. Il "disfattista" offre la più bella caricatura degli esibizionisti del governo della trincea. È uno schiaffo a Mussolini, una sfida. Il neutralista, l'amico di von Bulow, diventa il rappresentante degli ex-combattenti, dei mutilati di guerra! Mette avanti anche lui le ferite e le medaglie d'oro e ritorna decorato a Montecitorio! È il regime minato, canzonato, deriso. L'ironia di Giolitti affronta Mussolini nel suo terreno, coi suoi mezzi: il mussolinismo non ha armi contro un mussoliniano di tale razza. Il duello é piacevolissimo per gli italiani: essi sono contenti di vedere le posizioni così confuse, la dignità spregiata, le convinzioni mascherate e mercanteggiate. Si lascia portare anche a Giolitti la croce di guerra. I gladiatori si sono scambiata la parte. Gli spagnoli che si vantano di glorie moresche prima che di glorie romane usano affidare le parti ai galli, e così sfogano i proprii gusti per le scommesse. Ma noi teniamo al verisimile e abbiamo trasportato a Montecitorio il circo e le emozioni del totalizzatore. Un telegramma di FacchinettiFacchinetti ci telegrafa da Milano in data 15 corrente: "Mai progettato col mio consenso nessun blocco elettorale abbracciante partiti e gruppi da Corgini a Giolitti, a Misiano. Mai discusso costituzionale direttorio composto Turati, Bonomi, Graziadei, Facchinetti, Mauri, Cocco Ortu, per garantire risum teneatis il governo del 7 aprile. Mai sentito pronunciare da Mussolini frasi da voi attribuitegli sciocche per se stesse fino alla evidenza". Facchinetti smentisce ciò che a Milano e a Roma tutti sapevano e si confidavano in gran segreto per via, o al caffè, alla Redazione della Giustizia, all'Avanti! o al Domani d'Italia. Ognuno parlava del blocco confidenzialmente, raccomandando all'altro il segreto, da buon cospiratore. Non avendo ancora perduto il senso dell'ironia noi accennammo al fatto scherzosamente e velatamente, con dei particolari caricaturati per non danneggiare troppo i signori del complotto. Per non sembrare dei delatori (sebbene il segreto fosse di Pulcinella) mescolammo ad arte il vero con credibili fantasie. Facchinetti non ha capito la caricatura ed é caduto. Che egli abbia pensato al blocco sul serio è provato luminosamente, non tanto dai testimoni autorevoli che noi potemmo presentare, quanto dal fatto che egli solo tra i signori tirati in ballo, chi per scherzo chi sul serio, si é affrettato a smentire! Egli é veramente l'eroe e il martire del blocco. E' il suo segreto, la sua idea fissa. E non fu infatti Facchinetti con altri mutilati e combattenti l'ispiratore della commedia socialista del 4 novembre? Basta questo machiavellismo per confermare la nostra definizione del Facchinetti, martire del blocco. A blocco fallito giova negare anche se la confidenza é diventata di dominio pubblico. E lo stesso può valere per il colloquio con Mussolini a cui nessun testimonio oculare fu presente. Anche del colloquio con Mussolini Facchinetti smentisce le frasi, ma tace su la sostanza del nostro attacco. Il quale non deve e non può essere frainteso: esso riguarda la tattica e il machiavellismo di Facchinetti, come di tutta l'opposizione che si vuol fondare sui combattenti e continuare l'equivoco patriottico del fascismo e lascia fuori questione la sua onestà. p. g.
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