IL CAPPONE RIPIENO

    "Non hai mai osservato, ragazzo mio, in qualche affumata cucina, l'opera meravigliosa dei cuochi, quando per avventura debbono apprestare un pasticcio, un piatto composito, un cappone ripieno e farcito? Si dipinge sul loro volto sudato il divino piacere dell'arte, il senso dolcissimo ed ineffabile della creazione, ed insieme un grasso sorriso paterno. Fra il lucido untume delle casseruole l'opera splende. Lo sviscerato cappone viene privato dell'ossa, finché si riduca a un molle ammasso di tenere carni; e per il buco fatto dalla natura, ma che il sapiente coltello ha allargato, viene spinta e pigiata ogni grazia di dio. E c'entra la carne di porco, grassa e rosata, e i finocchi, e l'aglio, e le ova; e le sapide rape, e il castrato; e i pinoli, e le mandorle amare; ed il tenero agnello, ed il bove; e la zucca ed il cavolo; e i ritagli di vecchie carni stracotte e verdure avanzate. Che importa se alcuno di questi ingredienti sia malandato e stantio, o se appaiono non confacersi tra loro? Se nei vecchi libri si legge "allium calidum est et alvum movet, et urinam ciet, oculis vero non est commodum, brassica calefacit et amygdalae aestuosae sunt, cocurbita contra frigidissima; carnes bubulae alvum sistunt, asininae alvo secedunt, et pullorum adhuc magis, suillae multum alvum movent"? Ogni cosa diversa si confonde e si sperde, quando é entrata nel buco ospitale: il cappone senz'ossa gioisce di nuove viscere. A tavola, per quanto tu abbia il palato fino, più non distingui carne da carne, il fresco dal conservato, il cappone dal porco. Tutto é stranamente fuso e confuso, disciplinato: una incerta profumata delizia bea il palato dei banchettanti felici.

    E il cuoco divino? Conosco uno solo capace di togliere anche le ossa ai virili capponi, e di empirli di nettare lardoso. Uno solo é così esperto da servirsi di tutti i rifiuti.

    Tutto serve, tutto entra, capisci, anche il lesso di ieri, anche se comincia a puzzare. Nulla si lascia da parte. Una cosa sola non mi va troppo a genio: mi sai dire perché Enrico Ferri fu dimenticato? Asininae tamen alvo secedunt...".

    Forse il vino dolcissimo di Valpolicella l'aveva un po' esaltato, sí che il naturale amore per i pollastri farciti e quello più patriottico per il Re dei cuochi, lo inducevano a strani accostamenti e confusioni, e a giochi eroicomici di parole. Ma mi parve che solo così, come con confuso e poetico discorso si esprimeva il mio ospite, vecchio medico grasso, epicureo, rispettabile e mussoliniano, nel bel mezzo d'un pasto copioso - solo così e non altrimenti potrebbe essere cantata la gran gesta; mi sembrò che per questo gli italiani la ammirino, attendendo un poeta che la rivesta di maccheroniche rime. Forse la verità che é nel vino aveva ispirata al mio buon dottore la migliore possibile definizione ed esaltazione della politica demiurgica.

c. l.