NOI E GLI ALTRI

    Il fascismo, che prima della marcia su Roma ha saputo, sia pure uscendo dai limiti della legalità ed imponendo l'idea con la forza, conquistarsi, come minoranza, il diritto alla vita ed all'azione, oggi di fatto ed in teoria nega la concezione liberale dello Stato come oltrepassata dall'incalzare degli avvenimenti e non si limita, come vorrebbe una logica interpretazione dialettica del suo precedente orientamento a impedire, sin che la forza gli duri, il libero esercizio di ogni attività degli avversari ma vorrebbe che a tale negazione gli avversari dessero il loro consenso.

    Questa deformazione non certo strana in un movimento agito da forze passionali e retoriche e privo di una austera preparazione politica, prende le mosse da un'osservazione solo in apparenza rispondente alla realtà, di fatto superficiale e dubbia. Le vicende politiche di questi ultimi anni, secondo il pensiero fascista, manifesterebbero presso tutti i popoli europei la volontà di rinunziare all'improba fatica dell'auto-governo, la volontà di accettare in cambio di tranquillità e di benessere materiale la paterna dittatura di un generoso signore o di un partito. Senza rievocare le folle care a Mussolini che chiedono acqua e non libertà, basterebbe ricordare il compiacimento col quale dalla stampa ufficiale e ufficiosa e dal Presidente del Consiglio stesso si parla del segreto desiderio di una dittatura - stile Italia 1923 - serpeggiante in molti Stati della vecchia Europa indebitata.





    Che l'indomani di una lunga guerra, nel corso di una perdurante crisi economica, i popoli non solo moralmente ma anche fisiologicamente debilitati dalla immane fatica durata possano desiderare una arcadica e tranquilla esistenza scevra di ogni più acerba preoccupazione - che un Cirenco in veste dittatoriale su di sé con divino sacrificio assuma - é possibile, é comprensibile; ma non sappiamo quanto sia accorta misura politica lo spingere e l'incoraggiare i popoli stessi a perseverare in tale colpevole poltroneria.

    Ma a parte questi discorsi sulla posizione rispettiva del fascismo e del nostro neo-liberalismo, ci interessa ora piuttosto di fare una constatazione: di fronte al fascismo si sono anche schierati i seguaci di attive correnti politiche dalle diverse frazioni dal social-comunismo ai popolari di sinistra a una parte dei democratici.

    È innegabile che, almeno nella loro formulazione dialettica, esistono nelle ragioni determinatrici della posizione da essi assunta di fronte al movimento avversario, punti di contatto con quelle che giustificano la nostra. Ora, ci si può chiedere se tali punti risultanti dal comune orientamento preso rispetto ad una situazione determinata, abbiano ragion d'essere soltanto per quanto riguarda la parte negativa del nostro schema ideale (difesa delle libertà individuali e collettive fondamentali) o anche nei riguardi della parte positiva della nostra dottrina, del programma cioè di ricostruzione o meglio di formazione ed educazione dell'embrionale corpo politico nazionale.

    In altre parole, il liberalismo attuale dei gruppi socialisti e della sinistra popolare e democratica é pensiero centrale della loro azione o è atteggiamento opportunistico, nato dalla necessità contingente della lotta politica?





    Per questa loro caratteristica possiamo anzitutto ritenere che essi seguano una logica, ferrea, linea di condotta secondo la quale, al di là di ogni ragione dottrinale, sono costretti a far parte dell'opposizione al fascismo in quanto dal fascismo sono stati battuti sul terreno dei fatti contingenti. Ma a noi che non costituendo partito organizzato non abbiamo posizioni da difendere o da conquistare, interessa vedere se realmente il loro atteggiamento si giustifichi in rapporto ai principi fondamentali che li reggono.

    La cosa assume importanza tanto più alta in quanto più decisamente saremmo portati da naturale inclinazione a rivolgere di preferenza i nostri sforzi al mondo del lavoro. Non che l'idea liberale, fermento attivo che in ogni classe può essere sorgente di azione cosciente, di autonomia ed intransigente affermazione di forza, pur illuminata da una esatta comprensione e da un leale rispetto delle forze contrastanti - debba solo nel campo proletario trovar motivi di fecondo sviluppo, ma nelle schiere operaie ci sembra si possa trovare e destare una più pura vena di probità politica, vena non ancora profondamente intorbidata dal contatto con la tradizione burocratica ed accomodante di un cinquantennio di vita di governo italiano. Appunto per questo, pur non facendoci soverchie illusioni, al movimento operaio di preferenza vorremmo portare il nostro contributo ideale: è necessario però che in esso integralmente e senza limitazioni il nostro pensiero venga presentato. Ardua impresa senza dubbio che inizialmente leverà contro di noi più che di fianco a noi gli operai prima, da una lunga predicazione di dogmatismo socialista, permeati di aspirazioni palingenetiche e quindi tratti ad una errata sopravalutazione della loro forza; poi, da una irrazionale pratica sindacale fascista, allontanati dalla coscienza della loro funzione e della loro effettiva potenza.





    Non crediamo di dover prendere in particolare considerazione i motivi ideali che spingono la democrazia all'opposizione. Ridotta a congrega di pochi uomini in fregola di realizzazioni personali, - che tutto sarebbero disposti a sacrificare, anche gli immortali principii, spesso melodrammaticamente rievocati, pur di arrivare alla soddisfazione delle individuali ambizioni - questa opposizione si riduce ad una attesa ed alla ricerca affannosa di un punto sul quale costruire motivi di collaborazione. Un residuo di dignità la spinge a pretendere che il fascismo le faccia l'onore di accogliere le sue buone intenzioni concedendole almeno una parvenza di considerazione. E siccome il fascismo, che è il più forte, può permettersi il lusso di fare della intransigenza formale, é probabile che essa debba apprestarsi al gran passo senza condizioni curvando la schiena sotto le forche caudine.

    È ugualmente difficile poter ammettere che i fatti che avvicinano a noi quello che fu il movimento popolare, o meglio quella frazione del P. P. I. che non ha ancora rinunziato ai motivi della sua opposizione al fascismo, superino il limite della casualità e non siano transitori. Il P. P. I. non può dare che manifestazioni esteriori e superficiali di tendenza democratica e liberale per le sue stesse premesse dogmatiche.

    Altrettanto si deve dire del partito socialista e di tutte le sue frazioni; crediamo invero che solo le necessità attuali della lotta politica lo abbiano condotto ad una opposizione vivace nutrita di passione libertaria.

    Il proletariato, che il socialismo ha ormai inquadrato nei ranghi della sua ideologia, appare a noi come fascio di forze in costante evoluzione; capace di esprimere dal suo seno élites che si affermano con interessi di natura prettamente borghese, ma pure di esercitare una funzione autonoma e differenziata nel governo dello stato in quanto oggi sappia conquistare, e domani e sempre difendere in una perenne riconquista, il suo posto nella società e nella Nazione contro forze vecchie e nuove.

    La sua potenza é e sarà in funzione della sua attitudine alla lotta, della sua perseveranza in essa.





    Presupposto di questa nostra formulazione teorica (che ci porta necessariamente a negare valore ai frutti di compromessi e di patteggiamenti ed efficacia e dignità alle conquiste strappate colla complicità dello Stato) é il nostro agnosticismo rispetto alle forme economico-sociali avvenire; agnosticismo che ci permette di escludere, poiché nessuna messianica aspettativa ci allieta l'animo, che la società odierna debba necessariamente e durevolmente sboccare in un ordinamento nel quale la libera esplicazione della attività produttiva individuale sia sorverchiata e sostituita dalla collettiva.

    Una spassionata interpretazione dei fatti economici ci permette di giudicare che solo il principio di convenienza individuale può determinare la forma della struttura della società in un momento dato; che non esiste quindi alcuna struttura economica definitiva ma che i due principii, quello individuale e quello sociale, apparentemente antitetici, potranno temporaneamente prevalere l'uno sull'altro non mai escludersi a vicenda; essi, in diverso variabile rapporto, dovranno coesistere perché interamente sia esaurita la necessità di soddisfare dei bisogni - che solo l'individuo sente - in perenne, costante trasformazione quantitativa e qualitativa -molla prima e fondamentale di ogni attività - e sia soddisfatto quell'istinto di differenziazione degli individui e dei gruppi troppo evidente perché possa essere negato.





    Se ciò ci fa seguire con vigile simpatia ogni tentativo di realizzazione collettiva, purché entri sinceramente in aperta concorrenza con le individuali, in quanto dimostra una decisa volontà di affermare con più potenti mezzi una forza nascente e di lealmente misurarla nel grande agone, ci distingue e ci allontana dalle dottrine socialiste le quali, fondate sul presupposto di una evangelica tendenza umana alla fraternità, ammettono possa l'individuo giungere ad identificare sé stesso nella collettività, a pensare, ad agire, a godere come parte di un tutto e possa quindi un giorno, quando la necessaria evoluzione materiale e spirituale sarà compiuta, adagiarsi nel raggiunto nirvana della più perfetta armonia sociale.

    Non é difficile dimostrare che tra quel punto di partenza pieno di roseo ottimismo e questa ancor più rosea conclusione non vi é posto per una concezione liberale che non sia mera espressione di opportunismo, non risponda cioè momentaneamente a ragioni di tattica elettorale.

    Se é vero che il socialismo é la teoria di un ordine futuro, come tale non si può manifestare che traverso inesausti tentativi di realizzazione. Chi possiede o crede di possedere la formula della verità, la chiave dell'ordine immutabile e perfetto delle cose non può e non deve sfuggire al dovere di costantemente, con tutte le sue forze e con ogni mezzo agire per raggiungere ciò che oggi é sogno e domani crede possa essere realtà.

    Il liberalismo in questo giustifica e spiega la funzione del socialismo quale forza sentita dalle masse e quindi non unica ma non trascurabile nell'equilibrio dello Stato. Lo spirito critico di chi il socialismo propugna non può, senza venir meno alle necessità fondamentali dell'azione, giungere ad ammettere che il suo programma, mentre ha ragion d'essere ideale e pratica in quanto animatore e suscitatore di fede e di azione, possa trovare attuazione limitata da mille programmi concorrenti che alimentano azioni e speranze di molte altre delle classi in cui si divide la società; che la realtà futura conterrà senza dubbio alcuni elementi fondamentali di esso, ma sarà probabilmente assai diversa di quella rigidamente architettata perché dai mille altri pure avrà tratti i suoi elementi costitutivi.

    Essenza dell'ideologia socialista é un concetto ancor oggi incompletamente elaborato ma nelle sue linee generali definito, dogmatico; il concetto della vita sociale, al contrario, solo nella relatività delle forze trova la sua formulazione assoluta.





    Nel porre le nostre speranze di chiarificazione della politica italiana specialmente nelle forze del lavoro ci si impone il dovere di asserire senza limitazioni mentali questo nostro concetto della vita politica, che postula, in tutti i campi della vita economica e politica, l'inserzione di una coscienza ben chiara della necessità della lotta e della concorrenza delle tendenze ideali perché l'interferenza delle correnti che creano e creeranno la realtà ne siano spontaneo e valido effetto.

    Questo, ripetiamo, é il punto nel quale si manifesta il profondo dissenso che ci separa dalle ideologie che oggi in sé stesse assommano il movimento operaio italiano, promettano esse il raggiungimento di un eden collettivista o l'armonia di un collaborazionismo di classi sotto la egida paterna dello Stato.

    Se vogliamo che nella libera concorrenza di tendenze diverse ogni forza debba saper assumere una rigida intrasigenza spirituale e programmatica, non possiamo ammettere che lo Stato, il quale non può essere che la risultante delle forze stesse, venga ridotto a strumento di un partito; quando, e forse é fatale, così avvenga - in quanto il mezzo col quale le classi tendono ad assicurarsi il raggiungimento dei loro fini economici particolari é la conquista del potere -, noi crediamo di compiere il più sacro dovere ponendo in luce con una critica inesausta i danni di una teoria dogmatica di governo ed eccitando e difendendo l'attività delle forze contrarie perché sia ristabilito nella lotta un fecondo e spontaneo equilibrio.

    Questa nostra posizione, apparentemente fuori delle vie lungo le quali si urtano, si sommano e si disgregano le correnti attive di interessi e di tendenze, trova una giustificazione e una necessaria ragione di essere nel fatto che la struttura sociale moderna, a differenza dell'antica, non é la risultante dell'esistenza di categorie ben definite e nettamente differenziate per cui l'una può sulle altre ad un momento dominare e in sé sola identificare lo Stato, ma la risultante di una stretta interdipendenza di tutte le categorie stesse, di una collaborazione che supera, per la sua stessa fatalità, la volontà intransigente dei singoli e che appunto perché rispondente ad un concetto di universale necessità non può essere fissata che traverso una lotta aperta, libera e instancabile.

    Errano coloro che credono l'idea liberale sia morta; essa, pur ora nata, si impone tanto più decisamente quanto più complessa diviene la vita sociale poiché questa per la sua stessa complessità sfugge al dominio di ogni individuo e di ogni sistema.

RICCARDO BAUER.