UOMINI E IDEE
Secondo elogio di FarinacciIn Cremona Nuova del 12 febbraio l'on. Farinacci scrive: "Nessuno può e deve dimenticare che il leader degli oppositori., Ivanoe Bonomi, fu successivamente antifascista e fascista: antifascista nel ministero Giolitti; fascista nel periodo elettorale. Ricordiamo, fra i molti, un episodio che lo caratterizza e lo definisce. Eravamo una sera a Mantova, quando giunse la notizia delle violenze socialiste a Poggio Rusco; fu Bonomi - ministro scadente - che mise la automobile ministeriale a disposizione dei fascisti che nella notte stessa dovevano distruggere la cooperativa di quel paese! E nelle giornate meravigliose della lotta elettorale del 1921, lo vedemmo marciare sotto i nostri gagliardetti, e assistemmo ai suoi comizi ben protetto dalle balde nostre camicie nere. Coll'aiuto dei nostri voti riuscì capolista nella circoscrizione di Mantova-Cremona". "Nel 1919, durante quel burrascoso periodo elettorale, noi fummo a fianco di Leonida Bissolati. Questi - mentre in automobile si portava con alcuni amici a Piadena per tenervi un comizio, che poi non tenne perché impedito violentemente dai socialisti di Garibotti, Turati, Treves e compagnia, i quali lo insultarono, lo sputacchiarono e gli usarono ogni sorta di violenze, e peggio gli sarebbe occorso se attorno a quegli che un giorno fu il nostro maestro non si fosse serrato un forte gruppo di fervide anime giovanili - discorrendo del ministero Orlando, dal quale si dimise per ragioni di coerenza, definì Bonomi un "uomo la cui ambizione lo rendeva compassionevole". Bonomi e Berenini avevano dichiarato a Bissolati di essere completamente solidali con lui nelle direttive della politica esterna assicurandolo inoltre che lo avrebbero seguito in ogni sua decisione. Bissolati si dimise, ma Bonomi rimase al Governo, pronto a mutare pensiero ed atteggiamento". L'on. Farinacci é il tipo più completo e rispettabile che abbia espresso sinora il movimento fascista. Non solo come uomini politici, ma come coscienze, per disinteresse e austerità personale, i ras Farinacci, Barbiellini, Baroncini, Forni, sono superiori a tutta la schiera dei ciarlatani del revisionismo. Già il revisionismo é nato a Roma, all'Excelsior, confortato di ricche prebende, mentre i ras rappresentano la provincia, si battono per esigenze concrete, si sacrificano come disperati, non si sono parlamentarizzati, sono rimasti barbari, sdegnosi di Capua o delle mollezze romane. Farinacci non teme di parlare di Bissolati come del suo vecchio maestro; e un democratico autentico non può esitare a sentirsi oggi cento volte più vicino a Farinacci che a Massimo Rocca. Farinacci é certo meno schiavista del commendatore Libero Tancredi, e i patti di lavoro ispirati da lui nel Cremonese, come quelli di Forni, Baroncini e degli altri "ras", non sono un tradimento per il movimento proletario, sono i migliori patti di lavoro vigenti oggi in Italia. Altro che sindacalismo di Rossoni e di Michelino Bianchi! Farinacci é nemico del prefetto, non può soffrire gli ordini di Roma, di quelli che non vedono e credono di vedere, e risolvono tutto con schemi teorici e leggi generiche. Di fronte al prefetto Farinacci rappresenta la rivoluzione, il principio dell'autogoverno, la sovranità popolare. Rendiamogli onore: lo spirito di Bissolati é in lui, almeno nei limiti in cui può esserlo un fascista. È un discepolo onesto: non ha venduto Cristo per i trenta denari di un Ministero di Lavori pubblici. Si dice che Farinacci non abbia cervello. Senonché quando il cervello serve ai sindacalisti fascisti per diventare deputati e agli ex-anarchici per diventare commendatori, non ci dovremo rammaricare se al posto del cervello e delle filosofie politiche troviamo in un uomo dell'intransigenza. Forse é qualcosa di meglio. L'Italia ha più bisogno di caratteri che di pseudo-filosofanti. Nell'invettiva di Farinacci contro Bonomi si sente il fremito di una coerenza; un fatto più nobile e più ideale di tutte le teorie trasformiste dei troppi neo-Fera fascisti. Fisiologia del fascismo sloveno"Gli sloveni sentono e godono il benessere della disciplina, essi che dell'Austria ammirarono sopra tutto la disciplina e da questa virtù che si palesa traggono ragione a giudicare l'Italia molto diversa (quale effettivamente é) dal paese spregevole che avevano additato sempre alla loro inimicizia l'Austria prima, gli agitatori nutriti di virus austriaco poi". (Dal Resto del Carlino del 10 febbraio). Vengono in mente le parole di Obliubek, rappresentante dei sindaci sloveni al prefetto di Udine, in commemorazione della marcia su Roma. "In ricorrenza dell'anniversario della vittoria fascista, rinnovatrice di spiriti, e conquistatrice del diritto italiano, anche noi sindaci rappresentanti della popolazione allogena, orgogliosi di appartenere alla potente Italia, salvata e guidata dal Duce, rinnoviamo il solenne giuramento di fedeltà e promettiamo di proteggere tenacemente il fascismo e di collaborare sinceramente col Governo fascista. Quindi porgiamo alla signoria vostra, degno rappresentante del forte ed equo Governo fascista, ossequiosi saluti". Ecco due testimonianze solenni di austiacantismo fascista. Le parole del Resto del Carlino sono un giusto elogio alla saggezza di Obliubek che conosce esattamente il suo padrone. Veramente nella serietà impassibile di questo amministratore c'è ancora la sagoma del suddito fedele di Francesco Giuseppe. Invece il lealismo strisciante e untuoso, e la retorica prepotente del cortigiano rivelano già l'italiano di elezione, servitore accomodante dei parvenus. Il signor Obliubek è il tipo ideale del suddito vagheggiato dal nostro amabile presidente. Esemplari perfetti di questa specie in Venezia Giulia si possono solo trovare tra gli sloveni. Io ne ebbi l'impressione esattissima osservando le prime reazioni alla politica fascista, a Gorizia, nel dicembre 1922. Le industrie e i commerci, condotti in gran parte da italiani, ma con molti operai ed artigiani sloveni, definiscono un ambiente di media borghesia più attivo e intraprendente che avventuroso, educato dalle leggi austriache sulla piccola industria alle abitudini della parsimonia e del risparmio. Il proletariato ha avuto con l'Austria i più rari istituti di legislazione sociale (per es.: le Casse Malati), non pensa da straccione, ha la sua dignità, é comunista in politica, transigente in economia poiché il ritmo di vita non permette le forme più vive di lotta di classe. L'ambiente ha il suo pensatore: Tuntar, un ideologo primitivo con una sete tutta slava, quasi viziosa, di concetti e di sintesi storiche. Prima della marcia su Roma l'amministrazione comunale era nata da un accordo salveminiano tra gli artigiani slavi e i commercianti italiani, a capo del blocco stavano alcuni giovani intellettuali e professionisti, prima della guerra nemici dell'Austria per un istinto liberista e libertario; poi ad annessione avvenuta, alquanto sconcertati, privi di quella che era stata la loro idea centrale: l'irredentismo, ma ostinati in una fede democratica e nel culto della probità amministrativa. Inerte tra i salveminiani e i comunisti, il fascismo dovette cercare i propagandisti dei suoi metodi di paterna violenza tra gli antichi austriacanti. In un secondo tempo importò dal regno un po' di gente seria, napoletana o bolognese, affezionata borbonicamente allo stipendio. Ho potuto parlare con uno dei capi, meridionale, gaudente. In un mese di soggiorno a Gorizia aveva avuto un duello per una cocotte, e un processo per stupro. Un uomo che si sapeva immune da crisi di coscienza. Mi parlava dei goriziani come di gente minorata, stroncata dalla tisi, e perciò ossessionata dalle idee e dalla risoluzione dei problemi. Egli si proponeva di risolvere tutto con la cura del manganello. A questo assalto dei regnicoli cadde l'amministrazione comunale, ma la città rimase antifascista. E si ebbe in dicembre il fenomeno più divertente. Il fascismo assoldava bande slovene per marciare contro gli italiani. Da Gorizia la cosa sembrava buffa: i fascisti sloveni della città erano figure equivoche, impiegati parassiti. Invece nelle campagne si poteva vedere subito la gravità del fenomeno. Si videro presto dei fatti curiosi: gli sloveni armati si affrettavano a regolare i vecchi conti, sospesi durante il dominio austriaco, con gli antichi irredentisti-italiani, adesso ostili al fascismo! Chi medita su questa curiosa situazione può constatare come il fascismo erediti lo spirito del Risorgimento: messo davanti ad un caso di contrasto tra austriacanti e patrioti il suo spirito é squisitamente reazionario, la sua ferocia é inesorabile contro le minoranze illuminate e liberali. Una riprova dello spirito retrivo del fascismo si ebbe nella questione delle provincie. Gorizia città aveva risolto dignitosamente il problema delle minoranze allogene. Lasciando la provincia a Gorizia si permetteva a questa città italiana di cultura, ma sensibilissima agli spiriti ed alle forme di vita e di pensiero slavo di esperimentare successivamente tutte le possibilità di scambi, di rapporti, di assimilazione. Gorizia avrebbe avuto il compito di diventare un'avanguardia del Risorgimento e di farsi col suo lavoro capitale naturale delle campagne che la circondano. Con la provincia a Udine le campagne slave vengono prevalere contro le minoranze politiche più evolute delle città, e il governo ne lusinga le ambizioni retrive. La provincia a Udine sarebbe stata una felice soluzione se tra i popolari del regno, ed i democristiani allogeni si fossero constatate coincidenze di interessi economici e la possibilità di una collaborazione politica. Altrimenti non si tratta che di un rapporto di schiavitù in cui il governo fascista esperimenta quei sistemi tutori che cercherà poi di applicare a tutta la penisola. Gli sloveni a oriente di Gorizia sono piccoli e medi proprietari di vigne e di boschi. Il terreno é collinoso, mediocremente fertile. I sistemi di cultura sono primordiali. Basta pensare all'ordinamento della famiglia per avere una idea della psicologia alimentata da questa agricoltura. Erede di tutti i beni immobili suole essere il primogenito per evitare le divisioni del fondo. Il coltivatore cerca quindi di ricavare dal suo lavoro quel che gli basti: lievissimo è il desiderio di migliorare la produzione, come scarse sarebbero le sue possibilità: Più che le tradizioni vivono in generazioni siffatte i misoneismi: onde le superstizioni e il culto idillico di un cattolicismo sociale, L'Austria riuscì, favorendo lo spirito delle tribù, ad affievolire il sentimento nazionale di questi ceti. Essi si accontentano della lingua, e la cosa é tanto più curiosa se si pensa che il tono della cultura - diciamo così, letteraria - di questi contadini è assai elevata e scarsissimi si trovano gli analfabeti. Come in tutte le classi stazionarie ed escluse da ogni circolazione lo spirito di indipendenza é quasi ignorato, fuor che in un gretto senso utilitario. Il contadino sente anzi continua la sua dipendenza dalla città, dal mercato, dal fisco, e rinuncia, per la sua tranquillità momentanea, ad ogni più intensa industria. Si ha quindi questo caso singolare che l'agricoltura slovena non risolve il problema famigliare e appena può dare i mezzi di sussistenza al primogenito. Se non interviene il governo paternalistico non si sa come provvedere agli altri figli che non possono vivere di agricoltura. Gli impieghi, gli arruolamenti, le indennità devono fare il resto e questo parassitarismo é pagato con la fedeltà più filistea, nei servigi più delicati della politica dei padroni. Se Mussolini, come l'Austria, non rifugge da questi piacevoli provvedimenti retrivi, gli sloveni saranno orgogliosi di appartenere alla potente Italia, salvata e guidata dal Duce. Assicuratisi il pane essi saranno i più fedeli custodi del regime. Tanto meglio se tra i doveri della custodia si tratterà di buone bastonature a quegli ostinati italiani di Gorizia eternamente malinconici, irredentisti sotto l'Austria e tutt'altro che fascisti ortodossi sotto l'Italia. Gli ideali di tutti i servi é di trovare un capo e un ordine. Col nuovo governo gli sloveni, conservatori di istinto, ritrovano qualcosa di simile alle gerarchie di Francesco Giuseppe. Chi sono i disinteressati?"Il rag. Baroncini, al quale era stata offerta la candidatura per la circoscrizione emiliana, non l'ha accettata. (dai giornali). Gli uomini della campagna revisionista sono i puri, i democratici, i feroci contro i ras perché i ras rappresenterebbero loschi interessi privati, camarille locali: all'ora dei conti Bottai, Massimo Rocca, Dino Grandi si trovano ad avere un posto nel listone: e chi dà le lezioni di disinteresse é Baroncini. C'è una bella distinzione di razza tra questi uomini. Il rag. Baroncini si firma ragioniere, non ha vergogna di essente rag., non ha la libidine del comm., come un parvenu ex-anarchico, non continuerebbe, come Dino Grandi, a chiamarsi on. dopo essere stato messo fuori dalla Camera perché minorenne. La differenza é questa. Grandi, Bottai, Rocca sono professionisti della politica; sarebbero stati politicanti, in tutti i regimi, con Wilson o con Lenin o con i junker di Guglielmo II. La loro attitudine più specifica sta nel parlare sempre di idee per sembrare disinteressati ed idealisti, di trescare con la dialettica, per inventare delle tendenze, delle correnti, delle eresie, e trovarsi di punto in bianco capisetta. Non é lecito tra persone intelligenti credere sul serio che quelle di Bottai e di Rocca siano idee: sono detriti e spazzature di vecchie ideologie che soltanto i buoni borghesi mussoliniani e antifascisti possono prendere sul serio; e quando si trovano soli, questi murriani e borelliani mancati non possono che fare le più matte risate delle proprie scoperte filosofiche. Un professionista della politica si serve di tutto per arrivare. Elaborare filosofie per il vincitore o farsi paladini di idealità é un metodo facile e comodo. Giolitti aveva Fera, Mussolini ha Libero Tancredi. Politicantismo, senza pudore, senza coraggio, trasformismo, senza decoro personale e senza intransigenza. Esaminate per un momento un tipo: Dino Grandi volle fare tra il '21 e il '22 l'antiMussolini: la cosa poteva sembrare coraggiosa e persino noi ci mettemmo a guardare con curiosità cosa sarebbe successo di un fascista, che faceva il missiroliano. Successe che Dino Grandi avversario della marcia su Roma ne fu per strano caso il condottiero, come per strano caso e quasi per sbaglio era diventato fascista proprio nei giorni in cui si apprestava a far propaganda sovversiva. Mal ricompensato dal Duce (gli si diede un vicecommissariato d'emigrazione!) Dino Grandi riprende la fronda salvo a ridiventare ortodosso in tempo di elezioni. Baroncini invece fu fascista per esasperazione ribelle; non é una persona colta, ma ha il fiuto dell'uomo pratico, dell'uomo di fegato; non si prestò a giochi schiavisti, fu inesorabile con i mezzi-fascisti come Quilici, e con i lestofanti come Naldi. Messosi a capo dei sindacati fascisti, ha cercato di fare sul serio, non si é lasciato addomesticare. Questo ras ha dell'energia se non della preparazione! Ma chi può credere sul serio che Dino Grandi sia più colto di Baroncini? Le ingiurie di Baroncini contro Grandi sono un poema; quando si arriva a calunniare così l'avversario pur sapendo che non si potranno sostenere le accuse con prove giuridiche ci deve essere sotto un nobile sdegno! Lo sdegno che non si presta a cavilli da avvocato, che preferisce risolvere l'insolubile con una sciabolata. Ecco la antitesi del professionista della politica: il politico per necessità e per passione. Anche il pensiero di Baroncini é mediocre, una povera cosa: é pensiero... fascista come quello di Grandi e di Bottai. E perciò, per capirci, bisogna guardare agli uomini. Si propone un'inchiesta: quanto guadagnano i ras, qual'è il tenore di vita di Baroncini e di Barbiellini; quante prebende si sono invece accaparrati gli intellettuali; di quante società sono consiglieri, di quali affari mezzani. Vogliamo sapere chi sono i disinteressati. p. g.
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