ANTIFASCISMO ETICO

    Per capire l'attuale situazione politica in Italia, il migliore punto di vista ci viene offerto dall'opposizione. Punto di vista eccentrico, sfocato: ma i suoi scorci sul futuro dicono più delle fotografie di attualità. Poiché il Fascismo é "arrivato", saggio é badare a quel che sta in cammino. Si può dire, schematizzando, che se, in sede politica, il problema dell'opposizione è di "collaborazione" - in sede etica sembri di intransigenza. Seguiremo l'ordine naturale cominciando da questo: dall'Antifascismo "etico". Ce ne offre lo spunto, non, certo, occasionale, l'atteggiamento della "Rivoluzione Liberale".

    Il merito dell'Antifascismo etico é di prendere il toro per le corna, impostando la questione nei suoi termini più rudi, elementari. Dati i suoi modi, il Fascismo é, o é stato, per gl'Italiani, prima che un problema politico, un problema morale; prima che un fatto di Partito, o di Governo, un "fatto personale", un "caso di coscienza". Il vero é, infatti, che al tempo dell'olio di ricino, a tutti, nel foro intimo, si presentò la domanda: aderirei io per convinzione o per tornaconto? e chi si trovò a riflettere sopra un dilemma di tal genere, e fu capace di non mentire a sé medesimo, ha capita e inquadrata la politica meglio che su dieci trattati.

    Ebbene, dice l'antifascismo etico, non infingerti, non cercare scappatoie: se hai coscienza e dignità di uomo libero, se ti repugna che con la violenza ti s'imponga un credo - il fascismo potrebbe avere non una ma mille ragioni - tu devi essere contro. Non é vero che tu lo faccia per carità di patria, per lo Stato, per la disciplina: tu non senti lo Stato, tu non ami la Patria fino a questo punto, la tua realtà psicologica é diversa: tutti la conosciamo, tutti ci conosciamo: lo fai per paura del manganello, e per avidità delle prebende.





    Ora, é bensì vero che, a questo punto, si può chiuder bottega, l'antifascismo etico é servito (la gente non perdona certe cose): ma é precisamente a questa realtà, grave sopratutto in Italia, che esso reagisce, rivelando così natura, compiti, limiti di élite. La sua portata, positiva e negativa; come segno di esistenza di minoranze "eroiche", e come denuncia dei pericoli della viltà morale collettiva, che potrebbe portare anche al disgregamento dello Stato, é grande. Delle due opposte èlites in campo, se la parte fascista vantò il coraggio fisico, da questa c'è forza morale. Prima di ogni ragione politica di opposizione o collaborazione, una pregiudiziale di dignità, "d'istinto" (1).

    "Giolitti corrompeva i partiti, e li lasciava vivere. Mussolini ha superato tutti gli esempi di trasformismo, d'insincerità, di compromessi, di ricatti. In un anno di governo ha spezzato tutte le resistenze, ha costretto tutti gli uomini a piegarsi, a rinunciare alla loro dignità. Spezza le distinzioni, le responsabilità precise, la fermezza dei caratteri e l'intransigenza onesta delle idee. Nel gioco trasformistico ha introdotto il nuovo elemento della forza, contando cinicamente sulla viltà... Noi abbiamo sentito di amare il conte Sforza perché di fronte a Mussolini capì che la questione non era di dettagli, di tecnica, ma d'istinto... Solo chi ha avuto un moto di ribellione, in quei giorni, chi non ha calcolato, chi si é sentito di un'altra razza, preoccupandosi di un problema di decoro personale e non della popolarità, ha il diritto di non essere fascista... Solo di fronte a chi non ha ufficio o lucro da chiedergli l'uomo é disarmato. Il presidente corruttore che contamina e piega ciò che tocca nulla può contro l'intransigenza... Agli antifascisti che ci espongono i loro programmi di blocchi posiamo chiedere sorridendo un noviziato di disperazione eroica. Forse il disinteresse sarà il migliore machiavellismo: il solo capace di sconcertare un trasformista e un domatore, di fargli sentire che ci sono valori contro i quali la sua abilità non conta".

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    Pure, questa non è l'ultima parola: e sono i giudici stessi che, in un secondo tempo, conviene giudicare. Poiché quel moto di ribellione noi l'abbiamo sentito, poiché il momento utilitario e quello intransigente nella nostra coscienza hanno vissuto, intendiamo riprendere il processo etico-politico al punto cui l'antifascismo etico lo lascia (per passar, contentandosene, all'azione), e svilupparlo. È compito demiurgico.





    Vogliamo ravvisare nella pregiudiziale etica soprattutto un errore di prospettiva che é, poi, un peccato d'orgoglio? Nobile peccato, ma peccato. E' presumere che i valori individuali della coscienza, la dignità, la libertà contino molto, siano tutto nel mondo e nella storia. E' credere che stia primo quello che viene ultimo, porre il nostro sentire norma dell'universo. È ostentare con ingenua jattanza, come se fosse un diritto, quel che é appena un bisogno di pochissimi. L'uomo non può "fare da sé": essere al vertice dell'umanità non conta. I "Diritti dell'Uomo" non han saldo presidio. Se grandi flagelli ci devastano, se l'umanità muore di fame, se Russia, se Germania dilagassero, la libertà che diventa, che significa; che ne sarà del nostro sacro bene? esso per noi é prezioso, esso é tutto, ma il punto é qui, che al mondo c'è anche altro. D'ogni parte ostili forze incombono, necessità più impellenti, primordiali: i vostri avversari non ne sono che segni, le tirannidi non ne sono che frutti. Non lasciatevi ingannare da cento anni di storia. Serbate il senso panico del tutto. Certo, rimane una risorsa: affrontare la povertà, magari la morte, dire addio a un mondo che non é degno di noi: nobilissima risorsa, come extrema ratio anche noi l'accettiamo; ma é forse così, dando le dimissioni, che ha proceduto la vita per affermarsi e per ascendere? richiamatevi all'istinto primordiale, seguite le grandi vie; esse non sono lineari. Non tutti gli ostacoli possono venire infranti, convien, spesso, girarne. Badate solo che l'anima sia dritta. La nostra posizione di fronte alla realtà storico-politica non é diversa da quella di fronte alla natura, al terremoto ed al ciclone. Se un malvivente ti punta la pistola alla gola, e sei inerme, tu, che hai di meglio da fare, devi forse, per il bel gesto, offrirti vittima, verginella, in olocausto? é forse coi suoi pugni nudi che l'uomo é andato contro il serpente ed il leone? Solo le animule sentono corruttore il compromesso, solo i deboli si corazzano con l'intransigenza. Il vostro orgoglio sia demonico col male, umile nelle sfere del bene, serio sempre, e inteso ad alti fini: é tutto quel che si può chiedere. Abbiate verso i "martiri", non dico freddezza, ma riserva: e se proprio la necessità vi tiri per i capelli al sacrifizio, fatelo con amarezza e con distacco. La vita non merita che lo spirito le ceda. Pensate Galileo e il sant'Uffizio. Se alla "diplomazia" italiana, se al "particolare" di Guicciardini si unisca la serietà etica, la nostra stirpe può dare un alto tipo. Non disdegnatelo troppo, questo povero "particolare", cui sacrificate tutti, puri e impuri: se no sarete sempre retori. L'eticità non é goffo altruismo, né cieco avventarsi allo sbaraglio. Né v'ingannino i "principi". Siate da più delle vostre idee: ne avete il diritto, poiché ne siete i creatori: sopratutto guardateci ben dentro.





    Guardateci ben dentro: ché si placa l'irato antagonismo, se lo fate, e, non più ciechi il bene e il male, ma un error vostro e un'innocenza di natura appare. È la pacificata sintesi, e il perdono. Il mio istinto mi porta sempre ad andare cordialmente verso il "male". Ché il problema non é solo di violenza. Le esigenze della coscienza individuale devono riconoscersi dei limiti, non solo per le coercizioni esterne, ma per scrupolo intimo: e non é rinnegare sé stessi, abdicare all'avversario. Non é tolstoiana non resistenza al male: oh no, non é un lasciarsi andare: é nerbo machiavellico, ed equità rostrata. Libertà e dignità sono un bisogno dei forti; l'imperativo categorico é ancora un fatto personale; al tornaconto succede la coscienza; e non saremo noi, certo, con paretiano agnosticismo, che sarebbe qui solo insufficienza, a dirli equivalerti. Ma si comprende come per tanti altri sia niente, anzi, bello, in uno slancio di dedizione che assegni una regola e uno scopo all'esistenza, abdicare questi diritti personali, di cui non saprebbero che farsi, a una forte volontà che li diriga, allo splendore di un potere personale, di un Capo che questo "fascio" di energie utilizzi in un'opera grandiosa. Se dévouer. Che altro é, se non in altra sfera, la vocazione religiosa? Non v'ipnotizzi la Riforma, pensate anche il suo opposto: pensate i Gesuiti, se vi spiri l'affiato di Sant'Ignazio: vi si riconosce l'eterna misura delle cose nobili, poesia. Non per niente si riesumano, oggi, Napoleone e Giulio Cesare: é l'appello ad una grande tradizione per la giustificazione etica del fascismo. Che poi eccedano nel tempo e nello spazio, o socialismo! chi é senza peccato scagli la prima pietra. A suo tempo avete bene infierito contro l'ancien régime e il Cristianesimo, coi valori eterni che pure in sé portavano; avete bene avuto la mentalità massonica: ora vi rendono pane per focaccia. È la legge del taglione, é la "nemesi storica". La dialettica dello spirito é più in alto. Eticità liberale ed eticità fascista. Non temiamo eterodossi accostamenti. Pareto darebbe a questo atteggiamento la dubbia lode dell'impassibilità scientifica, mentre é ancora attività morale.





    La verità é che quando sorge un capo, un padrone, tutti gli altri capi in fieri sono, d'istinto, contro. Gobetti ha ragione, l'avversione é "d'istinto." Più galli in un pollaio non ci stanno. Ma l'antifascismo etico ha il torto di sottacere questo profondo motivo umano. Cosa credete, che quando Chateaubriand va contro Napoleone il Grande, o Victor Hugo contro il Piccolo, sia per il bene dello Stato? Ma Goethe nella sublimità spirituale, Manzoni nella santità morale, Giolitti nell'istinto politico (quando, a ottanta anni, le ragioni tattiche d'intransigenza siano sopite) non accettano questa posizione di antagonismo plastico si, ma di dubbio motivo, che nella loro coscienza si risolve. Né dite che siete contro le tare di Mussolini, perché foste anche contro Giolitti, pur così diverso. La verità é che lo Stato deve per forza imporre una disciplina, violare delle libertà, delle coscienze: né ciò può fare solo (come vorrebbero il sen. Albertini ed il "Corriere", e sarebbe bello, ma fin troppo) la Legge, che é la lettera, fanno gli uomini, che sono lo spirito, come volontà ed audacia: se no la storia si ridurrebbe a un meccanismo di orologieria. In un certo senso tutti i Capi, Richelieu, Metternich, Bismark, anche Cavour, anche Lloyd George, anche Poincaré, anche Giolitti sono stati dei "corruttori": hanno bisogno di esecutori e servi: l'opera statale é a questo prezzo. Lo scetticismo costruttivo chiede ad essi solo che questo male rechi un bene. I liberi stiano pure in disparte, ma comprendano. Se voi, oggi, preferite Nitti è perché non c'è più, e perché era più debole: ma corrompeva egli pure, e lo sapete. C'è modo e modo, é vero: ma é cosa secondaria, un mero fatto di temperamento. Quanto al resto: la ricostruzione europea, le simpatie marxiste, l'avvenire operaio, qui non c'entrano. Le minoranze liberali, le élites attive sono sempre contro i capi, contro le dittature, contro i governi forti, contro l'"arte di governo" che é quel che deve essere. I loro "casi di coscienza" sono rispettabili, esse sono, in certo senso, il fiore della Nazione, ma la Nazione ha pure altri ceti e altri bisogni. Date a Cesare quello che é di Cesare. I popoli non si governano coi "puri". Di fronte ad essi l'eticità dei Capi é, non tentare la Repubblica di Platone o di Plutarco, ma essere "seri", immedesimarsi con la politica, porre a norma delle azioni il vantaggio dello Stato, "servirlo": ma ciò, che dovrebbe essere la regola, non é che di pochi demiurgi. Pure, a sommo degli Stati, vien più facile e spontaneo inserirvi il proprio "particolare": è questo, anzi, un permanente atout della Monarchia. Conviene augurare che l'on. Mussolini senta ciò, che si sveli demiurgo (quello che nemmeno al tempo dei folli sogni, dopo Ronchi, a Fiume, fu d'Annunzio). Non dovrebbe essere difficile: quale più nobile ambizione, quale più alto polo della personalità? (lo scettro dello spirito; ma é altra cosa). Allora la sua forza sarà bene assisa. Allora egli potrà guardate dall'alto di una pari coscienza etica l'opposizione liberale, coi suoi fermenti anarchici e faziosi, che l'estremismo dei "rivoluzionari liberali" svela.





    Peggio per lui, ma peggio anche per l'Italia, se fallisse. Giova che ogni conato sia serio, ed ogni sforzo costruttivo. Giova che la storia non sia vana. Comprenderanno ciò gli arrabbiati di Partito? Non rallegratevi se l'avversario si riveli indegno: voi pure ne sarete menomati. Non capite che ormai quello che é fatto é fatto, il Fascismo, per origini, per spirito, per numero, é gran parte d'Italia e non si può desiderare che fallisca, ma che evolva? Che se finisse nell'operetta o nella congiura voi potreste ghignar su Stambuliski, ma l'Italia sarebbe, una volta di più, disonorata? O vi piace sentirvi senza patria, tornare un'altra volta fuorusciti? Trenta anni fa un moto di tal genere sarebbe stato più incoerente, più inorganico: Il clima unitario dà i suoi frutti; nell'ambito delle premesse, si capisce. Nonostante le sue tare, l'Italia sale. Non temete la dittatura, se é virile: non abbiate paura, tutto passa, passerà. Tutti i paesi ne hanno avute: l'importante é che diano frutti, che si chiamino Cromwell o Lenin. Mussolini é una forza; ormai é quasi certo. Può servire l'Italia. Repugna tentare di stroncarlo. Stroncarsi mutuamente é forse modo di natura, e anche lui l'ha praticato. Non é il nostro.

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    Siamo così passati, con un nesso che ci sembra vitale, dai motivi puramente etici ai pontili di questo particolare antifascismo. Ora diciamo l'ultima parola.

    L'antifascismo etico "ingenuo" non é che uno stato d'animo, suscettibile, come si vide, di superamento, e che al massimo persiste nei gregari: quando, ad opera dei capi, si traduca in un'azione, esso ha già secondi fini, é già un "calcolo" politico. Ed é, anzi, ciò che li giustifica e li salva. Che, se non avesse sfondi, ben meschina sarebbe la loro intransigenza. Ma come? voi dite, voi sapete al pari, più di noi, che l'Italia é quello che é, voi bollate l'"unanimità cortigiana", le "sagre", questo popolo disgraziato e chiacchierone", e poi, dopo aver diagnosticate le profonde cause, ve la prendete coi caduchi effetti? come osate proporre il cambiar la lama quando sapete che il difetto sta nel manico? Arrotarla é tutto quel che si può fare. Quanto a noi, se il capriccio popolare cambiasse tutto, un'altra volta, vi assisteremmo rassegnati, cercando, poi, di trarre dal peggio il meglio, un'altra volta. Credete sul serio che, caduto Mussolini, l'ambiente si purificherebbe per incanto? Ma non vedete che da cinque anni, la stessa gente fa il giro dei Partiti, bolscevichi, popolari, fascisti, come le comparse di teatro? Et plus ça change, et plus c'est la même chose. E poi, vi pare forse che Nitti, che Serrati, che don Sturzo potrebbero far meglio, avere più autorità, più forza, per inquadrare e orientate la Nazione, che ne ha ben d'uopo? E, infine, una profonda equità storica, un istinto, non vi avverte che, quando un uomo fa quel che ha fatto Mussolini, cioè, non salvato l'Italia (salvare, o meglio, servire l'Italia comincia solo ora; fino a ieri servì la sua fortuna) ma fissato quel che era nell'aria, dato una volontà e una coscienza alla piccola borghesia, creato questo moto, il fascismo, é inutile sofisticare, i suoi flutti deve coglierli, il suo premio lo tocca, la sua funzione (breve o lunga, sta in lui), é necessaria?





    Tutto questo voi lo sapete, di tutto ciò voi non potete non aver coscienza. E allora, spogliato successivamente della necessità etica, della necessità politica, il vostro atteggiamento, in quanto sia cosciente, si fa chiaro. È tattico. L'intransigenza non é un dovere, ma passione o calcolo; quasi sempre tutti e due. Non più fumose confusioni, cieca ira, selvaggi imperativi. Siamo nella sfera degli atti coscienti, in luce serena. Si può comprendere la ragione degli avversari, la logica, date certe premesse, di una situazione, e i suoi vantaggi per lo Stato, e nondimeno essere contro. È il processo per antitesi, la feconda ingiustizia dell'azione: punisce e infrena quel che negli avversari é di belluino. Spesso l'opposizione politica é il miglior modo della collaborazione storica. Nella parità etica, nella convergenza politica di collaborazione e intransigenza, a orientare son le conseguenze, il "particolare". Ministro di Facta, compromesso nelle giornate di ottobre, l'on. Amendola ha la via tracciata: capo dell'Opposizione, in questi tempi, é robusto ufficio. Così Gobetti accentra certi motivi, in cui la sua originalità crede scoprirsi. Ma Giolitti, ma il Re, come potrebbero? Concordia discors.

    Non temete che lo spirito demiurgico dissolva l'opposizione, e con essa la lotta politica, e la vita. Ci sono, a materiarla, gli interessi, ci sono i sentimenti, le forze di natura, irreducibili. Esso é appena qualcosa che tende a regolarle. È solo in sede etico-politica, come processo spirituale, che noi giudichiamo questi fenomeni, collaborazione e intransigenza. È, nel più vasto quadro dello Spirito, al disopra dei Partiti, la coscienza dello Stato: e il suo giudizio esprime, oltreché l'universale umano diffuso, la classe politica per quel tanto che, non premuta da motivi economici, o castali, o ideologici, essa ha di libertà. Informi, o non, l'azione pratica, questa, dello scritto politico, è la sua sede. Detto ciò, credo che le cose sian più chiare.

FILIPPO BURZIO.




NOTA DELL'AUTORE

    Questa prima parte di un saggio intitolato: "Antifascismo", può forse, da sola, indurre un concetto non esatto del punto di vista dell'autore. Essa ne riassume, principalmente, la parte etica, ispirata a due suggestioni, o direttive-base: andare senza pregiudizi incontro alle forze che la vita esprime in libertà; non credere troppo facilmente che il bene stia tutto da una parte. Ma le suggestioni etiche, se orientano (escludendo, ad esempio, l'apriorismo intransigente) non determinano completamente l'atteggiamento politico. Se dispongono cordialmente verso il nuovo, occorre poi ancora fare un duplice passo: esaminare la possibilità concreta di questo nuovo nell'ambiente in cui opera, e date le altre forze in gioco (sarebbe l'analisi obiettiva, scientifica, sociologica alla Pareto), esaminare i vantaggi e gli svantaggi, il bene e il male che questo nuovo presenta rispetto allo Stato, secondo il concetto che se ne fa colui che giudica (sarebbe l'analisi soggettiva, ideologica). Contrariamente a quanto credono i passionali, gli ideologi arrabbiati, che giurano nell'assolato delle loro "idee" (le quali sono, spesso, sentimenti bruti), che dicono: fiat veritas (o justitia, o libertas) et pereat... Stato, questa seconda parte non é indipendente dalla prima: lo Stato é funzione storica, non idea platonica, le sue opportunità sono variabili. Onde la grande complessità del problema che l'empirismo risolve oscuramente, cui l'azione bruta sfugge solo perché é cieca.

    È dalla sintesi, o fusione organica, di questi tre momenti che emerge il giudizio politico, in funzione del quale, ma non di esso solo, si ha poi l'atteggiamento pratico. S'inserisce, ancora, generalmente, in mezzo un elemento essenziale, a trascurare il quale, per ingenuità o ipocrisia, non si capirà mai la politica: il tormento personale, il "particolare", che il nostro amico Ansaldo, e tutti quelli di "Rivoluzione Liberale", e anzi tutto il mondo, hanno tanto in dispetto. A torto. Può essere cosa vile, ma anche seria. Un diplomatico che serva con passione il suo paese all'estero, può dar giudizio politico sfavorevole di certi rivolgimenti interni, ma dire ai nuovi dirigenti: io qui servo, lasciatemi stare. Così, in generale, crollando le spalle, ogni potente volontà di fare, che abbia a noia le azioni. Ciò apre uno spiraglio sulle forze demiurgiche che possiamo chiamare secondarie, che sono tanta, se pure occulta, parte del funzionamento degli Stati: che operano, non al sommo, bensì lungo li rami; comunque, sempre fuori dei quadri di Partito. La continuità, accanto al mutamento. Ma ciò porta lontano. Ne diremo poi.

F. B.




    L'amico Burzio trova in noi un temperamento di ideologhi (la storia del fuscello e del trave!) e non si avvede che i suoi scritti sono niente altro che l'ideologia del giolittismo e del mussolinismo. Del resto i suoi procedimenti dialettici appaiono più che evidenti: missirolismo capovolto per giustificare interessi e modi d'agire reazionari. Reazionario é il particolarismo di Burzio, a cui sfugge il senso tutto moderno dei partiti, che non sono le fazioni, come egli le chiama indifferentemente. Dietro il nome nuovo, nella sua politica demiurgica, c'è una cosa vecchia e tradizionale come lo spirito guicciardiniano in un mondo umanista.

    Ma allora scopriamo le carte: ideologia per ideologia, Burzio reazionario, noi rivoluzionari la questione non é più di piani teorici ma di giudizi concreti e quando ci troveremo discordi contesteremo al Burzio il diritto di rifarsi alla separazione di etica e politica. E al suo demiurgo-uomo di governo non potrà star di fronte con funzione di demiurgo, o addirittura di diplomatico per meglio intenderci, l'uomo dell'opposizione Siamo anti-mussoliniani appunto perché non troviamo in Mussolini il politico, o ne troviamo uno di scarsa serietà ( V. Diplomazia mussoliniana a Territet e a Corfù!). Noi abbiamo dato a suo tempo il nostro ritratto di Mussolini, con ricche documentazioni: ora sta al Burzio l'obbligo della prova. Qui occorre constatare che la sua teoria da sola non serve: tanto che con la politica demiurgica non si spiega perché Cavour é più grande di Depretis e Bismark di Giolitti: e faremo poi a suo tempo i conti colle risorse del psicologo che ci volesse giustificare il suo mussolinismo. Intanto che Mussolini resti due o vent'anni al potere non sarà una prova buona, ma chiederemo argomenti di sostanza.

    E già Burzio ci riconosce compito demiurgico quando ammette che il nostro antifascismo etico serve ad infrenare quel che negli avversari é di belluino; ecco che anche la nostra é opera politica, o contradditore disarmato.

    Insistere su un distacco di coscienza e su una questione di dignità é nel nostro stile di politici. I modi di parvenu di Mussolini e dei suoi non sono soltanto una tara morale, ma, a non lunga scadenza, politica. Il nostro riservarci per il futuro é una calcolo maturato, di gente conscia che ai periodi di disoccupazione fatti apposta per i falsi profeti, per gli umanisti e per i cortigiani, non tardano a succedere momenti di prosperità economica, propizi alla ripresa di movimenti proletari. Ci auguriamo che Burzio non ignori la importanza che ha per la politica la partecipazione di nuove masse, e ammetta la differenza di istinto e di razza tra uno Stato di straccioni che cercano impiego, e uno Stato in cui abbiano il loro peso le esigenze della produzione.

    Ché se noi non riusciremo a vedere i termini del nostro calcolo, avremo servito il nostro paese, come politici e non soltanto come persone oneste, preparando per domani classi dirigenti che avranno diritto di essere rispettate.

p. g.