FALLIMENTO O RIVOLUZIONE ?


II.

    Esiste, comunque la si debba poi valutare, una analogia tra il 1215 inglese e il 1922 italiano? Ossia, precisando la questione, si può trovare in Italia la figura del contribuente distinta ed autonoma rispetto alla figura del cittadino? La rivoluzione liberistica annunciata dal nostro Corbino corrisponde a fatti e a psicologie reali? e se vi corrisponde, esaurisce davvero le nostre possibilità politiche, può costituire 1a direzione utile in cui la capacità di popolo e Stato deve validamente cimentarsi?

    Certo il nostro problema finanziario può essere studiato soltanto tenendo presenti questi ampi orizzonti storici. In questi termini il bisogno della nuova Magna Charta che risolva il problema italiano si arricchisce di un più complesso significato.

    Tra la storia inglese dei secoli XII-XIII e la storia nostra presente ci sono curiose analogie che non ci devono trarre in errare. La conquista normanna aveva necessariamente unito, per i sacrifici della guerra vittoriosa re e vassalli: aveva rafforzata l'autorità statale, come la guerra europea la rafforzò in Italia (sebbene tra noi si parli ora di Stato debole). I nobili scomparvero dinanzi al Re, divennero tenentes in capite; come in questi anni la demagogia finanziaria ha reso incerti i diritti di proprietà dei cittadini. Certo lo scutagium o l'auxilium dovuto dai nobili e dal clero non era di natura diversa dalle imposte che oggi industria, commercio, proprietari e capitalisti pagano per far vivere gli impiegati o per fornire di scuole le classi medie o di pensioni e sussidi (disoccupazione, invalidità, vecchiaia, ecc.) le classi proletarie. E se la situazione si annunciava in Italia già da trent'anni la guerra ne ha radicalmente capovolti gli effetti. Sino a pochi mesi or sono il capitalismo e l'alta banca occupavano, in garanzia delle proprie elargizioni, il governo. Il collaborazionismo sembra annunciare fenomeni completamente nuovi; e industriali e proprietari devono battersi con tutta la loro abilità per non ridursi nelle condizioni degli ebrei taglieggiati dai re assoluti.

    Il commune concilium regni (poi Parliamentum)nacque in Inghilterra non come istituto parlamentare, non come teatro di lotte politiche di partiti ma come strumento pratico diretto ad impedire le dilapidazioni a danno dei baroni. Questi si sentivano contribuenti, si sentivano Stato, classe politica, tanto che imposero al re un vero e proprio contratto bilaterale che fu il fundamentum libertatis Angliae in quanto consolidò la vita economica del paese indipendentemente dalle ingerenze politiche. Il sistema bicamerale ebbe, secondo noi, un senso profondo in Inghilterra porche la Camera dei Lords dovette esercitare una specifica funzione finanziaria, che venne poi cedendo alla Camera dei Comuni a mano a mano che la ricchezza affluiva alle classi medie intraprendenti. I conflitti costituzionali del Reform Bill del 1832 al Parliament Bill del 1911 coincidendo con un progressivo allargamento del suffragio segnano l'assorbimento della funzione finanziaria nella più ampia funzione politica.





    In Italia lo Statuto, che era stato un frettoloso espediente piemontese nel '48 e diventava nel '61 un'aberrazione nazionale, non risolse, ma fece appena balenare il problema. In Italia il contribuente non ha mai sentito la sua dignità di partecipe della vita statale la garanzia del controllo parlamentare sulle imposte non era una esigenza, ma una vera formalità giuridica: il contribuente italiano paga bestemmiando la Stato; non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta. Il Parlamento italiano, derivato, attraverso la Carta francese (1831) e la costituzione belga (1831), dal modello inglese esercita il controllo finanziario come esercita ogni altra funzione politica. È demagogico, parlamentaristico sin dal suo nascere poiché è nato dalla rettorica, dall'inesperienza, dalla scimmiottatura. Il concetto, maturatosi nel secolo scorso con lo sviluppo economico dei popoli, che la Camera bassa debba rappresentare la totalità dei contribuenti (Treitschke, La Politica, III, 16,5. Bari, Laterza) è fallita in Italia, ove la piccola proprietà fu ammessa al voto insieme coi nullatenenti. Il problema poi di creare una coscienza, inizialmente capitalistica e liberistica, della piccola proprietà fu capito da Don Sturzo, ma non fu risolta dal P. P. I., che ancora recentemente, per bocca dell'on. Meda ha aderito alla tesi dell'impossibilità di ridurre le spese (Idea Nazionale, 16 luglio) (è il dissidio, in seno ai popolari tra un tentativo liberale - Sturzo e la tradizione demagogico-conservatore - Meda).

    C'è un tentativo non mai interrotto nella legislazione italiana per far diventare la piccola proprietà un fatto universale, per costringere tutti a questa legge (anche la democrazia sociale ha manifestato propositi di tal genere): le classi nullatenenti (impiegati) partecipano alla piccola proprietà attraverso il parassitismo a spese della Stato. I socialisti italiani hanno aderito a questa politica cercando di ottenere per le classi proletarie la legislazione sociale. (Giolitti ha avuto l'eroico cinismo di presentare come liberale questa politica di saccheggio dello Stato.

    Sembrò che la guerra tendesse ad abolire la descritta mentalità dei piccoli proprietari meschini, anarchici e sfruttatori, col farli partecipare largamente anche con piccole somme allo sforzo della Nazione attraverso le sottoscrizioni al prestito. Ma si trattò anche qui della gioia piccolo borghese di carpire allo Stato il grosso interesse. È naturale che sia stato proprio Giolitti (il quale non ha mai creduto che l'Italia potesse diventare una Nazione produttrice e l'ha sempre amministrata con metodi piccoli borghesi) ad annullare i pochi effetti economici salutari della guerra con la recente politica finanziaria demagogica.

    Il problema della pubblica amministrazione era stato risolto in Inghilterra con la creazione di una burocrazia non numerosa ferreamente sottoposta alla direzione dei lords insigniti di cariche direttive onorifiche. In Italia il problema della burocrazia non è più solubile dal momento che per fare gli Italiani abbiamo dovuto farli impiegati, e abbiamo abolito il brigantaggio soltanto trasportandolo a Roma.





    La collaborazione socialista-popolare che incomincia a tentare di eliminare l'inopportuno, Sturzo realizzerà il trionfo dell'italiano-impiegato.

    Una rivoluzione di contribuenti in Italia in queste condizioni non è possibile per la semplice ragione che non esistono contribuenti. Nel pensiero di Turati e di Miglioli l'Italia è la nazione proletaria: il popolo poi deve essere educato al parassitismo.

    Il capitalisti veramente contribuenti stanno per trovarsi nelle condizioni di isolamento in cui si trovarono gli israeliti nel Medio Evo: essi sono forti ma non tanto da poter resistere a viso aperto. Del resto mancano, i più, di una coscienza capitalistica e liberistica, e cercheranno di difendersi, di non lasciarsi sopraffare partecipando essi pure all'accordo e facendosi pagare in dazi e sussidi ciò che devono elargire in imposte. L'operaio (e l'agricoltore specialmente) non usa avvedersi di questo ultimo anello della catena per cui il beneficio iniziale torna a ricadere su di lui. Mancando di iniziativa coraggiosa ha bisogno di delegare, anche a proprio danno, allo Stato la funzione di allontanargli l'imprevisto e il pericolo.

    Per questa via la soluzione del problema finanziario, che implica appunto la creazione di classi politiche e di una mentalità capitalistica, in Italia resta ritardata: la rivoluzione auspicata dal Corbino non può scoppiare perché nessuna rivoluzione é mai nata per ragioni soltanto finanziarie (la rivoluzione inglese che é la tipica rivoluzione finanziaria fu insieme religiosa, autonomistica, nazionalista, puritana); e attualmente i nostri finanzieri non sono in grado di elaborare integralmente un sogno rivoluzionario.

    Certo si sta annunciando una lotta fra demagogia parlamentare e parassitismo piccolo borghese da una parte e iniziative economiche e rivoluzionarie dall'altra. La lotta tra Giovanni Senza Terra (lo Stato intervenzionista) e i baroni. Bisogna preparare contro il governo degli impiegati (di Buozzi e di Miglioli) una triplice aristocrazia; i tecnici e operai guidati da una minoranza rivoluzionaria; i capitani d'industria; i principi mercanti (commercianti ed emigranti): noi dovremo elaborare di queste aristocrazie la dottrina e la lotta politica.


PIERO GOBETTI