POSTILLE

Agricoltura e siderurgia.

    I peggiori nemici degli agricoltori sono gli agricoltori stessi. Se i problemi italiani, che sono problemi essenzialmente agrari, non vengono risolti, si deve all'ignoranza, alla bestialità degli agricoltori incapaci di vedere un palmo più in là del proprio campo, incapacissimi a scegliere persone intelligenti e colte cui affidare la tutela dei propri interessi.

    Vedete un po': quest'ultimo numero della Riforma Agraria, una rivista che va per la maggiore ed è l'organo delle potenti associazioni agrarie parmensi, mi pubblica un articolo del prof. Virgilii in difesa della siderurgia, quell'industria cioè dalla quale tanto danno è venuto all'agricoltura e a tutte le classi agricole, a parte il ridicolo di difendere cosa che nessuno più, neppure gli interessati, si sente il coraggio di difendere pubblicamente.

    Il prof. Virgilii non chiede esplicitamente che si continui a proteggere col dázio doganale la siderurgia; ma sembra il suo articolo non sia stato scritto ad altro fine, perché, giustificata la protezione doganale di cui la siderurgia godeva nell'anteguerra, afferma che la siderurgia è indispensabile all'agricoltura moderna, la quale ha bisogno di molte cose più del vecchio aratro virgiliano, e indispensabile più che mai all'Italia, tutta o quasi tutta agricola, per cui non va lasciata morire.

    Il prof. Virgilii crede dunque che, se le macchine di cui ha bisogno l'agricoltura non si fabbricassero in Italia, non verrebbero dall'estero? O crede addirittura che si fabbrichino solo in Italia? Il prof. Virgilii è di una logicità sorprendente: l'agricoltura ha bisogno di macchine; a minor costo le avrà e più potrà servirsene e produrre; dunque è necessario proteggere le macchine fabbricate in Italia perché costino di più, vale a dire perché l'agricoltura non possa servirsene troppe.

    Ma no: è così straordinario che io penso il prof. Virgilii non volesse dir questo. Ma allora che cosa voleva dire? E che c'entrava l'agricoltura se voleva dire un'altra cosa? Che abbia dovuto servire di pretesto al prof. Virgilii per permettergli di collocare l'articolo in una rivista che è agraria? O si tratta del voto platonico che l'industria siderurgica possa tanto progredire da dare all'agricoltura italiana le macchine a buon mercato, non aumentate cioè dalla protezione doganale? "Formuliamo l'augurio - conclude - che, sostituendo fin dove è possibile il nostro carbone bianco (la forza idroelettrica) al carbone che ci manca, localizzando localmente l'antracite e la lignite, trasformando (udite, udite!) i rottami e gli esplosivi della guerra, si possa meramente dare all'Italia un'industria fiorente, che eliminerà gradatamente la disoccupazione operaia e darà all'agricoltura i più vitali strumenti della sua più rapida, più sicura e più feconda attività".





    È mortificante che si debbano sentire ripetere ancora di queste sciocchezze, per combattere le quali non c'è altro oramai che il ricorso a dei luoghi comuni. Di questi chiedo scusa ai lettori.

    Il prof. Virgilii si disilluda: per la siderurgia non c'è proprio nulla da fare in Italia. C'è invece molto da attendersi da quell'altre industrie del ferro, che il prof. Virgilii ha il torto di chiamare anch'esse siderurgiche: la metallurgica e la .meccanica (industrie di seconda e terza lavorazione). Ma queste non si poterono sviluppare quanto meritavano proprio per causa della protezione accordata all'industria siderurgica (industria di prima lavorazione).

    Come dimostrarono al Congresso di Milano per il progresso delle Scienze, il 1917, il prof. Jannacone e l'ing. Catani, il carbone bianco non serve alla siderurgia, ma è necessario proprio nero. Di qui l'alto costo in Italia dei prodotti del ferro di prima lavorazione. E ciò é tanto vero che la Spagna e la Svezia, perché povere di carbone, preferivano esportare la maggior parte del loro minerale di ferro; mentre la Germania e l'Inghilterra, perché ricche di carbone, potevano importare altro minerale di ferro. Così stando le cose, è chiaro che le industrie metallurgiche e meccaniche potranno dare le macchine all'agricoltura italiana ma a prezzi impossibili perché il costo del ferro di prima lavorazione; ma non potranno esportarle, perché il maggior rendimento - di fronte a molte industrie metallurgiche e meccaniche straniere - della mano d'opera italiana, che costituiva e potrà tornare a costituire, il basso costo e la bontà dei nostri prodotti di seconda e terza lavorazione, non compenserà abbastanza l'alto costo del ferro di prima lavorazione. Non bisogna dimenticare che mentre nelle industrie di seconda e terza lavorazione la mano d'opera è quasi tutto, nell'industria siderurgica essa è quasi niente e i forni - non elettrici - son quasi tutto. Alle industrie metallurgiche e meccaniche converrebbe dunque poter importare i prodotti siderurgici.





    L'argomento che l'industria siderurgica è necessaria per il caso di guerra non regge per molti motivi. Nell'ultima guerra abbiamo importato molto più ferro di prima lavorazione che non facessimo negli anni di pace e ciò anche per la ragione che, essendo i trasporti difficili, si preferiva il portare il ferro già lavorato perché meno ingombrante anziché ferro da lavorare più carbone. E poi, cosa varrebbe, in caso di guerra, avere un'industria siderurgica nostra mentre ci mancherebbe il carbone per farla andare? Se potrà venirci o il carbone, ci verrà anche il ferro di prima lavorazione; se non volessero mandarci questo, non ci manderebbero nemmeno quello.

    Ma c'è un altro guaio, ed è che l'Italia non solo manca di carbone ma ha pochissimo ferro. Dice il prof. Virgilii: "Vogliamo rievocare dei ricordi storici? Virgilio canta l'Isola d'Elba per la sua fecondità metallifera, Aristotele chiama ferro populonio quello ebano, perché la fusione avveniva a Populonia (ma quest'ultimo fatto non dimostra che vi fosse abbondanza di ferro, ma solo che la fusione avveniva a Populonia), Strabone fu talmente sorpreso dall'abbondanza di minerale ferrifero che ritenne avesse il terreno la potenzialità riproduttrice del ferro: Plinio riporta questi apprezzamenti nella sua storia naturale, tanto che si trovano felicemente d'accordo in questa ammirazione delle nostre miniere di ferro, poeti, filosofi e naturalisti".

    Il prof. Virgilii si disilluda ancora una volta: di fronte alle fantasie di Plinio sta la scienza d'oggi: i giacimenti di ferro italiani - risulta dalla citata relazione del prof. Jannacone e dell'ing. Catani - sono in tutto venti milioni di tonnellate in confronto dei ventidue miliardi di tutta la terra. La consistenza del minerale elbano si fa ascendere attualmente a sei milioni di tonnellate. Se di quest'ultimo si continuerà ad estrarre, come si è fatto negli ultimi tempi, mezzo milione di tonnellate all'anno, fra dodici anni le miniere dell'Elba saranno esaurite, in caso di guerra cioè non avremmo neanche quel ferro. Per ragioni militari converrebbe se mai che lo Stato non facesse più toccare quel minerale per servire ad opere di pace.

    Sono luoghi comuni, ho detto in principio. E non l'avrei ripetuti se non fosse stato necessario adoprarli contro un professore universitario, che insegna per giunta due materie accademiche: la scienza della finanza e la statistica.


ARCANGELO DI STASO