IL PROBLEMA DEL RENO

    Durante la conferenza della pace, i negoziatori francesi tentarono dapprima di staccare dalla Germania i paesi posti sulla riva sinistra nel Reno, la così detta Renania. Non ne domandarono l'annessione vera e propria alla Francia, ma prepararono tutto un sistema di controlli doganali, finanziari, amministrativi, militari, nell'esercizio dei quali le autorità francesi non sarebbero rimaste sole, se gli altri Stati aderenti alla Società delle Nazioni avessero voluto partecipare al controllo; ma in tutti i casi, la prevalenza sarebbe rimasta sempre alle autorità francesi. Proponevano, insomma, il protettorato francese, mascherato con la formula di un mandato affidato alla Francia dalla Società delle Nazioni, e rafforzato, in forza di questo mandato, dalla solidarietà di tutte le altre nazioni.

    A questo programma il Presidente Wilson si opponeva, condannandolo apertamente contrario ai patti dell'armistizio. Lloyd George non poteva sfidare troppo sfacciatamente l'opinione pubblica inglese, che non voleva saperne di una riva sinistra del Reno staccata dalla Germania. Orlando e Sonnino, ipnotizzati dalla Dalmazia, contarono meno che niente. La stessa opinione pubblica francese non era disposta a sostenere compatta Clemenceau in questo tentativo di rompere l'unità nazionale della Germania.

    Battuti nell'assalto diretto alla riva sinistra del Reno, i negoziatori francesi procurarono di giungere per vie indirette al medesimo risultato, domandarono, cioè, che la Francia fosse autorizzata ad occupare, sola o con gli alleati, la riva sinistra del Reno finché la Germania non pagasse le riparazioni a cui era obbligata: domanda di una apparenza così ragionevole, che non era lecito logicamente rifiutarla. Ma ottenuta questa garanzia, lavorarono ad elevare la somma delle riparazioni a livelli tali, che la Germania non potesse mai interamente sdebitarsi. E in questa manovra furono secondati da Lloyd George, che aveva promesso agli altri inglesi nel dicembre-novembre del 1918 di far pagare alla Germania "l'ultimo penny". Così lo Stato Maggiore francese si assicurava il pretesto per occupare in permanenza la riva sinistra del Reno: col contributo internazionale, se gli altri Governi avessero voluto partecipare alla societas sceleris; con le sole forze proprie, se il Governo francese fosse rimasto senza compagni a fare i propri affari.





    Con questa preoccupazione politica di non abbandonare mai la riva sinistra del Reno, si spiega perché i negoziatori francesi, nel determinare i criteri delle riparazioni, non si contentarono di esigere dalla Germania i soli danni ai territori invasi, ma fecero causa comune coi negoziatori inglesi contro gli americani e riuscirono a strappare al Presidente Wilson che imponesse alla Germania anche il pagamento delle pensioni di guerra.

    Se si fossero limitati ad esigere la sola riparazione dei territori invasi, i negoziatori francesi avrebbero fatto un ottimo affare finanziario per il loro paese: 1) perché il debito sarebbe rimasto in limiti proporzionali alla capacità economica della Germania, e quindi sarebbe stato realizzabile; 2) perché di questa somma realizzabile, la Francia sarebbe rimasta unica creditrice insieme al Belgio. Invece, col sistema del trattato di Versailles, la somma del debito tedesco è divenuta irrealizzabile per la parte che è superiore alle capacità economiche del debitore; e la Francia, su quella parte che sarebbe realizzabile, si trova in concorrenza con l'Inghilterra, che rivendica il 22 per cento delle riparazioni con gli stessi diritti della Francia. Sarebbe impossibile concepire un errore finanziario più grossolano!

    Ma quello che sul terreno finanziario era un errore inesplicabile, si spiega perfettamente come espediente escogitato per raggiungere un fine politico; aggravare la Germania con un debito superiore alle sue forze, per avere sempre un motivo di non abbandonare mai la riva sinistra del Reno: quindi associare l'Inghilterra in un credito inesigibile, anzi che lasciare la Francia unica creditrice di un credito esigibile.

    Questa preoccupazione politica, opposta al criterio finanziario, ha avuto più volte occasione di rivelarsi in tutta l'azione del Governo e nelle dichiarazioni degli uomini politici più autorevoli della Francia: ma in nessun momento si è meglio rivelata, che nella discussione avvenuta alla Camera dei deputati di Parigi nella seduta del 7 novembre passato.





    "La Germania - ha spiegato l'ex-ministro Loucheur - è praticamente in istato di fallimento. Ma se la Germania si ristabilisce, se ridiventa prospera e forte, dove va a finire la nostra sicurezza? Fra il non essere pagati e il non essere sicuri, non c'è da esitare: vogliamo essere sicuri (applausi). Questo non esclude la possibilità di essere pagati... Ma sulla riva sinistra del Reno ci è necessario stabilire un regime che ci permetta di dormire tranquilli, e nessuno al mondo potrà opporsi (applausi).

    Il deputato Moutet dell'Estrema Sinistra protesta: "Tutti i tedeschi si opporranno al vostro regime, e anche noi. Non vogliamo saperne di annessione".

    Il signor Loucheur replica: "Noi non abbiamo nessuna idea di annessione. Vogliamo solamente impedire la possibilità di una nuova aggressione mediante una forza internazionale stabilita sulla riva sinistra sotto il controllo della Società delle Nazioni. Il miglior modo di garantire la pace è di montare la guardia dove noi siamo. Questo può farsi mediante un accordo".

    A questo punto interviene il signor Poincaré, a nome del Governo: "Il trattato di Versailles non prevede l'evacuazione della riva sinistra del Reno se non dopo l'esecuzione delle clausole del trattato. Finché esse non saranno eseguite, i termini per l'evacuazione non trascorreranno. E fino a quando il trattato non sarà rigorosamente eseguito, la Francia non abbandonerà le sue posizioni".

    Il signor Poincaré parla da legista, col trattato di Versailles in mano: di fronte alla Germania, che è nella impossibilità di eseguire il trattato, esige il rispetto rigoroso del trattato, e resta sul Reno.

    Il Signor Loucheur parla da uomo d'affari, il quale prevede che prima o poi occorrerà bene sistemarlo questo problema delle riparazioni; e allora cadrà necessariamente il camouflage finanziario, dietro cui il trattato di Versailles ha dissimulato il problema politico del Reno.

    Ma l'uomo d'affari è d'accordo col legista nel non voler abbandonare le posizioni politiche attuali. Perciò vuole che il Governo francese abbia pronto un programma da presentare nel momento in cui occorrerà affrontare il problema del Reno senza il paravento delle riparazioni. Per quel momento egli non domanda la annessione della riva sinistra del Reno: sente che l'opinione pubblica del mondo, e della stessa Francia, sarebbe contro questa soluzione. E mette avanti quel programma dei negoziatori francesi, che era stato respinto nelle trattative della pace: la occupazione francese, senza escludere una rappresentanza interalleata, purché il controllo effettivo sia esercitato dalle autorità francesi, il tutto sotto un nuovo camouflage: quello della Società delle Nazioni.





    La Società delle Nazioni si può intendere in modi assai diversi: come garanzia permanente dei trattati, inviolabili non rivedibili, rigorosamente applicati; oppure come strumento della revisione dei trattati in senso sempre più pacifico, oltre che come garanzia dei trattati esistenti finchè non siano regolarmente riveduti.

    Clemenceau accettò nel trattato di Versailles lo statuto della Società delle Nazioni, perché interpretava la Società delle Nazioni nel primo significato, e si teneva pronto a sabotarla non appena accennasse a prendere la seconda direzione. II Presidente Wilson insistette, a costo di qualunque sacrifizio in ogni altro campo, per far accettare la Società delle Nazioni, perché sperava che avrebbe funzionato, o prima o poi, ad onta di ogni manovra sabotatrice, come strumento delle revisioni necessarie.

    E difatti, a poco a poco, tutti sono diventati revisionisti. Il Quai d'Orsay e il Foreign Office hanno raccomandato la revisione del Trattato di Londra all'Italia, il Quai d'Orsay e la Consulta consigliano la revisione del Trattato di Sèvres all'Inghilterra; il Foreign Office e la Consulta predicano alla Francia la revisione del Trattato di Versailles. Ma la Consulta ha proclamato per lungo tempo sacrosanto il Trattato di Londra; il Foreign Office ha difeso finché ha potuto con le unghie, con le zanne il Trattato di Sevres; il Quai d'Orsay esige la esecuzione rigorosa del Trattato di Versailles. Tutti spazzano dinanzi alla porta altrui; nessuno è disposto a far pulizia in casa propria. Ma tutti o prima o poi, si arrendono alla forza delle cose: l'Italia col trattato di Rapallo e cogli accordi di Santa Margherita Ligure, l'Inghilterra con l'armistizio di Mudania e nella prossima Conferenza di Losanna; la Francia con la politica del signor Poincaré.

    Quand'ecco il discorso del signor Loucheur e gli applausi, che lo hanno salutato nella Camera dei deputati di Parigi, intervengono a rivelarci una nuova interpretazione della Società delle Nazioni. Il signor Loucheur accetta per il problema del Reno la revisione del trattato di Versailles; ma domanda nella revisione ciò che i negoziatori francesi non poterono ottenere nelle trattative della pace. E lo domanda alla Società delle Nazioni: la quale diventa strumento della revisione dei trattati, purché la revisione avvenga... in peggio.

    Il signor Loucheur, infatti, non tiene conto in nessuno dei suoi calcoli di un semplice fatto: del fatto che gli abitanti tedeschi della riva sinistra del Reno sono... tedeschi; cioè hanno una propria coscienza e volontà nazionale, né più né meno che gli abitanti francesi di Verdun o di Metz. I grandi industriali, i generali, i diplomatici di antica scuola non sono certamente avvezzi a tener conto di quest'elemento nei loro piani di politica estera. Anche nella politica interna dei loro paesi la volontà dei loro concittadini esiste solamente quando non coincide con la volontà loro, e quando non coincide è un ingrediente incomodo della politica: perciò considerano le istituzioni democratiche e parlamentari come la peste delle società moderne; e non sognano che di sopprimerle con la violenza, quando non possono più adulterarle con la frode. Perché dovrebbero, dunque, preoccuparsi della volontà degli abitanti degli altri paesi?





    Ma piaccia o non piaccia a lor signori questa volontà esiste nelle relazioni estere, come esiste nelle relazioni interne. Può essere soffocata o pervertita per qualche tempo, non può essere per sempre distrutta. E' una forza permanente, date le condizioni della vita moderna. E chi lavora contro di essa, costruisce nell'arena.

    Supponiamo che il regime del signor Loucheur sia istituito nei paesi tedeschi della riva sinistra del Reno. Questi paesi non sarebbero annessi alla Francia ma gli abitanti di essi avrebbero il dovere di non considerarsi solidali colla Germania: la popolazione civile avrebbe le sue istituzioni amministrative autonome (consigli comunali e provinciali, tribunali, scuole, lavori pubblici, ecc.), ma in queste istituzioni non dovrebbe avvenire mai nessuna manifestazione di solidarietà verso la Germania; cioè queste istituzioni autonome dovrebbero essere controllate dalle autorità militari francesi o interalleate; cioè non sarebbero più autonome.

    Come non vedere gli attriti, a cui darebbero luogo questi controlli, in tutte le forme della vita pubblica giornaliera? Sarebbe peggio assai che l'annessione vera e propria: perché in regime di annessione le autorità statali possono prevenire gl'incidenti almeno fino a un certo punto, soffocando le manifestazioni legali dei sentimenti popolari; ma in regime di autonomia controllata, la prevenzione non è possibile quasi mai, e non resta più ai dominatori che la repressione più o meno brutale. Sarebbe la situazione attuale, non più provvisoria, ma definitiva. Non più ne sarebbe responsabile la sola Francia; ma la Francia domanderebbe la solidarietà delle altre nazioni, attraverso il mandato della Società delle Nazioni.





    Chi può sperare che questa solidarietà sia mai concessa? E lo stesso popolo francese potrebbe incatenare i tedeschi della riva sinistra del Reno a una politica di sopraffazione nazionale, senza offrire anch'esso i polsi, nella politica interna, ad un regime analogo di sopraffazione politica e sociale?

    Per ora il solo risultato, che ottiene il Governo francese dai propri sottintesi politici nel problema delle riparazioni, è di mettere in diffidenza tutto il mondo contro ogni domanda, anche giustificata, della Francia. Ogni persona onesta è disposta a riconoscere legittima la occupazione dei territori renani, se questa è una garanzia per farsi pagare dalla Germania un debito, lealmente e ragionevolmente fissato. Ma ogni ferma onestà rilutta a seguire il Governo francese nella sua politica di garanzie e di sanzioni, per essere pagato, perché sente che la somma delle riparazioni è stata fissata senza lealtà e in proporzioni assurde, perché doveva servire al Governo francese come pretesto per non abbandonare mai la Renania.


G. SALVEMINI.

    P. S. Quest'articolo era scritto da parecchi giorni, quando è uscito sui giornali del 9 dicembre l'articolo, in cui Lloyd George accusa Poincaré di incitare all'annessione della riva sinistra del Reno. A quest'accusa di Lloyd George Poincaré ha risposto:

    "L'articolo di Lloyd George sarà oggetto di grande sorpresa per tutti i francesi. Suo punto di partenza è una inesattezza tale che si domanda come un uomo politico tanto esperto possa commettere un così strano errore. L'ex primo ministro inglese afferma che esiste in Francia un partito importante che ha intenzione di annettere alla Francia la riva sinistra del Reno. Questo partito non è mai esistito altro che nella immaginazione di Lloyd George. Mai in Francia alcun ministro, alcun Governo e neppure alcun senatore o deputato ha concepito un progetto così irragionevole quale è quello di voler sottomettere al dominio della Francia popolazioni tedesche; tale idea non è mai venuta in mente ad alcuno e non è stata mai espressa negli ambienti politici francesi."

    "Se veramente Lloyd George crede che vi sia in Francia un partito che abbia nel suo programma tale annessione, egli inizia una battaglia contro mulini a vento."

    Ma tutta la risposta si fonda sulla parola annessione. E certo nessuno pensa in Francia a una annessione vera e propria, che avrebbe per la Francia l'inconveniente gravissimo di incorporare 8 milioni di tedeschi prolifici con un popolo scarsamente prolifico di 40 milioni. Ma se invece d'una annessione vera e propria, Lloyd George avesse usato il termine "controllo", o "mandato"; o "protettorato", o "occupazione perpetua", o qualcosa di simile o di peggio, ecco che la smentita di Poincaré sarebbe divenuta insostenibile. Questo genere di giochetti verbali del Quai d'Orsay non inganna più nessuno.


g. s.