LETTURE

    ALDO OBERDORFER, Il socialismo del dopoguerra a Trieste. Firenze, ed. Vallecchi, 1922 (Collez. "Uomini e idee", VIII).

    La considerazione d'ogni oggetto umano pensiero od azione - da un punto di vista psicologico tien sempre alcunché di solenne e di religioso. Mettendo in disparte gli schemi preordinati della scienza e le categorie filosofiche; rinunziando ad ogni sviluppo d'idee generali, per accostarci studiosamente a una particolare anima e al gioco variegato e imprevedibile dei suoi sentimenti e delle sue passioni; ci troviamo quasi sempre di fronte a una sostanza spirituale dolorosamente e miracolosamente vicina alle nostre esperienze, così che la nostra indagine si colora d'una umanità commossa e profonda.

    Per esempio, qualora non si voglia considerare questo libro dell'Oberdorfer soltanto come un episodio della polemica dei socialisti di destra contro il massimalismo e il comunismo; e chiedergli sussidio di dimostrazioni e d'esempi alle dottrine professate o frettolosamente applicargli i canoni d'una critica partigiana; resta sempre, per l'osservatore cauto ed attento, la storia d'un uomo, interessante almeno come i dibattiti e gli imbrogli della cronaca politica.

    Vero è che anche il caso d'un intellettuale sceso nell'arringo con un bagaglio di cognizioni ardenti e di beni sistemate teorie, e dopo breve tempo trascinato dalle correnti peggiori e più rumorose, o abbandonato con indifferenza alla sua postuma delusione; può parer tanto frequente e volgare da esser discusso e valutato in poche parole. Ma anche qui è necessario distinguere e venire ai particolari, se non si vuole che un facile atteggiamento di sprezzante ironia copra malamente la poca voglia o incapacità di comprendere.

    Del resto l'Oberdorfer non è, come si sa, uno dei soliti intellettuali - retori piagnucolosi e seccatori: prescindendo anche dalle sue conoscenze di arte e di letteratura, le sue valutazioni dei fatti politici, delle condizioni generali degli avvenimenti in Italia, e di quelle particolari della sua regione, mostrano in lui una solida preparazione mentale e magari un senno pratico non ignoti a chi ricordi i suoi articoli nell'Unità, sui problemi della Venezia Giulia. Ricco della recente educazione filosofica, e degli spregiudicati insegnamenti del marxismo, egli ha in odio le forme e i metodi della democrazia massonica, ed è anche capace di distinguere e criticare le abitudini demagogiche dei suoi stessi compagni di parte. Il che, mentre può parer pregio, finisce di essere il suo principale difetto.





    Il suo odio delle soluzioni sempliciste ed improvvisate, il suo sprezzo per "le nuove masse turbolente, disordinate e inconscie", la sua "volontà di distinguere", sono i sintomi e le forme esteriori d'uno stato d'animo non abbastanza convinto del mito per accettare la sforzo istintivo delle folle, e non abbastanza spregiudicato (o, se si vuole, cinico) per adoperarlo a' suoi scopi. La critica delle utopie, magari per sé oculata ed esatta, si riduce nel gioco delle vicende pratiche ad essere, essa stessa, un'utopia, quando si riveli nell'azione infeconda. Perciò gli uomini veramente politici sanno quando si deve assecondare gli istinti e gli errori delle masse, e quando invece è possibile far sentire con successo la voce della critica; e si acconciano senza difficoltà al precetto di Pascal: "il faut avoir une pensée de derrière, et juger de tout par là, en parlant cependant comme le peuple".

    L'Oberdorfer invece ha una fiducia esagerata nell'importanza e nella necessità della sua missione intellettuale: crede che l'educazione e la formazione spirituale debba esser più cara al popolo "dei suoi sindacati, più cara delle sue cooperative, più delle sue stesse istituzioni politiche". Questa incapacità ad uscir fuori dal suo mondo di raffinata cultura libraria; questa volontà d'imporre la propria sapienza agli umili, e dirigere tutta l'opera propria ad un "rinnovamento delle abitudini e del gusto"; mentre rivelano una scarsa attitudine politica, e talora persino una certa ingenuità (come quando, per es., l'O., dice che "il socialismo avrebbe dovuto approfittare dell'enorme suo prestigio sulle masse, per rendere gli uomini moralmente migliori": nientemeno!), posson essere condannate magari come l'effetto d'una presuntuosa pedanteria e d'un'arbitraria limitazione delle possibilità dello spirito. Almeno da chi intenda il valore limitato e chiuso delle facoltà contemplative, sul terreno delle lotte economiche e politiche; e da questa cognizione derivi, per l'intellettuale che vuol partecipare alla vita politica, la necessità d'un sacrificio preliminare e doveroso. Non per nulla, par di sentire nello sforzo dì redenzione degli operai organizzati la decisione d'una rivolta contro l'intelligenza; la quale in fondo non può esser altro che una ragionevolissima ribellione contro il presente illuminismo; e una più netta sistemazione e delimitazione e distinzione delle attività teoriche ed utilitarie. Senonchè 1'Oberdorfer non merita rimproveri, tanto più che sente egli stesso tutta la difficoltà e il pericolo della sua posizione: e d'altra parte il problema che lo preoccupa è vivo e doloroso anche per noi.





    "Ho diritto - egli si chiede - di dire ad altri, anche a fin di bene, in forma recisa, cose della cui assoluta verità non sono ben convinto io stesso? Ho il diritto di dire in una forma sola, lasciando credere che quella sola esista, delle verità ch'io sento con cento differenziazioni e in cento forme e con cento possibilità diverse?".

    L'Oberdorfer ha scelto la via dell'azione: è entrato in un partito, nonostante i suoi dubbi, ha accettato un mito: ha fatto, se non altro, anche tra i socialisti, il suo compito d'educatore e di maestro.

    Noi che abbiamo scelto un'altra via, pur avendo coscienza di non essere soltanto pedagoghi inerti e sfaccendati spettatori, non ci sentiamo ancora abbastanza forti, né possessori di così solidi argomenti atti a giustificare la nostra opera per avere il coraggio di criticare troppo severamente le debolezze e i difetti degli altri. E se qualcuno ci rimette dinanzi agli occhi i dati elementari d'un problema che interessa da vicino la nostra coscienza, lo ascoltiamo con rispettosa simpatia. Anche all'Oberdorfer dobbiamo perciò un ringraziamento. Tanto più che, avendo volutamente esaminato questo suo libro da un punto di vista unilaterale, non abbiamo potuto accennare ai suoi meriti particolari, come si doveva. Ricorderemo ora le pagine sulle condizioni della Venezia Giulia, che costituiscono ancora oggi un fondamento per la valutazione e la condanna dell'azione governativa in quelle regioni: e le analisi accurate e sostanzialmente esatte del socialismo istriano e friulano.


NATALINO SAPEGNO.