GIORGIO SOREL IN ITALIA.

    Il pensiero di Giorgio Sorel parve acquistare diritto di cittadinanza tra noi, in un'ora critica del movimento operaio italiano, quando i sindacati di mestiere, adempiuto, in un primo tempo, al loro compito immediato, - di conquistare, cioè, ai lavoratori un più alto tenore di vita, condizioni economiche meno profligate, diritti fino allora denegati o misconosciuti - languivano nell'incertezza d'un'azione cui erano venuti a mancare tanto gli stimoli di un'accesa passione, quanto la spinta di un interesse vicino e presente. Il movimento operaio in Italia stava infatti per assumere un deciso carattere corporativistico, era sul punto di diventare il feudo del funzionarismo e della burocrazia sindacali: carattere questo che più doveva spiacere agli animi irrequieti, agli spiriti ansiosi di novità, agli uomini pensosi del domani.

    Giorgio Sorel, con le sue teorie propizie agli slanci più arditi del pensiero, aperse nuovi orizzonti alle menti dei più giovani, che già avevano sentito il freno d'una costrizione, alla quale, invano, fino allora, avevano tentato di sottrarsi, privi com'erano d'una salda disciplina direttrice e d'una robusta concezione programmatica. Le teorie soreliane alimentavano quel pathos, che dianzi s'era visto illanguidire tra le masse degli operai, soddisfatti dalla conquista di più elevati salari: asserivano che senza un mito, che senza una disinteressata passione, che senza uno spirito di sacrificio, che senza un alito di fede sublime, niuna conquista è duratura, nessuna trasformazione sociale è possibile, nessuna coalizione di forze è invulnerabile.

    Il partito socialista italiano, nei suoi capi e nella grande maggioranza dei suoi gregari, restò sordo all'influenza del solitario filosofo francese: e le organizzazioni dei lavoratori italiani marciarono affiancate a questo partito politico, che, insieme ai sindacati, doveva presto costituire un'enorme organizzazione elettorale cooperativistica, perfetta concatenazione di molteplici interessi piccolo-borghesi, strettamente connessi all'esistenza della corrotta e disordinata amministrazione centralistica della Stato.





    È avvenuto così che, al primo urto, questa colossale fabbrica di interessi commerciali, industriali, elettorali, mostrò profonde incrinature: e troppo tardi i tecnici dell'ingegneria politica accorsero a puntellare il vetusto edificio. Il crollo era inevitabile. Ed è quasi certo che sotto i rottami e il polverume ha trovato onorata sepoltura una tradizione di compromessi e di dedizione, di contraddizioni e di irresolutezze e di abbandoni rettorici, che nell'ora del pericolo e nell'offensiva avversaria non riuscì a trovare un attimo di eroico furore, un fremito di vital resistenza. Trista fine d'un movimento politico, che dopo aver raggiunto il massimo di forza potenziale e di autorità, rinunciò ad ogni azione, non l'azione rivoluzionaria, non l'azione parlamentare fattiva, non la conquista pacifica del potere esecutivo - abbandonando forza e prestigio fra le mani di risoluti avversari, che non esitarono a servirsene per tentar di distruggere ciò che di garanzie politiche e di pubbliche libertà era stato pure ottenuto in quest'agitato ultimo ventennio.

    Ben è vero che un mito - quello della catarsi russa - pareva essersi impadronito delle moltitudini italiane, e imperava fra di esse, proprio nel momento in cui si verificò la massima rinuncia e la capitolazione più significativa della politica "rivoluzionaria" del socialismo italiano. Ma il "bolscevismo" italiano fu fatto deviare e fallì, schernito e immiserito, per l'inettitudine e la viltà dei capi: intendo dei soli capi "bolscevichi", che essendo fautori dell'esperimento comunista, da soli dovevano assumersene l'onore e la responsabilità: laddove essi cianciarono per due anni di "soviet" e di dittatura, con grosse parole e con minacciosi sottintesi, per finire disertando l'impresa e conchiudendola in beffa.





    E fallì, anche, in notevole parte, per la tradizionale leggerezza ed impreparazione italiana, essendosi la massa dei lavoratori italiani accinta ad un mutamento pieno di rischi e di probabili funeste ripercussioni, senza rendersi conto di ciò che fosse per significare - in un piccolo paese sovrapopolato, scarsamente provveduto di grano e di ferro e di carbone, circondato da popoli necessariamente avversi - 1'inizio di una dittatura proletaria animata da obiettivi rivoluzionari-internazionali. Il mito, secondo il significato soreliano, anche in quell'occasione maturò più in apparenza che in realtà: era anche questa volta una manifestazione d'intemperanza rettorica, non un afflato di vita interiore o di alta spirituale intensità. La popolazione italiana confermò la sua inettitudine tradizionale alle imprese rivoluzionarie: è troppo scettica, è troppo epicurea, è troppo facile agli entusiasmi e agli scoramenti, per saper generare con dolore volontario e con perseverante sacrificio. Essa ha mostrato migliori attitudini per le violenze impulsive e senza scopo, per le disordinate impetuose proteste, per le manifestazioni rumorose e inconcludenti, per le crudeli persistenti turbolenze di proporzioni locali, - piuttosto che per un atto di audacia e di forza coordinata, rivolto ad un fine conclusivo e vitale. Essa é parsa più adatta a servire come duttile strumento per l'attuazione dei colpi di mano concepiti e diretti dai circoli aulico-militareschi, - ed anche per questi, senza attriti troppo profondi, senza conflitti troppo irruenti. Rivoluzioni da burla e colpi di stato idillici, che vogliono finire con un generale embrassons nous: di stile perfettamente italico.

    Giorgio Sorel doveva perciò essere inteso solo da pochi intellettuali. La sua concezione del movimento sindacale pare più adatta ad allignare in un altro diverso clima storico e sociale. Essa è la sintesi di un processo di purificazione individuale e di elevazione collettiva, che può essere vissuto e sentito soltanto quando un popolo sappia amare ed odiare con pari intensità. Sul terreno arido dell'indifferenza non possono crescere gli antesignani di una rinnovata umanità.


CESARE SPELLANZON.