SOREL E LA DISPERAZIONE EROICA.
Non è stato impresa difficile, per alcuni critici, dimostrare che Sorel non era tempra di filosofo né di storico. Non storico, mancandogli il metodo, la precisione, la dottrina: tutt'al più autore di qualche intuizione geniale. Non filosofo, per difetto d'originalità, di chiarezza, d'organismo: forse, a voler concedere, padre di qualche ragionamento, se pur frammentario, profondo. Resterebbe, per questi critici, un Sorel "eccitatore", "rivelatore", un uomo serio, leale, sincero, che avendo promosso un'azione, ispirato un risveglio culturale, è destinato a rimanere, nella storia, un nome, la cui fama si raccomanda, più che alle sue opere determinate, personali, a un movimento di idee e di passioni che lo trascende. "I libri del Sorel sono destinati fin d'ora ad aumentare il numero di quei tanti che dopo avere svegliato un paese o una generazione non sono più letti, e non ne resta il nome che nelle bibliografie degli studiosi e nei manuali scolastici: dove, cioè, avrebbero meno voluto essere". Ora, non è qui il luogo di parlare delle virtù di scrittore del Sorel, che dovrebbero bastare a far leggere, anche in futuro, quando i rumori delle nostre lotte sociali siano spenti del tutto, almeno una parte delle sue opere. Ma non sarà forse inopportuno tentar di scoprire, in Sorel, oltre la capacità di esercitare un ammaestramento pratico e di indirizzare un moto attivo, ch'egli in fondo, anche cercandola, non ebbe mai, l'attitudine a penetrar la logica dei fatti storici e a congegnar teorie aderenti ai problemi del suo tempo; vale a dire quell'attitudine proprio che gli han voluto negare. Si potrebbe, in un certo senso, definir tutta l'opera di Sorel come una storia del socialismo contemporaneo. In realtà il fondatore del sindacalismo rivoluzionario ci offre, non un programma d'azione, una descrizione penetrante e appassionata delle cose piccole o sublimi che accadevano attorno a lui. Nessuno potrà, in questo campo, rimproverargli le citazioni di seconda mano e la generale deficienza del metodo; perché non gli manca almeno un'antica esperienza delle passioni umane, e una calda e veramente mirabile adesione ai documenti psicologici che la realtà gli sottopone. Si potrebbero forse temere fraintendimenti per troppo amore; se in lui lo storico non frenasse di continuo, con segreta e tempestiva sapienza, il teorico, correggendone gli errori o le ipotesi troppo azzardate. Altri ebbe a riconoscere, come qualità precipua del Sorel, "la fortissima coscienza, che in lui si trova, dei problemi morali". In verità, l'interpretazione morale del marxismo non fu tanto un'audace concezione filosofica quanto piuttosto il risultato d'un'attenta osservazione delle vicende pratiche e culturali. Cadendo sotto il peso delle obiezioni liberali il sistema economico di Marx, perdurava il compito e l'attività delle organizzazioni operaie. Sorel descrive e commenta: "La semplicità apparente della soluzione marxista svanisce quanto più si penetra dentro al problema in questione: appare evidente a tutti che l'economia non si presenta, in ogni epoca determinata, con una forma unica: accade invece che diversi sistemi coesistano. E ancor più certo che i1 diritto non potrebbe mai limitarsi a un principio unico, corrispondente ad un unico modo di produzione. L'individualismo, il collettivismo e il comunismo, anziché caratterizzare tre periodi successivi, son concetti, che la Scienza sociale può benissimo constatare simultaneamente nelle società sviluppate. Ammesso questo punto di vista, tutto ciò che vi era di utopista nelle tesi di Marx sparisce, non c'è più bisogno d'uscir dalla scienza per lanciarsi nei sogni sull'avvenire, diventa inutile cercar leggi problematiche per regolare la storia; - si rimane sul terreno dei fatti concreti, e si adopera il complesso dei materiali osservati, classificati e interpretati da Marx. Si chiederà: che cosa è dunque il socialismo, se non la ricerca della società descritta in termini misteriosi da Engels? La risposta mi par semplice: il socialismo è il movimento operaio, la rivolta dei proletari contro le istituzioni padronali, l'organizzazione economica ed etica insieme, che sotto i nostri occhi si crea, per la lotta contro le tradizioni borghesi". Queste parole son del 1899. Nel '98, Sorel aveva già scritto: "Il socialismo è un problema morale: in questo senso, che offre agli uomini un nuovo fondamento per giudicare tutti gli atti umani, o per usare una celebre espressione di Nietzsche, una nuova valutazione di tutti i valori... Il socialismo non sa se potrà, quando potrà, realizzare le sue aspirazioni attuali, perché il tempo muta, come le nostre condizioni economiche, le nostre idee morali; ma esso si pone di fronte al mondo borghese, avversario irriconciliabile, minacciandolo d'una catastrofe morale, ancor più che d'una catastrofe materiale". E in una conferenza pubblicata nell'aprile 1899, aggiunge: "Il socialismo si realizza tutti i giorni, sotto i nostri occhi, in quella misura in cui non riusciamo a concepire che cosa significhi una condotta socialista, e riusciamo a dirigere le istituzioni, vale a dire in quella misura che l'etica socialista si crea nella nostra coscienza e nella vita. Quando questi principi saranno ben compresi, si abbandonerà l'illusione prospettica d'una catastrofe che sempre più s'allontana; allora si trasformeranno le antiche dottrine, da sociologiche che sono, diventando etiche". Nell'Avenir socialiste des syndicats, Sorel riassume le sue conclusioni sulle parti vive e morte della dottrina marxista, e il suo pensiero assume precisamente l'aspetto d'una valutazione storica: "Non dobbiamo meravigliarci vedendo le teorie socialiste dissolversi una dopo l'altra, o mostrarsi così fragili, mentre il movimento proletario è così forte: tra le due cose intercede un legame del tutto artificioso. Le teorie son nate dalla riflessione borghese; esse si presentano d'altronde come perfezionamenti di filosofie etiche o storiche elaborate in una società che è giunta da lungo tempo ai gradi più alti dell'intellettualismo: queste teorie nascono dunque già vecchie e decrepite. Talvolta esse offron l'illusione di possedere una realtà, che effettivamente manca loro, soltanto perché esprimono felicemente un sentimento che per caso è congiunto al movimento operaio: mancando questo rapporto casuale, esse rovinano. Il sindacalismo rivoluzionario, invece, ha l'avvenire aperto davanti a sé. Il sindacalismo rivoluzionario realizza, oggi, tutto ciò che vi è nel marxismo di vero, di profondamente originale, di superiore a ogni formula: vale a dire che la lotta di classe, è l'alfa e l'omega del socialismo, - ch'essa non è un concetto sociologico per l'uso dei sapienti ma l'aspetto ideologico d'una guerra sociale condotta dal proletariato contro la massa dei capitani d'industria; - che il sindacato è lo strumento della guerra sociale". Quando le parole di Sorel si interpretino come il programma per un'azione prossima o il manifesto di un partito (e così di fatto le interpretarono i primi facili e improvvisati seguaci), non si potrebbe fare a meno di rilevare il loro carattere fragile e mortale. Nessuna parola potrebbe descrivere la rovina dell'ideologia meglio dell'isolamento doloroso che accompagnò la fine di Giorgio Sorel. In realtà quelle parole contengono un apprezzamento storico fondamentale e definitivo, inaccessibile soltanto a chi non sappia intendere con quale misterioso processo le valutazioni storiche della vita presente si trasformino insensibilmente in ideologie, confondendosi, nell'appassionata intuizione, la nozione esatta e oggettiva delle forze coi presentimenti soggettivi delle loro future possibilità. E qui ci si offre l'occasione d'additare la specifica differenza che intercede tra le due interpretazioni del marxismo, più spesso ravvicinate e considerate come identiche dai critici; vale a dire quelle di Sorel e di Croce. Poiché mentre il pensatore abruzzese, libero da passioni pratiche e educato a una minuziosa cautela filosofica, analizza le dottrine di Marx, cercando di estrarne un canone teorico valido, e determinarne l'ufficio sul terreno della storiografia e della filosofia economica; il normanno, in fondo alieno dalle dispute teoriche, si preoccupa delle risonanze pratiche della predicazione comunista; e se per Croce il materialisino storico vale come metodo d'interpretazione dei fenomeni, premessa o schema per le ricerche del filologo; per Sorel invece la lotta di classe è specificamente la forma e il contenuto delle battaglie contemporanee; non filosofia della storia, storia in atto. Un esame analitico (che qui non è possibile) delle opere dei due scrittori mostrerebbe tutto l'interesse dell'italiano rivolto a valutare e definire la teoria di Marx; la passione del francese esercitata a comprendere il movimento socialista operaio: differenza che non esclude la possibilità d'incontri in taluni svolgimenti e deduzioni laterali. Chi vuol persuadersi dell'influenza immediata e precisa che avevano, sul pensiero di Sorel, le modificazioni della realtà circostante, può studiare con attenzione gli scritti di lui nel periodo dell'affaire Dreyfus: vi riconoscerà i particolari e lenti sviluppi di quel processo ch'egli ebbe a riassumere, in uno scritto autobiografico del 1919, così: " Le prime agitazioni dreyfusiane m'avevan fatto pensare che il socialismo avrebbe molto guadagnato, diventando chiaramente cosciente della sua essenza di movimento operaio in una democrazia; la liquidazione della rivoluzione dreyfusiana mi fece riconoscere che il socialismo proletario o sindacalismo non realizza pienamente la sua natura, se non ponendosi come movimento operaio contro i demagoghi". Con quali strani e fantasiosi legami la considerazione storica si sposi di continuo e si confonda con l'ideologia, è cosa difficile da spiegare, sebbene in fondo riesca oscura soltanto a chi misconosca le complesse esigenze del meccanismo umano, o come una volta si usava dire le misteriose influenze del cuore sulla ragione. È certo comunque che, la radice dell'interesse critico riposando in un'occulta passione, e i programmi risultando fondati su una specifica conoscenza della realtà di fatto, la storia ne nasce più calda, meno avventata l'ideologia. Il lettore consideri, per esempio, le parole che seguono: "I rivoluzionari del XVIII secolo credevano di possedere la scienza e rimproveravan l'ignoranza, la pedanteria e l'intrigo che caratterizzavano, ai loro occhi, le classi superiori... Nel XV secolo i dottori in diritto romano avevano un profondo disprezzo per tutta l'antica costituzione feudale... Oggi il proletariato non si trova in questa situazione; esso non disprezza la civiltà borghese, l'invidia e l'ammira; aspira ad assimilarsi le idee della classe dei padroni. Altra volta due civiltà erano in presenza, e ciascuna aveva coscienza che i piani del loro sviluppo non potevano essere ravvicinati .... Oggi vi è uno sforzo per ravvicinare i piani; la borghesia va al popolo per dovere sociale, il popolo aspira a pensare borghesemente. Il problema del socialismo sarebbe forse insolubile?". Ecco come, delineando i caratteri del socialismo democratico, Sorel inserisce nel giudizio una implicita condanna, sensibile quasi solo nel tono delle parole, e prepara insieme un ponte di passaggio alla sua teoria del mito. Storia ideologica e ideologia storica trovano in essa un punto di contatto così nuovo, profondo, umano ad un tempo, da giustificare il valore centrale e simbolico che i contemporanei vollero attribuire a questa dottrina. Certamente chi interpreta la teoria del mito come un programma per la lotta degli operai, ha subito pronta l'obiezione che l'"immaginazione che riflette non é più immaginazione, e una volta che si classifica da sé non è più calore ma soltanto luce, non più azione ma conoscenza". E non c'è nulla da rispondere. Senonché il mito, per Sorel, fu anzitutto la scoperta di un principio per comprendere la realtà circostante; non programma, interpretazione storica. Il più fecondo e geniale canone di interpretazione storica, per valutare e descrivere gli avvenimenti sociali e politici dell'Europa contemporanea. E più specificamente la rappresentazione palpabile, penetrante e commossa dello stato d'animo diffuso tra le masse operaie; l'esaltata o vivente descrizione della loro rinascente barbarie. Di questa funzione, non d'apostolo, di storico, Sorel aveva, almeno in certi istanti, precisa coscienza. Nella prefazione al primo testo della "Violenza", poteva scrivere: "La storico non è obbligato a rilasciar titoli di virtù, a mettere innanzi progetti di statue, a stabilire un catechismo qualsiasi; il suo ufficio è di comprendere ciò che v'ha di meno accidentale negli avvenimenti... Qui non si tratta di giustificare i violenti, ma di sapere quale compito è proprio della violenza delle masse operaie nel socialismo contemporaneo". Non egli offriva ai contemporanei l'accettazione disperata e disillusa di una fede; la realtà stessa offriva a lui l'esperienza di una simile (se pur fede poteva definirsi) contraddizione. Come Sorel attesta, nella lettera all'Halévy: "L'annalista, puro registratore di fatti, è spinto a considerare la redenzione come sogno o come errare; ma chi è storico per davvero considera le cose da un altro punta di vista... L'esperienza di questa grand'epoca mostra molto bene che l'uomo di coraggio trova, nel sentimento di lotta che accompagna questa volontà di redimersi, una soddisfazione bastevole a mantener vivo il suo ardore". Anche quando tenta di mostrare il valore del mito in confronto con l'utopia, Sorel contrappone non due concetti, due esperienze storiche: "Mentre i miti presenti spingono gli uomini a prepararsi alla distruzione di ciò che esiste, l'utopia ha sempre avuto per effetto di volger gli spiriti a riforme attuabili spezzettando il sistema. Non bisogna meravigliarsi, perciò, se tanti utopisti poteron diventare abili uomini di stato, quando ebbero acquistata maggior esperienza della vita politica". L'allusione agli esperimenti del socialismo riformista è appena coperta. Anche qui, a dire il vero, il commento agli accadimenti reali offre di continuo lo spunto all'enunciazione dei risultati teorici. Il mito è, non solo una spiegazione del passato, bensì una dottrina generale, un sistema. La constatazione della viltà di certi gruppi, della rinascita di certi altri, non è senza trepidazione: la teoria che ne sorge è ancora, secondo l'antica definizione, "sostanza di cose sperate". Anche una volta, dalla storia rampolla, senza che appaia, l'ideologia. Senonché, in questo caso, essa acquista un carattere generale e un tono religioso e solenne; che ci introducono direttamente nel cuore della filosofia di Sorel. In una storia della filosofia, non strettamente tecnica, psicologica, che tenga conto cioè dei sotterranei rapporti delle dottrine con l'umore dei ceti e le reazioni dei tempi, Sorel troverà naturalmente il suo posto, accanto a Nietzsche. Anche lui, come Nietzsche "inattuale"., nemico dei tempi. Unzetgmasz. Minore tuttavia di Nietzsche, Sorel non seppe dedurre tutte le conseguenze della sua disperazione; e del Tedesco gli mancò, come la mirabile dovizia artistica, così la capacità di comporre la mente in una visione tanto più totale ed organica, quanto più era eminentemente fantastica e paradossale. Lo trattennero del resto talune qualità positive del suo temperamento. Il suo genio storico gli ispirò cautela e moderazione. Ma nei limiti, condizionati dalle circostanze, del suo problema esclusivamente morale o politico, Sorel creò una soluzione integrale e definitiva. "Vecchio francese, di quella vecchia Francia non. ancora imbastardita", "poeta e metafisico", "anima di fuoco, testa ardente, immaginazione evocatrice e creatrice, degna di Michelet", come ce lo descrive Edoardo Berth, fedele e intelligente discepolo - Sorel derivava le sue deduzioni e i suoi giudizi da un sentimento, di rado espresso, sempre implicito: l'odio per la civiltà borghese, volgare mediocre imbelle. In un suo libro del 1889, scriveva: "Di tutti i sistemi di governo, è più cattivo quello in cui ricchezza o capacità tecniche si dividono i1 potere. I pregiudizi antinobiliari della maggior parte dei nostri storici, impediscono loro di vedere i vizi delle costituzioni plutocratiche. In questo regime, più non esiste l'orgoglio di razza: bisogna "arrivare", e une fois la timbale décroché, pochi si preoccupano dei mezzi adoperati. Il successo giustifica ogni cosa: nessuna idea morale; è l'ideale degli Inglesi. Il vizio di questo governo deriva dall'applicazione del principio di scambio; gli uomini non contano nulla; rimangono in lizza dei valori economici. Il predominio delle idee economiche riesce non solo a ottenebrare la legge morale, ma anche a corrompere i principi politici". Nello stesso libro, il difetto essenziale o profondo della civiltà borghese è ricondotto alla diffusa mentalità ottimista: "L'uomo che trova la sua soddisfazione nel probabilismo, che crede all'indipendenza assoluta della ragione e alla purezza originale dell'anima, non sentirà mai la necessità d'abbandonarsi al pessimismo. Il meglio ch'egli possa fare, è di lasciar andare le cose per la loro strada, fare il suo mestiere, come meglio può, non guastarsi l'anima, quando il male trionfi, e chiudersi in un isolamento caldo e sicuro. S'egli è giunto a un grado sufficiente d'ottimismo, guarderà lo spettacolo del mondo che si spiega, come un meraviglioso panorama, e finirà di credere che tutto è stato creato per il suo divertimento". L'ottimismo accettato come una premessa, la religione del processo insegnata dai professori della democrazia, distrugge nella coscienza ogni impulso di serietà morale, rinnega ogni sacrificio, ogni eroico furore, ogni sublime opposizione, conduce ai facili accomodamenti, alle conciliazioni superficiali. Questa è la verità che Sorel vede chiara fin dall'inizio. È necessario mantenere la gloriosa virtù educativa della guerra, uscir dal pantano in cui si minaccia d'affogare. Rinnovare la grandezza degli antichi spenta, in modo che l'invocata resurrezione sia, non una sterile utopia, ma un verace ritorno storico, vichianamente un ricorso. Anche oggi son possibili le passioni ardenti, i sacrifici eroici: teorizzandoli, Sorel effettivamente li crea. La disperazione soltanto può animare la volontà di rivolta: "non si muovono le masse, vantando loro l'ordine, l'armonia, la razionalità delle cose esistenti. Ogni grande movimento religioso si fonda su una concezione pessimista della vita". L'atteggiamento pessimista è costante in Sorel, non integrale (non potrebbe) ma naturale e come sempre condizionato dalla realtà storica; e in modo specifico, nel suo pensiero, fondamento all'azione coerente ed eroica. Le parole citate son del 1889, al principio della carriera letteraria di Sorel: il medesimo pensiero ritorna nella lettera all'Halévy del 1908: " Il pessimismo... un modo di vedere, senza del quale niente di grande s'è realizzato nel mondo .... Esso è una filosofia dei costumi anziché una concezione del mondo; il considerare il cammino verso la redenzione come strettamente condizionato, per un lato, dalla conoscenza storica, che noi abbiamo acquistata, degli ostacoli opponentisi al realizzarsi dei nostri desideri (o, se così piace, dal sentimento di una condizionalità sociale); per un altro, dal sentimento profondo della nostra naturale limitatezza... Il pessimismo considera le condizioni sociali come un sistema tenuto stretto da una legge di bronzo, di cui non si può non subire l'impero, e che non saprebbe sparire se non per una catastrofe che tutto lo travolga. Ciò che v'è di più profondo nel pessimismo è il suo modo di concepire la lotta per la redenzione. L'uomo non s'affannerebbe ad indagare le leggi della sua miseria e quella della fatalità, che turbano malamente la ingenuità del nostro orgoglio, se non avesse fiducia di finirla con tali tirannie". L'iniziale robusta disperazione crea la possibilità, anzi la necessità, dello scisma. Rarissimi essendo oggi i conflitti degli Stati, solo nella guerra sociale può fondarsi chi vuol rompere il mortale equilibrio: è "il solo mezzo di cui dispongano le nazioni europee abbrutite dall'umanitarismo per ritrovare la loro antica vigoria". " Riconsolidare la divisione delle classi" significa nello stesso tempo "rendere alla borghesia qualcosa delle sue forze". Risuscitare la "concezione arcaica delle relazioni sociali"; propugnare, "le negazioni assolute, le abolizioni e le rinascite"; rinnovare lo spirito "istintivo, appassionato, mitologico". Filosofia delle antitesi e delle opposizioni: giustificazione delle coerenze disperate e supreme. "Selvaggio entusiasmo". E' troppo facile definire romantici 1'atteggiamento e il tono di Sorel; considerare il problema che lo preoccupava come ormai sorpassato dalle vicende della pratica e della cultura. In realtà la polemica antidemocratica è forse viva ancora più che non si creda. Trionfando le mutabili demagogie, la disperazione eroica di Sorel ritorna un simbolo. Contro le filosofie della conciliazione e dell'accomodamento, esaltare la necessità delle opposizioni e delle lotte, è problema vitale sempre, oggi più che mai. Ci sentiamo vicini a lui, alle sue dottrine, al suo carattere. La sua mirabile comprensione del mito bolscevico, il suo amore per "la Roma del proletariato" e per "i soldati russi del socialismo", l'aver scoperto "che la rivoluzione russa è l'aurora di un'era nuova"; la coerenza stupenda del suo pensiero, spiegabile solo per chi tenga conto della simpatia cordiale ond'egli seguì in ogni tempo gli sforzi dell'epopea proletaria; sono altrettanti atteggiamenti del suo spirito che ci sono cari, scoprendo in lui una profonda, antica (oggi così scarsa) umanità. Le sue parole che seguono le firmeremmo volentieri, le accettiamo come nostre: "Per riavere un'epoca di valori quiritari, é necessaria una catastrofe, che determini un nuovo medio evo... La teoria vichiana avrebbe una sua riprova, se per un lungo periodo l'Europa calpestasse quanto la borghesia liberale ha ostinatamente onorato. In questa Europa rinnovata, che io amo, qualche volta, figurarmi, gli intellettuali sarebbero una specie di giocolieri, dediti al divertimento di chi potrà pagarne le amenità; miriadi di lavoratori, compiendo coscienziosamente lavori oscuri ed uniformi, insieme con i mezzi necessari alla vita, produrrebbero la grandezza morale. Da una severa penitenza medievale, si ha il diritto di sperare il sorgere di una civiltà ricca di valori quiritari. L'individualismo sarebbe vinto dall'organizzazione. NATALINO SAPEGNO.
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