STUDI SUL RISORGIMENTO

La filosofia politica di Vittorio Alfieri 6. - 7.

VI. La morale e la metafisica della libertà.

    L'aspirazione dell'Alfieri, antitetica alla rinuncia del Gori: "dalla feccia nostra presente sorger puro ed illibato d'esempio" è una di quelle posizioni eroiche che riesce agevole demolire ai critici positivisti e intellettualisti, usi a porre schemi e a trovar contraddizioni dove si tratterebbe di interpretare e valutare chiaroscuri di pensiero. E' vero che la sua filosofia non liquida, con chiarezza di superatore, i problemi del passato; la sua arte può parere un astratto programma, la sua politica un'intransigenza intemperante. Al passato egli ha opposto immediatamente la sua spontaneità d'individuo, la sua originalità ingenua. Nei momenti più tragici e incerti dello sviluppo storico, come quando in corsa ed alle svoltate una slitta minaccia di cader da una parte, ci vuol pure - come dice Prezzolini - qualcuno che si sacrifichi, che si sporga tutto fuor, dalla parte opposta". Ma la storia nella sua coerenza lineare e nella sua razionalità di conservatrice deve essere ingiusta e quasi parer sconoscente verso queste aspirazioni che concorrono potentemente a crearla.

    Chi volesse farsi un'idea approssimativa dell'importanza dell'etica alfieriana dovrebbe indagare in quali occasioni e quante volte egli sia parso ed abbia concretamente operate come "esempio" agli uomini d'azione e ai pensatori e ai moralisti della nuova precettistica che venne in vigore nel Risorgimento e che non è ancor spenta: qui si troverebbe materia per un nuovo problema di critica storica ben degno di meditazione - Alfieri e la storia dei costumi e dei sentimenti.

    Ma questo è soltanto un aspetto della morale alfieriana: per esso lo scrittore partecipa concretamente alla formazione spirituale del nuovo popolo, ma soltanto indirettamente alla creazione di una civiltà europea. Sarebbe agevole organizzare in sistema questa nuova precettistica e casistica morale quando si tenesse ben presente che la sua origine e la sua unità consistono nella polemica contro il legalismo etico del cristianesimo giudaico e contro l'utilitarismo teologico. Invece noi non crediamo né alla necessità né alla possibilità, teoreticamente valida, di una casistica morale anche se sappiamo ésser dimostrabile la sua insopprimibilità nei limiti relativistici di una illusoria pretesa d'organicità. La casistica che l'Alfieri oppone alle consuetudini etiche del cattolicismo ha la sua validità (come la sua origine) nella psicologia e nella personalità sua. E' chiaro dunque che se ne dovrà tener conto solo come di documento d'un intimo pensiero - libero e trascendentale perché legge filosofica di cui quei particolari sono soltanto un'esemplificazione difficilmente sottratta all'arbitrio.





    Il centro vero del pensiero alfieriano, che gli dà diritto d'inserirsi nella storia europea del pensiero della 1ibertà - con forza e giustizia ben superiore a quella che ne possano vantare i romantici del primo Sturm-und-Drang - sta nel suo concetto di volontà. La scuola antropologica ha combattuto una delle sue più sterili e vuote battaglie quando ha preteso di dimostrare l'inesistenza della volontà alfieriana. Positivisti, livellatori, rigidi democratici, vagheggiatori di dogmi materialmente grossolani e di fisica trasparenza -identificavano la volontà da essi cercata dal fanatismo, colla pesantezza, con gli occhi bendati. In Alfieri non si trova questa volontà. Anche il Bertana, quando sostiene che la volontà dell'Alfieri non si traduce mai in azione, pensa alla massiccia coesione intollerante della "volontà", dei Gesuiti, validi amministratori ed esecutori senza incertezze, senza dissidi. L'intolleranza dell'Alfieri è invece essenzialmente comprensione. La sua volontà è il momento della luce volitiva che balza direttamente da una crisi della volontà perpetuamente riprodotta. Il segreto della sua azione sta nel suo pessimismo che non si può penetrare se non si intende il piccolo gesto eroico a cui è affidata la descrizione della sua genesi: il Dialogo della Virtù Sconosciuta. Gori non agisce perché non ha fede, Alfieri "indomita, impetuosa indole" agisce perché non ha una fede. L'ideale non illumina dall'esterno, rimanendo in alto inafferrabile, ma sorge dall'azione, sta nella disperazione stessa con cui accettando l'ineluttabile coscientemente, rinunciando fermamente ad ogni illusione e ad ogni falsità nata soltanto da debolezza e da egoismo, - si ritrova il criterio austero della virtù nel disinteresse della solitudine. Anche la fama è soltanto dolce e utile chimera in quanto possa essere cagione di bell'opera umana (pagina 202). Così questa volontà di disperazione e di negazione riconquista il suo momento positivo, diversa la base su cui si può costruire ancora, consci della tragedia che il moderno concetto di immanenza impone agli spiriti.

    Nel Principe, chiarendo le premesse della Virtù Sconosciuta, l'Alfieri così definisce, contrapponendola all'impulso artificiale, l'assoluta individualità del volere che egli chiama impulso naturale: "è questo impulso, un bollore di cuore e di mente, per cui non si trova mai pace, né loco; una sete insaziabile di ben fare e di gloria; un reputar sempre nulla il già fatto e tutto il da farsi, senza però mai dal proposto rimuoversi; una infiammata e risoluta voglia e necessità, o di esser primo fra gli ottimi, o di non esser nulla".





    Per chi ha ben compreso il nostro ragionamento non è possibile trovare in queste espressioni un individualismo anarchico o una mera morale nietzscheana: c'è invece implicita tutta l'attivistica morale moderna.

    Non bisogna limitarci alla mera affermazione finale di questo volontarismo: bisogna vedere come esso sorga da un dialettico contrasto, commisurandosi a realistiche premesse etiche. Il principio volitivo è per lui l'affermazione dell'autorità che dà una forma e una coscienza al mondo della libertà.

    E la libertà è per l'Alfieri il coefficiente primo della personalità: non si è uomini se non si è liberi. Il concetto è indagato nel suo valore teoretico in quanto costituisce la condizione dello sviluppo delle facoltà intellettuali; nel suo valore etico come determinante di tutte le virtù e identico esso stessa con magnanimità, giustizia, purezza; come mito d'azione perché scaturigine del pensiero della gloria. Nessuna rigidezza deterministica penetra in questo regno dell'assoluta autonomia: il solo elemento di determinismo è la decisione stessa, ma l'impulso che determina, ossia fa diventare atto la mera potenza, è ancora libertà.

    La libertà conquistata attraverso l'utilitarismo riformistico, cara agli enciclopedisti francesi, non ha senso alcuno per l'Alfieri come non ha senso una libertà politica che non si fondi sulla libertà interiore - intesa questa come forte sentire.

    Nel concetto alfieriano insomma c'è una vera e propria affermazione di carattere metafisico.

    La libera pratica delle virtù politiche è realizzatrice di libertà costituzionali e sociali in quanto nasce dall'attività operosa e indipendente dei cittadini. Condizione per essere cittadini, per essere liberi è la conoscenza dei proprii diritti: ma come per conoscenza si deve intendere, in linguaggio alfieriano una vera e propria azione, così diritto non significa astratta capacità ma volontà ed esplicazione. Il fatto politico include sempre un fatto morale. "La libertà è la sola e vera esistenza di un popolo; poiché di tutte le cose grandi operate dagli uomini la ritroviamo esser fonte ".

    Questa idea è la metafisica dell'Alfieri: il suo assoluto, il suo Dio. Di qui vedremo nascere la sua religione e la sua politica.





La nuova religione.

    Di questa unità sistematica 1'Alfieri ebbe coscienza e l'affermò quando diede forma concettuale alla sua dottrina della religione. Il credo alfieriano si rivolge a una religione e a un dio "che sotto gravissime pene presenti e future comandino agli uomini di esser liberi".

    "Comandino" è detto per metafora: non che ci sia chi deve comandare e chi gli sottostà: colla locuzione si indica l'universalità e la necessità di questa credenza, che coincide con la autonomia dei credenti e non contempla nulla di esterno: imporre agli uomini la libertà vorrebbe dire che la libertà è di tutti, è possibilità che basta esser uomini per realizzare. La religiosità alfieriana è il trionfo dei valori interiori. Le religioni costituite e dogmatiche separano tra autorità gerarchica, e umiltà di popolo, tra impero e ubbidienza: alla loro base, più profonda ancora di ogni esperienza mistica, sta un principio utilitario, un calcolo di cui le classi gerarchicamente più elevate si servono. La religione della libertà esclude interessi e calcoli, esige, come efficacemente scrive l'Alfieri, fanatismo negli iniziatori, e negli iniziati entusiasmo di sincerità, in tutti quell'ardore completo per cui non c'è soluzione di continuità tra pensiero e azione. Ne risulta una unità di apostolato che anticipa i caratteri dell'opera mazziniana. E un po' di mazzinianismo c'è anche nelle premesse teoretiche di questa religiosità; ma è un mazzinianismo senza elementi giansenistici né misticizzanti e gli resta superiore in quanto si esprime in un momento di precursore, mentre in Mazzini teorico si avverte qualcosa di sorpassato. In Alfieri c'è, oscuramente, la concezione dialettica del liberalismo, Mazzini soggiace alle incoerenze del poderoso mito di azione che instaura.

    Alfieri è un'anima religiosa e mentre propone la sua concezione libertaria sente intensa e profonda vicinanza spirituale con tutte le anime eroiche della religione. Il quinto capitolo dell'ultimo libro del Principe (Dei capisetta religiosi; e dei santi e dei martiri) non è in contraddizione con ciò che altrove l'Alfieri ha affermato in netta polemica contro le religioni positive anzi dimostra qual senso squisito egli possegga dell'importanza spirituale della religione e del suo valore di sincerità creativa. Come tutti gli spiriti religiosi l'Alfieri, ha sentito il fascino della figura di Cristo; e mentre nella Tirannide esalta l'importanza della prima dottrina cristiana della civiltà, nel Principe si sforza di attribuire a Cristo il significato, che per lui trascende ogni altro, di creatore di politica libertà.





    Indipendente da ogni forma di settarismo demagogico l'Alfieri si assume la difesa dei creatori di religione contro i moderni, che li svalutano. Codesti critici gli appaiono i soliti rappresentanti della solita "semi-filosofia" che cela nello stile leggiadro superficialità intellettualistica e povertà etica. L'Alfieri distingue tra l'importanza pratica e l'importanza filosofica dei santi e capi-setta: in altre parole, tra la forma della loro attività e l'empirico contenuto. Il suo giudizio è severo e limitativo quando li esamina da questo secondo punto di vista; quando invece li considera secondo il primo frena a stento l'entusiasmo. E osserva che oggi di questi santi si ha scarsa stima solo "perché si giudicano dagli effetti che hanno prodotto non dall'impulso che li movea, e dalla inaudita sublime tempera d'anima di cui doveano essere dotati; abbenché con minor utile politico per l'universale degli uomini l'adoprassero". La distinzione è filosofica, sottile, precisa. Nei moderni contro cui la critica è diretta si ravvisa esplicitamente Voltaire.

    "I moderni scrittori invece d'innalzare e insegnare la sublimità pigliandola per tutto nove la trovano, col loro debole sentirla, e col più debolmente lodarla, affatto la deprimono ed obliar ce la fanno. Ma poiché i più leggiadri fra essi (fattisi intieramente padroni di un'arma tanto possente quando è la ingegnosa derisione) hanno pure scelto di migliorare e illuminar l'uomo col farlo ridere; ecc. ecc.".

    Dove accanto a una netta ripresa dei già notati motivi anti-intellettualistici troviamo un notevole punto di riferimento per contestare i risultati dei cercatori di fonti enciclopedistiche e più precisamente voltairiane.

    E qui ancora si può finalmente chiarire la distinzione alfieriana tra cattolicismo e cristianesimo. Nel cattolicismo c'è un'organizzazione sistematica di principi, un organismo, costituito in gerarchia: allo sforzo di creazione è succeduto il momento dell'effettuazione pratica che si svolge attraverso transazioni, opportunismi, adattamenti: il sistema si presenta (per un fenomeno illusorio della praxis sociale, su cui tuttavia s'imposta la legge stessa di esistenza della politica) definitivo; il principio necessario è una rigida disciplina. Alfieri iniziatore di una grande civiltà, profeta, al tempo stesso, di una nazione e di un mondo ha presente la necessità dello sforzo puro dello spirito, dello sviluppo ardimentoso di tutte le iniziative morali; gli è difficile intendere il fenomeno sociale nelle sue apparenze statiche, nei suoi momenti convenzionali; vede le cose mentre si creano, assiste all'affermarsi imperioso e integrale del suo mondo di libertà; per lui l'organizzazione si fonda sull'anarchia come responsabilità dei singoli; ossia l'anarchia non esclude l'organizzazione perché è figlia diretta di motivi liberali, aristocratici e volontaristici. Questi caratteri appunto si possono ritrovare nel cristianesimo che è l'antitesi del cattolicismo in quanto lo prepara; ed é la negazione del dogma perché crea il dogma.





    Per noi che siamo fuori del cattolicismo e lo vediamo come un passato in certo senso concluso, il dogma, e l'organismo rigido della Chiesa si dimostrano nella loro fecondità matura nettamente superiori all'entusiasmo ingenuo della prima parola cristiana: per Alfieri, che vive nel cattolicismo e lo deve superare, rivendicare l'originalità del momento cristiano è come un processo simbolico per affermare un nuovo momento creativo che si sostituisca alla stasi in cui l'antico ardore di originalità religiosa s'è esausto.

    Ma il concetto alfieriano non ha soltanto questa importanza di relativismo pratico: ha valore teoretico in quanto coglie il significato della vita religiosa come fervore, come misticismo psicologico: questo infatti è il solo elemento irriducibile (formale) intorno a cui si possa organizzare una teoria della religione e dimostrarne l'universalità (il misticismo teoretico e metafisico è proprio solo di quelle religioni che pensano Dio come essere. Né la riforma s'è liberata da questi residui: perciò il pensiero alfieriano, che prepara la nuova coscienza laica dello Stato italiano le è nettamente superiore: chi parlerà di una necessità di Riforma in Italia dopo l'Alfieri coltiverà un'illusione e un anacronismo). Se il cattolicismo è squisitamente politico mentre il cristianesimo è la solitudine della teoria e del sentimento morale - il cristianesimo anti-cattolico dell'Alfieri è un'altra prova della nostra tesi che il suo pensiero sia più filosofico che politico.

    Di qui la simpatia con cui egli guarda agli eretici rappresentanti del pensiero religioso nella più intensa espressione di libertà. Il concetto che l'eresia sia il vero momento creativo della religione (Loisy) è dunque coscientemente precorso dall'Alfieri. Nasce con lui il solo modernismo italiano valido.

    La distinzione tra cristianesimo e cattolicismo trova un nuovo chiarimento nel diverso giudizio che vien dato agli uomini di religione secondo che siano stati espressione eroica di virtù (santi), o diventino strumenti della tirannide (preti). Ecco scultoriamente colta l'Antitesi:

    "Costoro tutti - e si riferisce ai martiri - avendo avuto al loro operare lo stessissimo sovrano irresistibile impulso che debbono avere i veri letterati alle stesse vicende di essi per vie e cagioni diverse soggiacquero. E mi spiego.





    Costoro finché furono lasciati fare da sé, puri, incalzanti e severi mostraronsi; perseguitati divennero più luminosi, più forti e maggiori direi di se stessi; protetti finalmente, accolti, vezzeggiati, arricchiti e saliti in potere, si intiepidirono nel ben fare, divennero meno amatori del vero, e per anche sotto il sacrosanto velo di una religione ormai da essi scambiata e tradita, asseritori vivi si fecero di politiche e morali falsità", (Del Principe e delle lettere, cap. cit.). Tradotti i termini alfieriani in termini nostri: identità di religione e di libertà, di religione e di letteratura: l'impulso interiore centro di ogni azione.

    La religiosità dell'Alfieri, il suo rispetto per i creatori di religione non vela il suo pensiero quando concludendo deve porre una negazione assoluta poiché nel cristianesimo (e tanto più nelle altre fedi ) c'è latente il principio dogmatico di cui egli ha dato come s'è visto, la più formidabile critica nella polemica anti-cattolica.

    La fede che l'Alfieri pensa di instaurare è l'antitesi di tutti i dogmatismi; bisogna che si differenzi dalle altre fedi, le neghi, le limiti. Accanto all'esaltazione del momento religioso dello spirito troviamo perciò un principio sereno e solido di critica delle religioni positive. "Il credere in Dio insomma non nocque a nessun popolo mai; giovò anzi a molti; agli individui di robusto animo non toglie nulla; ai deboli, è sollievo ed appoggio". (Del Principe e delle lettere, id.). La religione positiva o dogmatica è un'esigenza per gli spiriti deboli, è un principio di sicurezza o di conforto offerto al loro isolamento e, quando non sia politicamente diseducativa, e tirannica, quando non spenga gli sforzi individuali, ha una limitata serietà nella misura in cui corrisponde a una situazione psicologica.

    Così nuovamente e acutamente intende l'Alfieri il vecchio principio della religione per il popolo.

    Ma per il popolo nuovo che egli vagheggia, per il popolo mosso a virtù da forti scrittori, per il popolo indipendente annunciato nel Principe (libro III cap. X) principio formatore e direttivo deve essere la religione di libertà. Non più conforto per i deboli ma sicurezza dei forti, non più culto di un'attività trascendente, ma attività nostra, non più fede ma responsabilità. E' la religione di una coscienza più ampia che si sostituisce a una religione rudimentale. Contro il dogma nasce l'autonomia. I termini dell'Alfieri sono così precisi che devono togliere ogni dubbio a chi ci ha seguiti sin qui.





    "La ragione e il vero sono quei tali conquistatori che per vincere e conquistare durevolmente nessun arme devono adoperare che le semplici parole. Perciò le religioni diverse e la cieca obbedienza si sono sempre insegnate coll'armi ma la sana filosofia e i moderati governi coi libri". (Del Principe e delle lettere, libro II, cap. X).

    Il verbo sottinteso nella proposizione dove filosofia fa da soggetto insieme coi moderati governi non è insegnato: ché allora il concetto alfieriano si confonderebbe coi vari sogni di governi illuminati, nè la moderazione invocata si può intendere alla stregua dell'ideale di Montesquieu. Nella religione alfieriana iniziativa popolare e azione di classe dirigente si organizzano e si fondono in un'espressione di civiltà integrale. Libri è detto per metafora e vale coscienza. L'originalità dell'Alfieri è nella sostituzione di filosofia a religione; nel pensiero di una filosofia come anima della stessa azione popolare; il popolo - come altrove dirà più chiaramente - partecipa all'elaborazione della verità anche senza elaborare tecnicamente problemi teoretici; consacra con la sua azione le conquiste della cultura. Questi concetti che riescono a una teoria dello Stato laico e religioso insieme, realtà politica di filosofica libertà, valido a lottare contro la Chiesa - diventeranno i motivi animatori del nucleo originale e sano del pensiero liberale italiano.

    Nei luoghi citati è pure risolto indirettamente il problema di Dio. Il contatto di Dio come ideale che informa l'azione umana e ne dirige le aspirazioni, come unità determinante di valori è tutto risolto senza residui nel nuovo concetto di libertà. Del problema metafisico di Dio posto nei suoi statici termini di ontologia l'Alfieri non si cura di dare una soluzione dichiarata. Per lui il problema è evidentemente sorpassato, e se in sede teoretica preferisce una posiziona di dubbio ad una affermazione di carattere costruttivo, in sede psicologica e pratica il Dio-ente personale è respinto in modo definitivo.

    Non essendo riuscito a trasformare la posizione psicologica in posizione di universalità teoretica l'Alfieri non ha conquistato con riflessione cosciente l'idea del Dio trascendentale che pure animava con immediatezza di pathos tutti i suoi sforzi speculativi. Ma attraverso il Risorgimento e dopo il Risorgimento la sua efficacia educatrice in sede metafisica deve sopratutto riconoscersi nella riduzione all'assurdo dell'ontologia dai lui intrapresa.

    (continua)


PIERO GOBETTI.