POSTILLESuper-rivoluzioneNei giorni della rivoluzione fascista, io mi stupiva della facile accettazione degli avvenimenti, che, a parte pochi amici, vedevo compiersi intorno a me. Non avevo più provato, come italiano, tale angoscia vertiginosa, da Caporetto in poi (e, ancora, a Caporetto la voce del dovere era chiara e lampante). Ma a dir di queste cose c'era da farsi dare del traditore della Patria! Ho voluto bene a De Vecchi quando ho letto nei giornali queste sue parole: "In quei giorni di passione io ho pensato e sofferto più che a Caporetto e ne cono uscito col cuore in disordine. Ho avuto soltanto la luce dal grande gesto del Sovrano". Ma De Vecchi dev'essere un isolato tra i suoi. Per la grande maggioranza, è mancato nel moto fascista ogni elemento tragico. Da troppe bocche ho sentito dare come inesistente il problema della fedeltà dell'Esercito. L'Esercito - dicono costoro - veniva tutto con noi, non c'è questione. Io non lo credo. Io so che, quando, nella notte dal 25 al 26 ottobre, giunse la prima notizia della brusca strozzatura del Congresso di Napoli e della partenza repentina dei capi fascisti, sintomo indubbio di mobilitazione, dando la sensazione violenta del salto nel buio, ci ritrovammo, alcuni amici, pallidi e agitati, corsi com'eravamo al fondo della questione, a esclamare senz'altro: "È la guerra civile! Il Re faccia la mobilitazione, richiami l'esercito della guerra, l'esercito "di complemento", e vedrà che ci siamo ancora!". Ma, se nessuno li chiamò a raccolta, che potevano fare le volontà isolate per opporsi all'esercito fascista? Avevamo dimenticato - ingenui ragazzi! - che in Italia si è subito più realisti del Re. L'Esercito - continuano gli esegeti della dottrinetta fascista - ha giurato fedeltà al vero bene del Re e dello Stato; non al Governo che li vilipendeva, che li tradiva .... Insomma, si dovrebbe - secondo costoro - giurare col distinguo e interpretare il giuramento. Tutti avvocati! E se, nel '15, un ufficiale avesse creduto in coscienza che il bene della Patria fosse nel non fare la guerra, doveva disertare? È la riabilitazione di Misiano! Il giuramento militare - avevamo creduto sino a ieri - è come il matrimonio religioso: indissolubile. Due sono le grandi istituzioni tradizionali, dove chi entra assume un impegno, una missione totale: l'Esercito e la Chiesa. Più modernamente, se n'è aggiunta una terza, la Scuola. Ma l'interpretazione idealistica della missione pedagogica, slargandone e quasi dissolvendone - secondo l'usato procedimento - i limiti empirici, venendo cioè a comprendere nell'idea della missione pedagogica la vita sociale, la vita umana tutta quanta - famiglia, scuola e di nuovo Esercito e Chiesa e tutto come pedagogia - prova troppo, con la sua formidabile unificazione. Restano dunque quei due grandi istituti; la Chiesa e l'Esercito, il prete e il soldato. Persino a noi, poveri diavoli di improvvisati ufficiali di complemento, pareva che il giuramento fosse cosa d'una gravità enorme; e ora i fascisti, esaltatori a parole dell'Esercito, verrebbero - vogliano o no - a calunniare gli ufficiali di professione, col crederli così facili a cavillare (nuovi monarcòmachi di gesuitica memoria) e a fraternizzare con gl'insorti? Tali io non li credo. Certo la prova è mancata: è mancata, perché il Re preferì alla lotta un accomodamento coi rivoluzionari. Facendo le veci di Giolitti assente, diede la sanatoria a tutto quanto, e tutto finì in un embrassons-nous generale. In realtà, Vittorio Emanuele ha cessato - se regnava - di regnare: egli ha implicitamente abdicato; salvochè il salto mortale era veramente un gioco d'abilità, perchè nel medesimo istante egli si faceva ricollocare sul trono dai rivoluzionari. Adesso abbiamo un Vittorio Emanuele non più Terzo, ma Primo d'una nuova serie, quella dei re fascisti. Da un punto di vista dinastico ed umanitario, andiamo benone. Ma, da un punto di vista storico ed etico più elevato, ha il Re veramente reso un buon servizio all'Italia con l'evitare che da una lotta a viso aperto uscisse una soluzione, non un accomodamento soltanto? Non credo che la storia potrà rispondere affermativamente. Questo Re sconcertante, non si è mai saputo bene se sia un pover'uomo o un tipo d'abilità indiavolata. Alle volte, sembra che voglia rubare il mestiere a Giolitti. (A proposito: non trovate che comincia a scocciare, questa agiografia giolittiana, che fa un enorme uomo di stato di colui che è costretto a starsene fuori della scena politica proprio nei momenti decisivi della storia nazionale?) Altre volte, sembra un paziente e straordinario dissimulatore e il custode - tutta la sua funzione di Re è forse qui - della continuità esteriore dell'esistenza dello Stato. Se è vera, la sua frase dopo il rifiuto di firmare lo stato d'assedio - "desidero che gli Italiani lo sappiano, anche se per dimenticarsene fra una settimana" - è il sublime dell'ironia. E l'altra, con la quale egli accomiata i ministri del Gabinetto Mussolini, dopo il giuramento - "Sono persuaso che tutto andrà bene... " - è un delizioso atto di fede nell'eterno Stellone. La Monarchica continua (non so se né Burzio né Sapegno me la manderanno buona) a compiere la sua funzione, altro che di monarchia socialista!, di monarchia corrompitrice, addormentatrice, assimilatrice e livellatrice di tutto, alla Giolitti. (In verità, si è tratti, alle volte, a pensare che, per un miracolo di congenialità regionale, una combinazione; Re Giovanni I col signor Savoia - per Primo Ministro avrebbe dato tale e quale quel che ha dato Re Vittorio Emanuele con Giovanni Giolitti Primo Ministro). Diamo tempo agli storici, perché costruiscano la loro belle spiegazioni della necessità razionale di tutto ciò. La nostra voce è oggi appena quella di testimoni diretti e - se Dio vuole - appassionati. Per me, questo episodio storico è semplicemente il segno d'una genialissima - se volete - insufficienza ideale, ma sempre insufficienza, di tutti noi Italiani. Qui come a Caporetto, storicamente siamo tutti solidali nella colpa. Eravamo stati minacciati della rivoluzione bolscevica; e qualche osservatore spregiudicato additava come altra possibile soluzione della crisi nazionale, una dittatura militare, tipo novantotto ma più in grande. E che cosa abbiamo combinato, con la nostra inesauribile abilità italiana. Un fritto misto: una rivoluzione che distrugge virtualmente le istituzioni, ma - bontà sua - le rimette a posto, apparentemente intatte, ed anzi se ne fa apologeta. La sua massa è data da elementi popolari, son capi e gregarii più a meno ex-sovversivi di sinistra (è opportuno precisare), ma si giova d'un certo numero di santoni della casta militare. Non è rivoluzione, non è colpo di Stato: sono rivoluzione e colpo di Stato che camminano a braccetto, al suono alterno degli inni fascisti e della marcia reale. Pantalone pagherà. Vittorio Emanuele dovette dare la sanatoria, perché... È difficile, sapere tutti i perché di questo atto "di illuminato patriottismo." Non pochi dei nostri generaloni, a quanto pare, da Diaz a Giardino e al Duca, erano alquanto compromessi. O metterli al muro, o metterli in gloria. Già, pare proprio che al Duca d'Aosta fosse risaltato in testa il grillo di fare il Filippo Egalité, certo sperando di poter fare a meno - in questo paese senza ghigliottine - di recitare l'ultima battuta dalla sua parte. Ma l'istituto dell'Esercito, il principio della fedeltà, ha ricevuto - non s'illudano i patrioti - un colpo tremendo. Si é voluto sottrarlo al cimento, nel quale esso o avrebbe dolorosamente trionfato, o sarebbe perito per lasciar sorgere un esercito nuovo: ma di quelli che possono sorgere da una rivoluzione vera, non da una scampagnata con cortei e luminarie. Pare impossibile, che proprio gli apologeti della guerra igiene del mondo, del sangue, della violenza e della morte, abbiano tanto fatto per dare alla rivoluzione una forma e una risoluzione di compromesso! Questa idea della tragicità della storia, dove è fatale che elementi opposti si trovino a cozzare in un urto mortale per dare luogo a nuova vita alla concezione della guerra nella quale anche l'avversario è un degno uomo, e pure abbiamo il dovere inesorabile di ucciderlo, questa concezione è totalmente estranea alla mentalità fascista, per la quale la verità è una sola e immediata, la loro e chi non la fa propria è un idiota traditore: E si capisce: è la mentalità interventista intesista, quella di Mussolini, nella quale la guerra è quella dell'Intesa giusta e sana, contro la nequizia teutonica, guerra di Ormuzd e Arimane, separati da un taglio netto. Certo di queste sole idee è agevole fare una rapida propaganda popolare. Perciò, quando tu parli loro di queste angosce, di questa tragedia della rivoluzione ultima, essi non ti capiscono affatto, e ti guardano come un infelice che è del tutto fuor di strada, non illuminato dalla grazia. L'Esercito ha ricevuto un colpo tremendo, non solo idealmente parlando, ma anche nella psicologia spicciola dei suoi fedeli. Non bisogna infatti interrogare i Diaz, i Giardino, eccetera, ai quali il problema della fedeltà non s'è nemmeno affacciato nell'anticamera della coscienza. Ma chissà quanti oscuri ufficiali senza velleità di avventure politiche, generali o sottotenenti, di terra o di mare, si sono sentiti straziati dal dubbio: quale fosse il loro vero dovere, di fronte al balenare dei capi? E che faranno in un prossimo eventuale rivolgimento, con l'esempio di questi precedenti? se Mussolini e il Quadrumvirato decreteranno che un altro qualsiasi Governo X sia traditore della Patria? Finora l'Italia non era stata i1 Portogallo, né la Serbia, né la Grecia... Ma un putsch tira l'altro. E una altra volta non si potrà più dire: è colpa di Facta! LUIGI EMERY.
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